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The Beatles: Get Back è un autentico ritratto dei Beatles realizzato durante uno dei progetti più caotici della loro carriera.
La docu-serie targata Disney+ attinge da 56 ore di filmati e oltre 150 ore di registrazioni audio, sapientemente maneggiati da Peter Jackson, il quale riesce a offrire al pubblico una ricostruzione accurata degli eventi, un dono inestimabile che mette in imbarazzo per quanto è reale e tangibile.
Il materiale audio-video è stato montato, organizzato e suddiviso in tre episodi utili a raccontare il mese di prove della band britannica - dal 2 al 31 gennaio 1969 - per la realizzazione del loro tredicesimo studio-album Let It Be e di un presunto grande evento live.
[Il trailer ufficiale di The Beatles: Get Back]
Il primo episodio inizia negli studi Twickenham - nei sobborghi di Londra - e si conclude con l’abbandono di George Harrison, raccontato con grande sensibilità sulle note del meraviglioso pezzo Isn’t It a Pity (un brano che, ancora oggi, rappresenta il potenziale autoriale del chitarrista della band).
Un meeting fallimentare è il gancio ideale per l’inizio del secondo episodio che racconta i giorni dall’8 al 16 gennaio, il ritorno di George e il trasferimento della band al nuovo studio interrato Apple a Savile Raw creato appositamente per loro.
La prima parte del terzo episodio continua a raccontare le prove fino al 29 gennaio, in vista del celebre concerto sul tetto degli studi.
Il concerto viene presentato nella sua integrità nell’ultima ora dell’episodio, insieme al momento in sala missaggio, dove i Beatles ascoltano ciò che hanno suonato.
[Il brano composto da Paul McCartney e George Harrison che apre la docu-serie]
Prima di raccontare gli eventi di Get Back, risalenti al 1969, Jackson sceglie di dedicare 10 minuti a un rapido excursus sulla carriera dei Beatles partendo dagli esordi.
La serie televisiva, infatti, si apre con In Spite of All The Danger, brano composto dalla band britannica quando ancora aveva il nome di The Quarrymen: è il 1956, John Lennon ha solo 16 anni e decide di fondare un gruppo insieme a Paul McCartney e George Harrison, allora rispettivamente di 14 e 13 anni.
Da il 1960 al 1970 la band passò dal suonare al Cavern Club, con l’introduzione di Ringo Starr - considerato uno dei migliori batteristi di Liverpool - fino ad Amburgo, dando inizio alla cosiddetta Beatlemania, passando per gli Stati Uniti (la celebre esibizione all’Ed Sullivan Show), producendo due film per la United Artists (A Hard Day’s Night e Help!) e sconvolgendo il moralismo di quegli anni attraverso numerose polemiche di natura politica ed etico-religiosa.
[Immagine piuttosto rappresentativa della Beatlemania, fenomeno d'isteria adolescenziale senza precedenti che consisteva nell'adorazione incondizionata dei Beatles a prescindere dell'estrazione sociale, cultura, sesso o età. Ne emergeva un senso profondo di appartenenza, oltre che un modo per contrastare le convenzioni sociali, allontanandosi dal nido familiare e dalle sue noiose regole]
Come accennato, Get Back racconta i fatti legati al 1969 attraverso un vero e proprio reportage degli eventi.
Gli anni precedenti a Get Back furono terribili per la band britannica, anzitutto per la morte prematura del loro storico manager, Brian Epstein, figura fin troppo marginale nell’immaginario comune sulla storia dei Beatles, che prossimamente sarà protagonista in un film a lui dedicato.
Anni terribili anche per il graduale individualismo, gravato da una linea produttiva sempre più incerta, che iniziò a caratterizzare ciascun componente.
Gli umori di quel periodo trovano il loro perfetto spazio nel White Album, oggi molto apprezzato ma, di fatto, un lavoro che sembra concepito da quattro artisti solisti piuttosto che da una band.
L'Album Bianco prese vita nel 1968, dopo che la decisione di non suonare più dal vivo era già stata annunciata al pubblico qualche anno prima e dopo la colorata esplosione di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band e Magical Mystery Tour.
Quello stesso anno i Beatles girarono un promo per il singolo Hey Jude agli studi Twickenham.
Da questi problematici presupposti nacque il progetto Get Back, spinto dalla voglia di sperimentare attraverso nuove tecniche di registrazione e mixing, ma reduce da un periodo di distanza, fisica e emotiva, che i Beatles stavano vivendo.
