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Forever Young (Les Amandiers) di Valeria Bruni Tedeschi è uno dei due film diretti da italiani in concorso al Festival di Cannes 2022; a differenza di Nostalgia di Mario Martone, però, questo è un film francese.
Iniziare un articolo in questo modo potrebbe far supporre una critica al Sistema Italia e se l'avete intesa in questo modo avete ragione: Forever Young è uno di quei film che si potrebbero scrivere e produrre anche da noi, ma che per qualche strano motivo non si riesce mai a vedere nel nostro Cinema.
[Una clip di Forever Young]
"Les amandiers" in francese significa i mandorli: il nome del film è il nome del Teatro di Nanterre che la stessa Valeria Bruni Tedeschi ha frequentato sotto la direzione di Patrice Chéreau.
Diventa quindi palese la forte componente autobiografica presente all'interno del film, che racconta qualche mese di vita di una giovane compagnia teatrale, dai provini per entrare all'ambita scuola del noto direttore - un periodo d'oro della gioventù scevro da pensieri oscuri, focalizzato esclusivamente sulla massima espressione di sé e sulla scoperta degli altri - fino allo scontro con la vita vera e le tragedie che costellavano le esistenze dei ventenni nella metà degli anni '80, dall'eroina all'AIDS.
Forever Young può contare su un casting riuscitissimo e su performance davvero mirabili, a partire da Nadia Tereszkiewicz e Sofiane Bennacer fino al noto Louis Garrel nei panni di Patrice Chéreau, che portano in scena personaggi che non hanno mezze misure e non conoscono la sottrazione.
Ragazze e ragazzi che vivono qualsiasi emozione allo spasmo, oltre il limite, esagerando, mettendo il cuore e l'anima in ogni situazione, ogni scambio, ogni rapporto.
[Da sinistra: Nadia Tereszkiewicz, Louis Garrel e Vassili Schneider in Forever Young]
La storia di Forever Young ci racconta di ragazze e ragazzi chiamati a rappresentare un'opera di Anton Čechov, seguendoli dai provini che sostengono per entrare nella scuola fino al momento della rappresentazione, passando per una visita al leggendario Actors Studio di New York.
Il tono del film è evidente fin da subito: ai provini assistiamo a un carosello di volti e fisici votati alla recitazione che si mettono in gioco, facendosi giudicare dai severi insegnanti della scuola: vediamo subito molti di quelli che saranno poi i 40 ragazzi scelti, che diventeranno in seguito i 12 che faranno parte della compagnia.
Si ride tanto e ci si emoziona nel vedere dei ventenni che danno corpo alle loro emozioni più intense senza nessuna remora, senza pensare a cosa ci sia fuori dalle porte del teatro; per alcuni c'è una famiglia che li sostiene, per altri una che li rinnega, per altri ancora una che sta nascendo, grazie a un matrimonio e a un figlio in arrivo ad appena 19 anni di età.
Le giovani attrici e i giovani attori di Forever Young dunque recitano la parte di chi recita una parte e il gioco del film sul teatro mescola tutto quanto con un'energia carica di vita e una macchina da presa che si incolla ai visi dei protagonisti, per coglierne ogni minima sfumatura.
Ma se all'inizio prevale la leggerezza e la scoperta dell'amore e della passione, nel secondo atto iniziano ad arrivare i problemi veri, quelli che la vita ti sbatte in faccia con una violenza che non si cura della tua età né della tua spensieratezza, che verrà immediatamente spenta.
Arriva quindi il momento di fare i conti con se stessi e con gli altri, confrontarsi con i compromessi e decidere se valga la pena affrontare certe cose: la risposta che suggerisce il film è positiva; il palco come simbolo di rappresentazione della vita diviene l'unico luogo possibile dove vivere, il posto dove sfogare le emozioni vere trasformandole in atto artistico, elaborando i lutti e le tragedie per trovare nuova forza espressiva.
[La compagnia di Les Amandiers alle prese con il Platonov di Čechov]
Forever Young sembra quindi un semplice coming of age narrato tramite il consunto plot che parla di attori alle prese con la vita, ma lo è solo sulla carta.
Sullo schermo il film pulsa davvero di emozioni forti dalla prima all'ultima inquadratura, grazie anche a delle interpretazioni eccezionali - e penso che la direzione di Bruni Tedeschi abbia un certo peso in merito - di un cast davanti al quale diventa impossibile pensare ad altri nomi per quei personaggi.
Primissimi piani, particolari, macchina a mano e una pasta dell'immagine che ricorda la pellicola degli anni '80 contribuiscono a farci entrare nel mondo di questi ragazzi, nei loro occhi e nei loro cuori, nei tumulti di quell'età quando ogni cosa che si vive sembra essere la più grande e la più importante e ogni emozione vissuta sembra unica e irripetibile.
Il mandorlo si coltiva per il seme, che diventa esso stesso frutto che darà nuova vita.
Les Amandiers ci mostra dei semi che sono pronti a farlo e lo fa nell'unico modo possibile: con l'energia e la vitalità dei vent'anni.
Tornando all'inizio: siamo davvero sicuri che queste emozioni siano un'esclusiva del Cinema altrui?
Come mai nel nostro Cinema non si trova questa forza vitale, questa libertà emotiva, questa espressività così feroce e affamata?
Come mai un'attrice del livello di Valeria Bruni Tedeschi ha dovuto trovare in Francia il successo che merita, Paese in cui è diventata regista e grazie al quale ha scritto e diretto sei film?
Le domande, temo, resteranno senza risposta.
Questa è Cannes, NON il Vietnam!
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