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Ogni maledetto Natale - Sopravvivere a banchetti agrodolci

Come un piatto goloso ma indigesto il disagio delle feste torna ogni anno, serpeggiando con mesi di anticipo, portando quel misto di noia disagio, tradizione, nostalgia, sorrisi, affetto, vicinanza: dopo ogni boccone, ci chiediamo perché non siamo rimasti a casa con una zuppa leggera e confortevole e dopo il necessario digestivo, tornando a casa, si sente già la nostalgia del caotico vociare, delle lasagne affogate nel burro che solo la nonna sa fare così buone

Ogni maledetto Natale una coppia si alza e sa che dovrà essere più forte delle domande insistenti, dei parenti antiquati, delle tradizioni che nessuno vuole davvero rispettare, delle infinite portate che vanno a minare anche la stabilità dello stomaco, oltre ai nervi già provati dalla riunione dei consanguinei.  

 

Il secondo film di Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e Mattia Torre (meglio noti come gli sceneggiatori di Boris) è di nuovo una commedia non convenzionale, che fonde comicità genuina, sentimentalità e scelte artistiche non scontate. 

 

[Il trailer di Ogni maledetto Natale]

 

 

Breve sinossi per capire se la ricetta regge

 

Giulia (Alessandra Mastronardi) e Massimo (Alessandro Cattelan) sotto sotto lo sanno già quando iniziano a frequentarsi: poco tempo li separa da uno scoglio enorme, che minaccerà la loro relazione come un iceberg minaccia il Titanic, una bomba a orologeria pronta a esplodere e spazzare via baci e notti passate insieme a Roma, lo spettro ricorrente che torna a manifestarsi mettendo in pericolo la stabilità di coppie e famiglie: la maledizione delle feste. 

 

Lei è una brillante e giovane architetta, lui si occupa di microcredito.

All'arrivo delle luci natalizie, Giulia scopre che Massimo sarà solo per la Vigilia e lo invita a casa propria; lui è titubante, ma finisce per accettare all'ultimo momento. Arrivano così insieme nella surreale cascina della famiglia Colardo: Giulia aveva avvisato Massimo che i suoi erano gente semplice, ma mai lui si sarebbe potuto immaginare quelle creature a metà fra esseri emersi dalla terra e contadini fermi a un passato lontano.

 

In men che non si dica si trova immerso in un surreale cenone, fra bizzarre e abbondantissime portate, parenti che lo credono uscito da una comunità per tossicodipendenti e caccia al cinghiale. 

Eppure a Giulia sembra tutto normale. Troppo normale. O forse sono loro a essere troppo diversi.

 

Forse è un bene che lei non sappia realmente da dove arriva lui.  

 

 

[Alessandro Cattelan e Alessandra Mastronardi in Ogni maledetto Natale]

 

E tutto il mondo alla fine è paese

 

La famiglia di Massimo si rivela l'esatto opposto di quella di Giulia: ricchi imprenditori, con sedi all'altro capo del mondo, che fanno donazioni benefiche da migliaia di euro e abitano in un'enorme villa, tenuta a lustro da un esercito di servitù filippina, capitanata da Corrado Guzzanti nei panni di Benji.

 

Se il ragazzo è provato da una relazione (forse) finita, al punto da valutare la richiesta del padre di partire per il Brasile e gestire gli affari di famiglia al posto del fratello in pieno delirio spirituale, la madre non pensa ad altro che alla beneficienza e il padre, più che il pranzo, aspetta i risultati del bilancio annuale. 

L'esatto opposto di quella di Giulia.

O forse no.

 

Perché pur se in modo diverso anche sua madre, come quella di Massimo (entrambe interpretate da Laura Morante, così come Francesco Pannofino veste i panni di entrambi i padri) sembrano avere a cuore molto più le apparenze della festa, che il suo vero significato religioso e sociale.

Se il padre di Massimo anche nel giorno di Natale non riesce a pensare ad altro che ai risultati economici dell'azienda di famiglia, quello di Giulia sembra usare la ricorrenza come pretesto per chiedere alla figlia di subentrargli come sindaco del paese. 

 

Questa fondamentale uguaglianza nella sostanza trova riflesso a livello tecnico nella scelta di usare lo stesso cast per le due famiglie: a parte Mastronardi e Cattelan, tutti gli altri attori interpretano infatti due ruoli ben distinti nei panni dei familiari di Giulia e Massimo, come a rispecchiare una stessa sostanza che si manifesta sotto sembianze diverse.