[Un'immagine dal video promozionale del singolo Hey Jude, realizzato agli studi Twickenham nel 1968]
L’idea iniziale del progetto riguardava l’incisione di un album dal vivo davanti a un pubblico e la trasmissione dell’evento sotto forma di speciale televisivo.
Tutto ciò si sarebbe dovuto realizzare in poco tempo perché Ringo avrebbe dovuto partecipare al film Le incredibili avventure del signor Grand, insieme a Peter Sellers che, tra l’altro, appare per qualche minuto anche nella serie televisiva.
L’intero evento, comprese le prove, sarebbe stato filmato dal regista Micheal Lindsay-Hogg, già autore di numerosi documentari musicali.
Ciò che stupisce maggiormente delle riprese di Lindsay-Hogg e del lavoro di montaggio realizzato da Jabez Olssen e supervisionato da Peter Jackson, è l’introduzione dello spettatore all’interno di una dimensione sorprendentemente intima.
Il reportage di questo frenetico mese dà infatti la possibilità di entrare in contatto con il cosiddetto Beatle code - così lo chiamava John - ovvero la lingua segreta dei Fab Four.
Lo spettatore è inizialmente un intruso, spesso non capisce, è frastornato dalla velocità delle conversazioni, dai toni costantemente ambigui e dall’ironia tagliente.
Ma in men che non si dica è catapultato all’interno dello studio, in empatia completa con le personalità dei quattro musicisti.
[Peter Jackson racconta il processo di restauro dei filmati inediti per la realizzazione di Get Back]
In Get Back emerge la vera anima dei Beatles di quell’anno, i delicati rapporti di potere del gruppo e la costante sensazione d’incertezza che caratterizza ogni singola scelta, dalla più banale alla più complessa, da cosa ordinare per pranzo al futuro della band e verso quali obiettivi orientarlo, attraverso quali mezzi e con quali aspettative.
Il valore della rielaborazione delle riprese di quei giorni sta anche nella splendida rappresentazione dei “personaggi” di questa storia.
Se Yoko Ono è spesso una presenza silenziosa e ingombrante, una sorta di estensione del corpo di John, Linda e Mo (fidanzate di Paul e Ringo) mantengono una distanza più rispettosa nei confronti della band, partecipando alle discussioni di gruppo più come fan accanite.
Il rapporto Yoko-John è approfondito attraverso immagini in grado di far venire a galla tutte le problematiche dovute alla tossicodipendenza dei due, soprattutto all’intromissione dell’artista e musicista giapponese nelle dinamiche interne della band.
[Una delle numerose scene di Get Back in cui è presente Yoko Ono: una sorta di spirito che vaga per lo studio]
“John didn’t talk, so Yoko talked for John. [...] See, but their point is that they’re trying to be as near together as they can, they wanna stay together, those two.
So it’s all right, let the young lovers stay together, but it’s not that bad, you know.
We got a lot out of Beatles so - I think John’s thing now - If it came to a push between Yoko and The Beatles, it’s Yoko. ”
[John non parlava, perciò ha parlato Yoko per lui. [...] Per loro è importante cercare di stare il più vicini possibile, vogliono stare insieme, quei due.
Facciamo stare i due piccioncini insieme, non c’è nulla di male.
I Beatles, per noi, hanno significato tanto che - penso a John, ora - se qualcuno va spinto da parte tra Yoko e i Beatles, è Yoko”]
Paul, forse dimenticando di essere ripreso dalle telecamere, così si esprime rispetto alla presenza di Yoko e al fallimentare incontro avuto con George, dopo il suo improvviso abbandono del gruppo nel bel mezzo della realizzazione del progetto Get Back.
Subito dopo, guardando nel vuoto - con gli occhi lucidi - e mordendosi nervosamente le unghie, ironizza sul fatto che sono rimasti solo in due: lui e Ringo.
È un momento prezioso e incredibilmente toccante che riflette appieno il clima di tensione e angoscia che, da tempo, minacciava l’equilibrio del gruppo.
[Paul McCartney nervoso e preoccupato per il futuro del progetto e del gruppo, in una scena di Get Back]
Un altro momento rilevante, in questo senso, è sicuramente quello relativo alla conversazione registrata segretamente (solo in audio) tra John e Paul.
Anche in questo caso ciò che affiora è il fragile rapporto di potere tra i due leader della band.
