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The Whale è l’atteso ritorno di Darren Aronofsky a distanza di cinque anni da madre!, film presentato in concorso alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia.
Il lungometraggio con protagonisti Javier Bardem e Jennifer Lawrence divise la critica, oltre a rivelarsi un flop al botteghino.
Un insuccesso che ha portato il regista statunitense a un’idea di Cinema più indipendente, affidandosi alla casa di produzione e distribuzione ideale per questo tipo di operazioni: A24.
Il ritorno alle origini per Aronofsky lo è anche da un punto di vista della poetica, dato che i film di riferimento per le idee narrative sono due: π - Il teorema del delirio e The Wrestler.
[Brendan Fraser alla presentazione di The Whale]
The Whale è basato sulla pièce teatrale scritta da Samuel D. Hunter e vede come protagonista un professore universitario obeso incapace di muoversi a causa della sua stazza smisurata: conscio di vivere gli ultimi giorni della sua vita, Charlie decide di venire a patti con il suo passato.
Ambientato completamente in un appartamento, The Whale guarda all’esordio di Aronofsky per come è strutturata la cronistoria degli eventi, dato che le due ore di durata del film coprono l’arco di una settimana.
Una ripetizione quotidiana che porta ogni giorno allo sviluppo dei personaggi messi in scena, rilevandone le diverse sfumature.
Se questa scelta narrativa è centrata ed è indubbiamente legata con un filo logico alla forzata routine del protagonista, l’interesse principale di The Whale risiede nell’attuare un’operazione di riabilitazione à la The Wrestler.
Le similitudini tra il film vincitore del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2008 e quello in concorso quest’anno sono molte, a partire dalla scelta del protagonista.
Mickey Rourke vinse il Golden Globe e ottenne la nomination ai Premi Oscar per la sua sofferta e struggente interpretazione di Randy Robinson, un ruolo costruito appositamente su un attore che fu icona negli anni ’80 e che scomparve poi da Hollywood al seguito di scelte di vita anarchiche.
Così come The Wrestler era tagliato su misura per la star di 9 settimane e 1/2, The Whale lo è per Brendan Fraser, divo dei primi anni 2000 grazie al ruolo di Rick O’Connell nella trilogia de La mummia.
Sfigurato da 136 chili di protesi e visibilmente provato fisicamente sin dalla prima inquadratura, il lavoro che Aronofsky compie ha lo scopo di catalizzare tutta l’attenzione di chi guarda sulla sofferenza del suo protagonista.
Il formato utilizzato perciò è 1,33:1, un 4:3 televisivo che chiude il volto di Charlie in quadri soffocanti, eliminando la possibilità di evadere con lo sguardo verso altri elementi dell’inquadratura.
Una scelta formale che afferma ulteriormente lo scopo di The Whale, quello di creare un film One Man Show sull’attore protagonista.
Dal punto di vista recitativo l’operazione è assolutamente vincente, questo perché Fraser ha riversato tutto sé stesso in questo ruolo, mettendosi a nudo - anche letteralmente - senza mai mostrare paura di rivelare i suoi timori, che sotto certi punti di vista lo accomunano con il personaggio del professore.
Assistiamo a un Brendan Fraser che cerca il disgusto ma allo stesso tempo la pietà, arrancando su una sedia a rotelle e ingurgitando cibo spazzatura mentre insegna via webcam - rigorosamente spenta - ai suoi alunni.
Il lavoro fatto dal reparto trucco sul corpo dell’attore statunitense è assolutamente incredibile, così come la location dell’appartamento che ricrea il disagio di una vita passata chiuso in casa.
The Whale però non fa della solitudine un aspetto centrale, dato che Charlie interagisce per tutta la settimana con tre personaggi: la sua infermiera, la figlia Ellie e un missionario.
Tre elementi della narrazione che mostrano lati diversi del film; gli aspetti a mio avviso più problematici del lungometraggio di Aronofsky risiedono nel rapporto tra il protagonista e sua figlia.
Nel momento in cui viene introdotta all’interno della storia lo sviluppo successivo diventa prevedibile e, soprattutto, era già stato affrontato dal regista nel 2008 con The Wrestler.
Il loro percorso perciò non presenta grossi punti di interesse se non nell'analogia tra una critica della figlia nei confronti del romanzo Moby Dick e la vita di Charlie.
[Mickey Rourke in The Wrestler]
Quel The Whale che dà il titolo al film perciò acquisisce forza attraverso le parole taglienti scritte da Ellie, che oltre a un significato di redenzione ci parlano anche dell’importanza della sincerità.
Una sincerità mostrata nel rapporto d’amicizia genuino tra il professore e l’infermiera, ma che viene meno nella regia di Darren Aronofsky.
The Whale è infatti costruito interamente sulla prova di Brendan Fraser e questa scelta porta spesso nella direzione della “lacrima facile”, una ricerca che in The Wrestler era sapientemente bilanciata nel contesto narrativo, ma che in questo film viene meno.
Certamente The Whale commuove, ma durante la visione la sensazione di trovarsi di fronte a un’operazione che utilizza vari cliché narrativi per arrivare al cuore dello spettatore è alta.
Un problema che risucchia anche ogni inventiva registica dell’autore di Requiem for a Dream, forse mai così convenzionale come in questo caso.
The Whale inoltre prosegue l’indagine sulla fede che Aronofsky porta avanti da The Fountain - L'albero della vita - che fu il primo film in concorso a Venezia per il regista - e che vede in Charlie una sorta di Cristo pronto a vedere il buono in ogni persona pur di aggrapparsi alla speranza.
Come ci insegna il romanzo di Herman Melville: “Se io fossi il vento, non soffierei più su un mondo tanto malvagio e miserabile... eppure, lo ripeto e lo giuro, c'è qualcosa di glorioso e di benigno nel vento.”
Una frase che riassume lo sguardo bonario di Charlie/Fraser, a cui non si può non voler bene nonostante quella poca sincerità nella costruzione della narrazione che avrebbe fatto arrabbiare il nostro professore.
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