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The Substance e i vizi delle società spettacolarizzate

Coralie Fargeat dirige The Substance come un affresco della società mediatizzata contemporanea, costringendo lo spettatore a inorridirsi davanti alle dinamiche dello Star system e ai meccanismi di oggettificazione del corpo che lo caratterizzano

The Substance è il secondo lungometraggio diretto da Coralie Fargeat, con Demi Moore, Margaret Qualley e Dennis Quaid il film è stato premiato al Festival di Cannes 2024 per la Migliore Sceneggiatura; presentato in anteprima alla XIX edizione della Festa del Cinema di Roma nella categoria Best 2024 è stato poi distribuito nelle sale italiane. 

 

The Substance è un body horror critico e fastidiosamente esplicito, che utilizza il disgusto come filo rosso per narrare la disgregazione fisica e psicologica della protagonista Elisabeth Sparkle (Demi Moore).  

 

Attrice attraente e di successo, Elisabeth è costretta a fare i conti con l’avanzare della vecchiaia e con la perdita di opportunità che questa comporta, offrendo alla regista l’occasione di rappresentare una critica al meccanismo di mercificazione della corporeità. 

 

[Il trailer di The Substance]

 

 

David Cronenberg e l’effetto distorsivo dei media

 

Il fulcro tematico di The Substance si articola intorno al modo in cui i media, con l’asfissiante insistenza sull’apparire che è loro propria, alterano i rapporti sociali e la capacità dei soggetti di autocomprendersi come dotati di significato. 

 

La carriera di Elisabeth nell’industria dell’intrattenimento lega saldamente il senso della sua esistenza alla propria esteriorità e, nel momento in cui essa non è più adatta a soddisfare le richieste del pubblico, la protagonista cade vittima del medesimo meccanismo che fino ad allora le era risultato vitale. 

La donna infatti, spogliata della propria immagine, perde assieme ad essa anche la sua identità, facendo proprie le insicurezze che avevano spinto i telespettatori ad esserle così affezionati. 

 

Secondo questa lettura i sistemi mediali contemporanei modificano nel profondo la natura umana e l’intera pellicola gioca sul parallelismo tra la distorsione della percezione della protagonista e il processo disgregativo del suo corpo.

Già David Cronenberg si era avvalso del body horror per mostrare come il progresso tecnologico impattasse simultaneamente sulla psiche e sull’organismo e The Substance, muovendosi secondo questa simmetria, segue le orme di capolavori del genere quali Videodrome o La mosca.

 

Coralie Fargeat, esplorando una regia minuziosa e ossessiva, utilizza il corpo come materia prima per costruire una critica a ciò che Guy Debord aveva definito Società dello spettacolo, dove l’immagine si erge a mediatrice dei rapporti sociali, edificando modelli sulla base di criteri estetici e riducendo la vita di molti individui all’inseguimento spasmodico del corpo “perfetto”. 

 

Sue (Margaret Qualley), l’alter ego “migliore” di Elisabeth, nonostante rispetti appieno questi canoni di bellezza mostra una figura plasticosa e artificiale che, per questi motivi, risulta volutamente fastidiosa alla vista.

Mentre il corpo appare innaturale, mai più reale di una pubblicità ben architettata, la divergenza tra il sorriso della giovane e il suo sguardo intriso di lacrime non lascia dubbi sul fatto che, a conti fatti, sia anche lei vittima della logica spietata dello spettacolo.

 

In The Substance a mio giudizio il ribrezzo non è veicolato tramite l’elemento dello splatter che, seppur molto presente, fa da sfondo a personaggi così deprecabili e interazioni così viscide da risultare solo il coronamento del disagio avvertito durante l’intera proiezione. 

Harvey (Dennis Quaid), ad esempio, si presenta esplicitamente come portavoce dei desideri del pubblico, lasciando intendere che i suoi sguardi predatori e i suoi sorrisi ipocriti siano solo la punta dell’iceberg di una società profondamente viziata dall’ossessione per il corpo. 

Gli spettatori insaziabili reclamano la carne, salvo poi gridare all’abominio quando il risultato della loro disumanità fa il suo ingresso allo show di capodanno. 

 

A fare da contraltare alla figura del produttore senza scrupoli tuttavia non troviamo una protagonista dai tratti eroici; al contrario Elisabeth si allinea interamente ai meccanismi di oggettificazione, facendo esperienza della realtà in un modo che Iris Marion Young aveva definito "Self-referred".

In accordo con questa visione, secondo l’autrice particolarmente calzante per la componente femminile della società, il soggetto si percepisce costantemente come guardato ("as looked at") e interiorizza gli occhi altrui al punto da pensarsi parallelamente anche come oggetto.

 

Elisabeth è, in fin dei conti, l’antagonista di se stessa.

 

Riportata alla sua imperfezione dall’incubo della coscia di pollo, Sue capisce ben presto quanto sappiano essere taglienti gli sguardi dei produttori, affrettandosi infatti a coprire le proprie forme per evitarne il giudizio.