Nella prima parte di Get Back Paul, il più talentuoso a livello tecnico, è quello che si dimostra più entusiasta nel ritornare a fare concerti davanti a un pubblico. Tutto sommato a suo agio all’interno di quel luogo asettico che era lo studio di Twickenham, sembra voler dirigere la band mentre gli altri - soprattutto John - subiscono passivamente i suoi ordini.
Le parole di Paul per incentivare il gruppo a scegliere la direzione da prendere sono emblematiche:
“We gotta have some serious reason for doing this or else we won’t.
What’s it for? Can’t be for the money. [...] When we do come together to play, we all just sort of talk about the fucking past, we’re like old age pensioners: ‘remember the days when we used to rock?’ But we’re here now and we can do it, you know?!"
[Dobbiamo avere una ragione seria per fare lo show, o non lo faremo.
Qual è questa ragione? Non possono essere i soldi. [...] Quando ci ritroviamo per suonare, ci mettiamo tutti a parlare del cazzo di passato, tipo vecchi pensionati: ‘ti ricordi quando suonavamo il rock?’ Ma siamo qui adesso e possiamo ancora farlo, sapete?!]
Nella seconda parte il gruppo si sposta negli studi Apple e John va incontro a una sorta di rinascita.
Adesso è lui il leader e giullare di corte: salta, balla, gioca, spinge per suonare il più possibile e condivide spunti per migliorare i pezzi.
[La conversazione tra John e Paul registrata segretamente]
Così, John e George in numerose situazioni iniziano a mostrare un atteggiamento saccente e scontroso nei confronti di Paul, anche se l'atteggiamento non è una costante.
Paul appare allora sempre più scontento e irrequieto, e quando ammette di non voler suonare il basso per i pezzi che lui stesso ha scritto per la chitarra acustica gli altri gli rispondono infastiditi.
È lui il “pignolo” incontentabile del gruppo e il suo perfezionismo, evidentemente, è considerato eccessivo dagli altri componenti della band che, invece, preferiscono suonare all’infinito, senza seguire necessariamente uno schema ben preciso, ma lasciandosi andare a un flusso creativo adrenalinico che mantenga alta la carica e la concentrazione.
Dei due leader del gruppo, in passato, si è parlato tanto, ma Get Back di Peter Jackson ha anche il merito di mettere in luce le personalità di George e Ringo, da un punto di vista artistico e personale.
Ringo è dolcissimo, spesso annoiato, silenzioso e di un’ironia unica, come nella scena in cui gioca con la piccola Heather, figlia di Linda Eastman.
George, invece, è un leader mancato, con le sue scarpette e i suoi cravattini stravaganti.
È sua l’idea di invitare Billy Preston durante le prove: un quinto Beatle per qualche settimana che, oltre a trasformare insieme a John il discorso di Martin Luther King “I have a dream” in I Want You (She’s So Heavy), fornisce al gruppo un sostegno musicale fondamentale, accompagnandoli anche nell’esibizione live finale.
Partecipare al processo creativo di pezzi come Get Back, I Got a Feeling, Dig a Pony o For You Blue è un'occasione più unica che rara.
I Beatles li registrano e poi li ascoltano insieme in sala mixaggio, per capire cosa cambiare e cosa invece mantenere invariato: le canzoni si formano gradualmente, a volte partendo da un banale riff improvvisato o pensato la notte precedente.
Si ha quasi la sensazione di non meritare l'opportunità di assistere a momenti tanto preziosi.
[Una fotografia di Ringo Starr all'interno degli studi Twickenham]
Get Back si conclude sul celebre concerto della band sul tetto degli studi Apple, il 30 gennaio 1969.
Dopo un mese di prove, toccando le più assurde ipotesi (tenere un concerto su una nave, all’anfiteatro di Sabratha in Libia, nella cattedrale di Liverpool, in un orfanotrofio), la band sceglie come palcoscenico per il presunto "ultimo live" la terrazza del loro quartiere londinese.
Il momento è magico e viverlo da spettatori lontani assume un fascino straordinario, al di là della passione nei confronti della musica del gruppo.
Qui il lavoro di montaggio di Get Back si supera decisamente: alle immagini del concerto si alternano riprese e interviste direttamente dalla strada, in cui i passanti si domandano cosa stia succedendo, chi stia suonando, da dove e per quale motivo.
