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Il terzo remake di un classico senza tempo che vede alle spalle pesanti paragoni e di fronte a sé biopic musicali chiacchierati ed agguerriti.
Cosa dite: è nata una stella?
A Star is Born è stato anticipato, mediaticamente, con la forza epica dal cinque stellette e lode critica sulla locandina. Come avvenne per La La Land e, paradossalmente, mettendo in ombra First Man, diretto, appunto, da Damien Chazelle.
Il film, esordio alla regia di Bradley Cooper, è stato al centro dei rimbalzoni mediatici e social, grazie soprattutto alla lunga storia produttiva della pellicola, che trova origine nella prima incarnazione del 1937, diventa musical nel '54, passa per quella rock del ‘76 e risorge pop con queen Lady Gaga.
A Star is Born viene presentato in anteprima alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, aprendosi il cammino verso i cinema e sfoggiando tutta la sua patinatura glam.
La prova del grande schermo è arrivata, seppur contrastata dai crociati del web, fanatici del Venom di casa Marvel/Sony.
Quindi, signore e signori della poltroncina imbottita e dal pop corn salato, cosa possiamo dire dell’opera prima di Bradley Cooper?
A Star is Born non è, parlando d'impatto filmico, vicino a La La Land e queste cinque stellette, queste cinque lodi su quella locandina, hanno molto senso solo nel rumore di questo treno mediatico.
Bradley Cooper traina molto più di un carro di buoi e la sua prestazione, dolente, a partire dal timbro della sua voce, è una melassa non raffinata, il prodotto grezzo che precede il rum, il pungente scivolare fra lingua e budella.
Un cowboy tormentato che vive tra il Johnny Cash di Walk the Line e quello country di Crazy Heart. In questo stare nel mezzo, rimane vittima di una dissonanza cognitiva e le orecchie fischiano fino al cervello ed innescano la fuga psicogena dei caratteri.
Non è country e non è pop. Non è bello e dannato e non ha il fascino del cowboy foderato di jeans, buone maniere e sguardi sottili a cercare un orizzonte dove le sue parti più morbide possano trovare riparo dal sole caldo e dallo sporco del deserto.
A un certo punto sembra pretendere di voler essere Bob Dylan, ma si ferma prima di poter abbracciare totalmente quel concetto pre-punk del menestrello del Minnesota, per cui conta, sempre e soprattutto, quello che hai da dire e non con che voce, faccia o talento tu lo stia dicendo.
Siede in un limbo dove Cooper fa sfoggio delle sue capacità recitative nell’impersonare un carattere perso fra tante, troppe cose, non prendendo mai abbastanza spinta per farcelo entrare nel cuore.
Se volete una mia personale opinione, Jackson - questo il nome del personaggio - doveva essere più anni 2000, meno Roy Orbison e più Dan Auerbach, meno menestrello e più garageband, meno Sam Peckinpah e più Taylor Sheridan.
Lady Gaga dà una prova interessante. Funziona grazie all’intelligenza produttiva di Cooper, qui anche nelle vesti di produttore, che cuce sulle sue forme della cantante il personaggio di Ally, trattando il tema delle apparenze, ancora attuale ed interconnesso alla storia di Gaga, senza sfondare la parete elastica del cheesy.
La prima parte del film è da manuale e la regia di Bradley Cooper rende tutto graffiato, fumoso, intimo, vicino ai personaggi che costruiscono la storia, senza allargare oltre, evitando che il pubblico perda di vista il punto focale del racconto.
Le canzoni funzionano, seppure manifesto di tutte le produzioni alla ricerca di un successo musicale pari a quello di Chazelle: sono buone, ma dimenticabili e molti arrangiamenti rimandano un po’ troppo a qualcos’altro.
La nota stonata di A Star is Born è senza dubbio la seconda parte del film, quella che cerca disperatamente di dare un senso di profondità alle bevute di Jackson, al suo percorso di autodistruzione, alla solitudine di un uomo nato sbagliato, in una famiglia improvvisata ed in un corpo rotto.
