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Blonde - Recensione: Gli uomini preferiscono Marilyn - Venezia 2022

Recensione di Blonde, il nuovo film di Andrew Dominik

Blonde, il nuovo film diretto da Andrew Dominik, si apre con un’inquadratura di Marilyn Monroe sul set della famosa scena di Quando la moglie è in vacanza.

 

Una serie di flash illuminano il suo volto, mentre il formato 1,37:1 e la fotografia in bianco e nero fermano il momento come un’istantanea, un'immagine d’epoca.

 

Il drammaturgo David Mamet, nel suo libro I tre usi del coltello: Saggi e lezioni sul Cinema, scriveva: “Il finale dev’essere racchiuso nell’inizio”.

 

La prima scena di Blonde è indicativa e contiene i temi portanti del film, delineandone i tratti: il set cinematografico è già finzione, dove al centro del quadro c'è Marilyn Monroe, una figura costruita dagli Studios, non vera, possibile solo nel mondo del Cinema.

 

[Il trailer di Blonde]

 

 

Adattare Blonde, romanzo fluviale scritto da Joyce Carol Oates, era un’operazione rischiosa sotto molteplici punti di vista e che solo un regista anarchico come Andrew Dominik poteva affrontare.

 

La matrice del lavoro della scrittrice statunitense infatti non è di stampo biografico: è una bio-fiction di oltre mille pagine che percorre la vita della “bionda sexy” attraverso intrecci narrativi che mescolano finzione e realtà. 

Quella di Carol Oates è una scrittura jazzistica, un flusso di coscienza ininterrotto dove a farne le spese sono la stessa Norma Jeane Mortenson Baker/Marilyn Monroe e soprattutto il sogno americano, compreso del suo Presidente più amato: John Fitzgerald Kennedy.

 

Di pari passo col romanzo, anche a Blonde di Dominik non interessa essere un racconto di stampo biografico, avvicinandosi di più a una sorta di horror all’interno della mente della protagonista.

Gli avvenimenti della vita di Marilyn perciò si susseguono senza soluzioni di continuità, legati dall'esile corpo di Norma Jeane (il vero nome di Marilyn Monroe), l’ultima bombshell and dumb hollywoodiana: orfana, diva e madre.

 

Blonde è un film che mostra la potenza delle immagini in tutte le sue forme e anche i formati cinematografici variano in base alle situazioni che si susseguono nei 166 minuti: passiamo dal 1,37:1 del 4:3 in bianco e nero al 1,85:1 a colori, fino ad arrivare al panoramico 2,39:1.

 

Andrew Dominik utilizza questo espediente visivo per scandire il tempo che passa e definire lo stato d'animo di Marilyn Monroe; una soluzione che ha il sapore di un omaggio nei confronti del Cinema stesso, quella macchina industriale creatrice di sogni che diventano realtà mediante i riflettori: “Il cerchio di luce è vostro, il cerchio di luce è attenzione”.

 

 

 

 

Blonde non è un film sul sogno americano bensì sull’incubo, e quel "cerchio di luce" è sinonimo di un modo di essere artefatto, inconciliabile con i desideri di una madre.

 

Prima di voler diventare un’attrice, prima di essere Marilyn, Norma Jeane desiderava avere dei figli, lei che del concetto di famiglia sapeva ben poco per colpa di un’infanzia soffocata da legami volatili. 

Nei momenti in cui il personaggio interpretato da Ana de Armas scopre di essere incinta, la fotografia di Blonde si tinge di colori caldi e le immagini si deformano tramite l’effetto swirl, creando così brevi attimi di lirismo malickiano in cui la prosa del romanzo di Joyce Carol Oates si trasforma in poesia visiva.

 

Da una certa prospettiva, l’insistenza sulle paure e le remore di Marilyn Monroe nei confronti dell’aborto potrebbe essere considerata come un approccio di matrice conservatrice alla tematica, ma è anche vero che si parla dei timori reali della diva, gli stessi che ne causarono il tracollo psicofisico.

 

“È solo un sogno, è solo un sogno” ripete con le lacrime agli occhi una devastata Monroe, trasformata in oggetto e martoriata da una feroce sessualizzazione della sua immagine.

Lei che, come scrive Oates, “Non era né bionda né stupida” ambiva a recitare Le tre sorelle di Anton Čechov, finendo invece per essere solo forma, un nuovo formato cinematografico. 

 

“Marilyn insieme al Cinemascope è stata la risposta del Cinema alla televisione”, come asserì il filosofo Edgar Morin.

 

 

[Ana de Armas replica la famosa scena della camminata di Marilyn Monroe in Niagara]

 

L’immagine del sogno americano in Blonde diventa incubo, in un horror che trascina lo spettatore verso un lungo viaggio di distruzione e autodistruzione della protagonista.

 

La morte di Marilyn - così come era stata quella del bandito Jesse James del film di Dominik - rappresenta il punto di arrivo di una fuga cominciata dalla scena d'apertura, una sorta di omicidio/suicidio derivato da una condizione straniante procrastinatasi troppo a lungo. 

Un destino scritto, già immaginato.

 

In Blonde nessuno ha a cuore veramente Norma Jeane, e quel “L’amore non è tutta un’illusione” pronunciato nei primi minuti muterà in un disperato urlo in macchina rivolto direttamente a chi guarda: “Che ve ne importa della mia vita!”.

La salvezza può arrivare solo con il Cinema, attraverso l’immortalità dello sguardo e perciò unicamente sotto forma d’immagine.

Un’evasione dalla realtà - vedasi la cruenta scena con Kennedy - che permette di pensare a una vita diversa, ma falsa, già morta.

 

Marilyn Monroe però tuttora esiste - ne è un esempio Blonde - sotto altre forme, come “la polvere di una stella esplosa” pronta a regalarci l’ennesimo sorriso cantando Diamonds Are a Girl's Best Friend.

 

Se "La Bionda" era fortemente convinta del metodo Stanislavskij, Ana de Armas riesce a interpretare e far sua la vita di Marilyn Monroe, dando corpo e anima per questo ruolo.

 

Vestendo i panni di una ragazza che si pone come una bambina in un mondo di adulti, l’attrice di origine cubane mostra una consapevolezza della propria fisicità prorompente, passando da oggetto del desiderio a corpo usa e getta, dove il viso e la voce deflagrano con il passare del tempo.

 

 

[Adrien Brody interpreta il terzo marito di Marilyn Monroe: Arthur Miller]

 

I pochi momenti di stasi che Andrew Dominik concede ad Ana de Armas in Blonde spesso sono raffigurati come immagini sfocate, quadri espressionisti la cui bellezza abbacinante cattura lo sguardo, fotografando una realtà per l’appunto sfuggente, quasi incomprensibile, immaginaria.

 

Nel 2022 un film come Blonde era realizzabile solo con queste modalità artistico-narrative, perché nel mondo contemporaneo - oltre il post-moderno - dove tutto è già stato detto e visto, non ci resta altro che riflettere su ciò che ha plasmato il nostro sguardo, il nostro modo di vedere il Cinema, le nostre immagini.

 

In due parole: Marilyn Monroe.

 

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2 commenti

Emanuele Antolini

2 anni fa

Diciamo che Blonde non le dà mai la possibilità di fare la cosiddetta "scena madre", essendo settato tutto su un registro piuttosto omogeneo, un vero incubo. Vedremo in ottica premi

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Emanuele Antolini

2 anni fa

Sono d'accordo sul paragone con Spencer dal punto di vista dell'idea sul biopic. Poi formalmente sono completamente diversi

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