C’è chi si lamenta del baccano, chi invece è contento di sentire i Beatles gratuitamente, chi dormiva ed è stato disturbato, chi è preoccupato per il blocco del commercio che quel fracasso stava causando.
L’arrivo della polizia di quartiere è decisamente la ciliegina sulla torta, una conclusione ironica che ci riporta un po’ ai primi anni '60 e all’ironia provocatoria dei Beatles rispetto al concetto di autorità.
I due agenti, stretti nelle loro severe divise, salgono sul tetto per tentare di fermare il concerto che disturba la quiete pubblica, ma rimangono inermi davanti al gruppo che continua a suonare.
Invitano a far abbassare il volume di alcuni strumenti, ma quando Mal (road manager dei Beatles, altra figura interessante che appare in Get Back) prova ad abbassare la chitarra, George lo guarda contrariato, riporta l’amplificatore al volume iniziale e continua a suonare.
Paul, alla vista dei poliziotti, sembra quasi galvanizzarsi e iniziare a cantare più forte.
Il concerto sul tetto è l’espediente, in Get Back ma anche nella realtà, per allentare le tensioni accumulate precedentemente: la band non aveva mai suonato così bene durante le prove, è un momento di grande gioia, un evento che resterà nella Storia della musica.
[I Beatles cantano Don't Let Me Down durante il loro ultimo concerto sul tetto degli studi Apple]
Il lavoro di Peter Jackson sul progetto, a distanza di così tanti anni, è stato in grado di riportare alla luce non solo un momento poco chiaro della carriera dei Beatles, ma anche nuovi punti di vista sulle personalità del gruppo, nel rapporto reciproco e nel dialogo con figure esterne come manager, sound designer, registi e direttori della fotografia.
The Beatles: Get Back, per ciò che racconta e per come lo racconta, anticipa con straordinaria efficacia il triste destino dei Fab Four.
Nella docu-serie viene introdotta la figura di Allen Klein, uno spregiudicato manager musicale e discografico noto per i suoi contratti milionari, ma anche per lo strozzinaggio e gli atti illegali.
John è completamente innamorato di Klein, lo elogia di fronte a George e Ringo e spinge affinché diventi il loro futuro manager.
Paul non è mai presente all’interno di queste riprese perché egli era fortemente contrario all’ingresso di Klein nel management del gruppo, tanto che al suo posto aveva proposto Lee Eastman, padre della sua compagna.
[Allen Klein insieme a John Lennon e Yoko Ono nel 1969]
Klein sarebbe diventato per volere della maggioranza il manager del gruppo, causando numerosi litigi caratterizzati da un costante dissenso di Paul sulle scelte artistiche.
La situazione sarebbe degenerata con l’arrivo di Phil Spector, celebre produttore assunto da Klein allo scopo di ritoccare alcuni progetti della band che non avevano riscosso il dovuto successo e alcuni brani già scritti o precedentemente registrati e mai pubblicati.
Spector, attraverso sovraincisioni e aggiunte di strumenti e orchestrazioni, favorì profonde modifiche di alcuni pezzi.
La delusione e la tensione accumulate da Paul, in completo disaccordo con questi cambiamenti, lo spinsero alla pubblicazione di una copia di un suo disco solista con una nota di accompagnamento nella quale, in una forma di auto-intervista, viene espresso il suo completo disamoramento nei confronti del gruppo.
La trovata venne ripresa a caratteri cubitali dai giornali e, nell’arco di una settimana, la Apple confermò che Paul McCartney aveva lasciato i Beatles.
[L'annuncio ufficiale sull'abbandono di Paul, riportato da Daily Mirror]
Così i Beatles si sciolsero in un paradosso senza precedenti: abbandonando la scena in modo - apparentemente - frettoloso e lasciando dietro sé un disco (Let it Be) completamente confezionato da terzi.
Ecco, dunque, il valore di The Beatles: Get Back: il progetto della band, da Twickenham fino al tetto degli Apple studios, costituisce l’ultimo vero addio dei Beatles, prima di quel deludente epilogo arrivato fin troppo presto.
Nel raccontare questo incredibile momento della Storia della musica, il lavoro svolto da Peter Jackson attraverso i suoi tre lunghi episodi di Get Back non fa altro che ripeterci che dei Beatles, in fondo, avevamo ancora bisogno.
Questa recensione è il risultato di una passione sfrenata per i Beatles, ma anche di tanto impegno per portare contenuti verificati e approfonditi, senza promuovere falsi luoghi comuni sulla Storia della band.
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