 

Due diverse e simili sfide che tentato di dividere una coppia, fra le incomprensioni e la forma che tornano ogni maledetto Natale. 

 

 

[Stefano Fresi, Corrado Guzzanti e Andrea Sartoretti in Ogni maledetto Natale]

 

 

Se fossi una ricetta: lepre in agrodolce alla senape e albicocche

 

Anche se a prima vista potrebbe somigliare a una classica commedia di Natale Ciarrapico, Vendruscolo e Torre realizzano un film che si pone come anti-cinepanettone.

 

Non c'è traccia di volagrità o forzatura, non c'è buonismo né ipocrisia, anzi. La voce fuoricampo che introduce la storia come una maledizione ricorrente dall'età della pietra e guida lo spettatore fino alla conclusione delle vicende fa da filo conduttore e commento ironico a un contesto già di per sé buffo proprio perché vero.

Ogni maledetto Natale presenta, in chiave esasperata e quindi comica, le situazioni che tutti si sono trovati a vivere nelle tavolate con parenti, soprattutto in qualità di più giovani della famiglia che si erano allontanati dalla tana paterna.

 

Il film condensa quel miscuglio di sensazioni ben note che tornano ogni volta alle feste: nostalgia per la felicità che provavamo da bambini e nonostante gli sforzi non riusciamo a ritrovare, malinconia per un mondo che a tratti non sentiamo più nostro, contrasto interiore fra volontà di tornare e coscienza delle domande terribili delle zie che ci attendono fra tortellini e arrosto.

 

Fra le lussose portate di casa Martinelli e la ghiandola di lepre che apre il cenone dei Colardo, nessuno dei due estremi descrive davvero lo stato emotivo del film.

 

Piuttosto, Ogni maledetto Natale è un piatto di lepre in agrodolce alla senape e albicocche: c'è un che di spirito selvaggio e animale, di paura e attaccamento alla terra, di eleganza che però risale dritta dalle conoscenze popolari. Il tutto in un gusto fra dolce e acido, con un apprezzabile grado di pizzantezza e la una punta si selvatico pungente che sorprende.

Come le feste sono nell'età adulta: un piatto ricercato, che però non chiede grandi ricchezze o ingredienti esotici e per questo sa anche di casa, per qualunque ceto sociale.

Anche se non lo si mangerebbe tutti i giorni, fa comunque tornare voglia di essere gustato; un piatto che sa un po' di leggenda, di sfida ai fornelli e alla stabilità mentale.

 

Ogni maledetto Natale una coppia si alza e sa che dovrà essere più forte della minaccia che minerà la loro relazione. 

 

Ogni maledetto Natale una casalinga si alza e sa che il suo arrosto non sarà mai abbastanza buono per sua suocera. 

 

Per i più temerari: la selvaggina è una delle grandi sfide della cucina, ma con poche accortezze è alla portata di tutti.

Prima di tutto, acquistare solo da fornitori certi, che hanno fatto controllare l'animale per certificarne lo stato di salute; poi tenere in considerazione che è una carne molto più "vera" perché non si ridurrà in padella, ma è anche più asciutta e delicata in cottura: non sono animali pasturati e la massa grassa è poca.

 

La lepre è fra le carni selvatiche più raffinate: iniziate la preparazione tagliandola a pezzi e lasciandoli immersi in una soluzione di metà acqua e metà aceto per alcune ore.

Tamponate bene la carne, cospargetela di senape cremosa (ma se tenete all'occhio, anche un po' di semi di senape scura pestati) e lasciate insaporire per altre 4-5 ore.

Nel frattempo mettete una decina di albicocche secche a bagno nel brandy.

 

Stufate una cipolla bionda nel burro con tanto rosmarino tritato, rosolate bene la lepre con tutta la sua senape, salate, pepate, aggiungete le albicocche ammollate e tagliate a pezzetti e il brandy residuo.

Se volete un sapore più agro aggiungete un'altra spruzzata di aceto.

Coprite e fate cuocere per un paio di ore, aggiungendo brodo caldo ogni volta che asciuga troppo. 

 

Servite caldo, con il vino portato in regalo dal vecchio zio (anche se fa schifo, a Natale siamo tutti più buoni e non glielo diciamo).

___ 

 

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