La sindrome della personalità multipla mostra il fianco del film.
Il carattere interpretato da Cooper era perso in partenza e quello che rimane da esplorare non funziona, è una macchia indistinta di cliché dello showbiz melodramma.
Il ritmo cala spaventosamente ed arrivare fino in fondo diventa un'urgenza, più che un prurito emozionale.
A Star is Born è un film che mostra, senza ombra di dubbio, i talenti e gli sforzi produttivi messi in gioco.
Vedere Sam Elliott sullo schermo è sempre un piacere, Cooper e Gaga hanno una bella alchimia e la fotografia di Matthew Libatique, storico collaboratore di Darren Aronofsky e ora al cinema anche con Venom, dà una bella spinta all’esordio di Bradley Cooper.
Visto che ho citato, per la seconda volta, il film di un diverso Cooper, ovvero Scott Cooper, mi sembra doveroso chiudere con una massima dell’industria del cinema, tendendo il parallelo finale tra i due film: less is more.
Il budget stimato di circa 40 milioni di dollari ha sicuramente aiutato la, parziale, riuscita di A Star is Born, ma sfigurano quando messi a confronto con i 7 milioni investiti per Crazy Heart, un film la cui identità, solidità e pulizia narrativa, può solo fare scuola a questo, ennesimo, remake.
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5 commenti
Dr. Zoidberg
6 anni fa
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Alessandro Dioguardi
6 anni fa
Siamo in accordo nell'essere in disaccordo.
Anche se non sono Diego, mi spiego e ti cito "dovremmo riabituarci a guardare film dove non esplode qualcosa ogni 20 secondi".
Condivido al 100%. E' il motivo per cui un film come Venom, mediocre, sta facendo incassi record e First Man, un film che si batte per gli Oscar, girato da uno dei registi del momento e che racconta una delle pagine della storia umana più importanti di sempre, sta dietro. Uno dei motivi, sarebbe meglio dire. Non voglio entrare in un discorso più grande.
Tornando al punto. Non ho criticato il film per lentezza. Alcuni dei miei film preferiti hanno dialoghi giusto quando servono, comunicano per immagini e l'azione è risicata od assente.
Ho criticato il film perchè ha un calo di ritmo drastico e piuttosto evidente. La seconda parte è come un interrogazione dove il professore ti fa due domande: di una sai tutto, dell'altra sai mozzichi e bocconi e cominci a prendere tempo, cercando di creare la sostanza necessaria a rispondere alla domanda posta. La parte finale del film è questa. Non per niente in recensione porto in causa film come Crazy Heart, che ha un parallelo diretto, e Walk The Line, altro dramma musicale dove non esplode nulla; Johnny Cash era un tipo esplosivo, ma non letteralmente parlando.
In recensione spiego cosa ho trovato di rotto nella costruzione del personaggio e cosa credo non funzioni in chiusura.
Un difetto relativo. Nel senso che essendo un film di debutto ... beh, poteva andare molto peggio. I registi che esordiscono con un film di spessore sono una manciata e generalmente rimangono nella storia.
Questo film è un buon film. Godibile, di cuore, interessante, ma ad un certo punto mi aspettavo che dal pubblico si alzasse il ragionier Piersaverio Fantoni, scala C, che picchiettando nervosamente sull'orologio intimava, "ritmo, signor Cooper! Ci vuole ritmo!"; possibilmente questo intermezzo disegnato da Leo Ortolani.
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Alessandro Dioguardi
6 anni fa
Cooper si è preso sulle spalle, consapevolmente, un'operazione da 40 milioni. Difficile. Molto difficile. Non si può assolutamente dire che sia un brutto film. Come hai confermato anche tu, è un buon film.
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Arianna
6 anni fa
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Alessandro Dioguardi
6 anni fa
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