#CinemaeFilosofia
Al posto di ragionare intorno a concetti filosofici attraverso i contenuti di un film, come faccio di solito, Holy Motors in particolare mi ha fatto riflettere sulla filosofia del cinema.
Ma ripartiamo dalla concezione dell'estetica per Aristotele già delineata in quest'altro articolo:
"Due cause appaiono in generale aver dato vita all’arte poetica, entrambe naturali: da una parte il fatto che l'imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia (e in ciò l’uomo differenzia dagli altri animali, nell’essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo delle imitazione le nozioni fondamentali), dall’altra il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni.
Ne è segno quel che avviene nei fatti: le immagini particolarmente esatte di quello che in sé ci dà fastidio vedere, come per esempio le figure degli animali più spregevoli e dei cadaveri, ci procurano piacere allo sguardo.
Il motivo di ciò è che l’imparare è molto piacevole non solo ai filosofi ma anche ugualmente a tutti gli altri, soltanto che questi ne partecipano per breve tempo."
Questo stralcio dal paragrafo quarto della sua Poetica ci dice che imitare è costitutivo della natura dell'uomo, è educativo, ed è onorevolmente (qui lo stagirita è in pieno contrasto col maestro Platone) piacevole - anche qualora vengano rappresentati elementi alla cui visione nella realtà ci indurrebbero al disgusto, ma che nella visione rappresentativa ben realizzata ci procurano persino piacere.
Per quest'ultimo aspetto Aristotele pensava al suo tempo ed alle tragedie, ma l'esempio dei film dell'orrore apparirebbe a lui per primo assolutamente calzante.
L'uomo è zoon mimetikataton: l'animale più mimetico/imitativo di tutti.
Al confronto con le capacità mimetiche di un attore, naturalmente, tutti noi siamo animali di un più basso rango, pur non perdendo questa caratteristica costitutiva, e questa espressione spiega molto bene quella che potrebbe apparire come una scelta gratuita e grottesca di inserire delle scimmie nella casa del protagonista di Holy Motors a rappresentazione della moglie e della figlia.
O più precisamente nell'ennesimo ruolo affidatogli di padre e marito.
[Riferimenti a Il dottor Mabuse di Fritz Lang e alla famosissima "estasi dell'oro" di Morricone-Leone. Non sorprende sapere che Leos Carax abbia scritto parecchio per i Cahiers du Cinéma e sia un cinefilo di ferro]
Holy Motors è fondamentalmente un film sulla facoltà mimetica e sul ruolo estetico della performance attoriale in senso lato, e quindi non soltanto sul Cinema, ma in particolare su di esso.
"Mi mancano le telecamere, quelle che una volta erano più grandi di noi e ora sono più piccole della nostra testa", dice ad un certo punto il protagonista.
Perché un accento sul Cinema e non sul teatro, ad esempio?
Andrebbe indagato quale sia l'elemento che fa del Cinema ciò che è: molti teorici l'hanno individuato nel montaggio, altri ancora nell'effettistica (speciale e visiva); per quanto mi riguarda - seguendo anche i suggerimenti del film - indagherei anche la nozione di genere e della giustamente rinomata illusione di realtà.
Holy Motors non parla di altro se non della costruzione di se stesso: a un certo punto sentiamo il personaggio principale sostenere di avere ancora trenta minuti da dedicare ad un nuovo appuntamento.
Per curiosità ho sbirciato il minutaggio del film e, l'avrete ormai intuito, mancavano esattamente trenta minuti alla fine di Holy Motors.
È sufficiente che si preoccupi di sé questa pellicola perché nel suo insieme essa attraversa l'intera Storia del Cinema.
[il "sacro motore" dello sguardo - di celluloide o di carne che sia - è chiuso]
Il film si apre in un cinema dove è proiettato uno spezzone tratto da un film delle origini, e poco dopo scopriamo di essere a Parigi (la città dove il Cinema è nato).
Il signor Oscar (ma dubito sia mai uno di uno invece che uno di centomila) è lo zoon mimetikataton che uno dopo l'altro ci pone davanti ad "appuntamenti" ognuno di un genere differente sposato dalla settima arte: abbiamo il documentario, il genere fantastico, il grottesco, il dramma sentimentale, il discorso paternalistico da film di formazione e quello didascalico da estremo commiato, e poi ancora il genere revenge movie, e finanche il musical; e, sullo scadere della giornata lavorativa, persino il comico.
"Dobbiamo assolutamente ridere prima di mezzanotte", dice l'Attore poco prima di abbandonarsi ad una freddura nonsense degna di Groucho Marx e con una punta di autoreferenzialità.
Particolarmente rilevante è l'episodio dove viene rappresentata la tecnica del motion capture, dove attori e attrici non solo animano per proiezione figure digitalizzate, ma trasmettono loro le proprie emozioni somatizzate in espressioni.
E a metà film l'entr'acte, a citare l'omonimo film del 1924, manifesto del cinema dadaista, ma anche a definire semplicemente "l'intervallo" fra una parte e l'altra di una stessa proiezione o fra due diverse.
[L'entr'acte del film]
Alex Oscar (anagramma di Leos Carax) è l'Attore, l'animale più imitatore di tutti, usa la limousine come camerino su ruote: un motore che non può arrestarsi proprio come la produzione di una qualunque pellicola.
Il mimetikataton ci regala assieme al regista una perla che ci lascia di che riflettere sullo statuto di quell'arte amata, fatta di tagli di montaggio che illudono lo spettatore di una realtà anche tragica, come la morte di un personaggio, quando quest'ultimo, animato da un attore, dopo lo "STOP!" si rialza ripulendosi il sangue finto di dosso (ripensate alla strepitosa scena sulla Hollywood Walk of Fame in INLAND EMPIRE, circa questo aspetto).
Eppure proprio come a teatro lo sguardo della macchina da presa (il famoso cineocchio vertoviano) ha bisogno di ciò che glielo restituisca perché possa definirsi uno strumento di senso.
E sarà l'occhio dello spettatore.
Nella scena iniziale vediamo invece una platea intera ad occhi chiusi di fronte agli spezzoni di un film delle origini.
Il regista dopo il suo cameo iniziale dove sembra controllare dalla loggia di quel cinema la situazione, invece, ci tiene da lì in poi incollati alla visione del suo film, e siamo noi spettatori, il nostro occhio attento, a fare sì che Il Filosofo (per chi non lo sapesse: era questo l'appellativo con cui ci si riferiva fin dai tempi della scolastica medievale ad Aristotele) avesse ragione, e che l'atto mimetico diventi fonte di conoscenza, piacere ed elemento spiccatamente umano.
Mai come in concomitanza con l'apertura degli anni '10 (i nostri anni '10), fra il dissolversi dell'analogicità e nella riproducibilità tecnica di ogni cosa, Carax poteva sostenere un messaggio più significativo, ed è questo che fa di questo Holy Motors un film epocale.
E allora - a dispetto di ciò che il regista paventa con il suo finale - lunga vita a coloro che pronunciano e a coloro che ascoltano ripetere migliaia di volte per noi:
"Motore [da italiano mi piace spiegarmi anche così il titolo, ndr] partito!
Audio... partito!
Ciak in campo... e... AZIONE!"
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3 commenti
Sky
4 anni fa
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Sebastiano Miotti
4 anni fa
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Emanuele Cortellini
5 anni fa
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