Molti autori si sono espressi sul paradosso dell’attuale modello economico, che insistentemente teso verso il profitto non sembra avere gli strumenti per lenire la solitudine e promuovere uno stile di vita autentico. 

 

Herbert Marcuse aveva descritto, anche se forse con eccessivo pessimismo, una società unidimensionale all’interno della quale il miglioramento del tenore complessivo di vita si accompagna con un’esistenza individuale assuefatta. 

I mezzi propagandistici e pubblicitari utilizzano infatti il proprio carattere ipnotico per produrre nella popolazione ciò che l’autore chiama "coscienza felice", ossia una forma di alienazione in cui una vita grigia ed etero-diretta viene confusa con una condizione naturale e soddisfacente. 

 

Come ci ricorda il personaggio di Harvey in The Substance "Le belle ragazze [modello della società, ndr] dovrebbero sempre sorridere"

 

Coerentemente Coralie Fargeat dirige le scene del programma televisivo di Sue consapevole di questo carattere magnetico e, avvalendosi di immagini esplicite e un sound design assordante, tiene lo spettatore intontito ancorato allo schermo. 

Marcuse si spinge oltre, affermando che la manipolazione verticale produca nello spettatore falsi bisogni, come il desiderio sfrenato al consumo. 

 

Da questa prospettiva Elisabeth è il simbolo della donna a una dimensione che, dapprima appiattita sulla sua immagine televisiva, finisce per dissolversi nell’allegra e atletica Sue.

 

 

[The Substance: Elisabeth sola davanti alla gigantografia di Sue]

 

 

Il grande inganno: tu sei una

 

Oltre a mettere in scena una critica originale e agghiacciante dei processi mediatici odierni, The Substance tratta alcune questioni centrali della filosofia teoretica.

 

Il tema più evidente si riferisce sicuramente alla separazione mente-corpo che, fin dagli albori del pensiero umano, concepiva quest’ultimo come mero recipiente dell’anima. 

La psiche ha storicamente goduto di maggior dignità rispetto al suo corrispettivo organico ed era il vero elemento caratterizzante della soggettività.

Platone, ad esempio, pensava il soma come prigione dello spirito ed è nella carne che il cristianesimo individuava la sede del peccato.

 

Nel saggio sull’intelletto umano John Locke immaginava, al fine di capire cosa determinasse l’identità personale, che la mente di un principe e di un calzolaio fossero scambiate e concludeva che il criterio d’identità si riducesse alla continuità psicologica: il principe rimaneva se stesso in virtù dei propri pensieri e ricordi sopravvissuti al trasferimento e lo stesso valeva per il calzolaio; il corpo veniva ancora declassato a elemento secondario nel definire l’individualità.

 

La voce monotonale che spiega a Elisabeth il funzionamento della sostanza ricalca questo approccio dicotomico, ribadendo a più riprese: "Tu sei una", lasciando intendere che l’identità della donna sarebbe perdurata nel passaggio dalla matrice a Sue. 

L’esito tragico di The Substance tuttavia sembra squalificare questa prospettiva, arrivando a mostrare le due versioni impegnate in un combattimento mortale. 

 

Agli inizi del ‘900 fu la fenomenologia a rivitalizzare il corpo come principio dell’esperienza soggettiva e, introducendo la nozione di mente incarnata, pose fine all’antitesi tra res cogitans e res extensa

Il pensiero fenomenologico afferma che non si dà cognizione senza corporeità, la quale plasma il modo in cui percepiamo e pensiamo il mondo.

 

In particolare il corpo biologico traccia le nostre possibilità strumentali (affordances) nell’ambiente, definendo i nostri “io posso” e “io non posso” che, una volta assunti, si pongono come linee guida del pensiero pratico. 

Da qui la distinzione di Edmund Husserl tra Korper, corpo oggettivo visto da una prospettiva in terza persona e concepito come semplice involucro del pensiero, e Leib, il corpo vissuto inteso come sorgente primaria d’esperienza.

 

In The Substance Elisabeth pensa il corpo di Sue nel primo senso, illudendosi che la giovane possa limitarsi ad accogliere la mente della donna senza distorcerne le abitudini e i desideri.

In verità, nel momento in cui la psiche della matrice si incarna nel suo alter ego, muta coerentemente con la sua nuova forma e, mentre gode della riscoperta bellezza, Sue si concretizza come mente incarnata a sé stante.

Senza scomodare la filosofia, Fargeat mostra chiaramente come l’ambiente esterno riservi trattamenti differenti in base all’estetica con cui vi entriamo ed è dunque scontato affermare che, a corpi diversi, debbano corrispondere diversi tratti psicologici. 

 

Ecco svelato il grande inganno: se il venditore misterioso avesse avuto a cuore la verità, il suo ammonimento sarebbe dovuto suonare così: "Dal momento in cui assumi The Substance, tu sei due".

 

 

[The Substance: psicologia differente, medesimo gesto]

 

 

Imperturbabilità nel tempo 

 

The Substance è un film che parla di soggettività e, più nello specifico, di come la mancata accettazione dei propri mutamenti interiori ed esteriori conduca a una dissoluzione morale e alla deformità dello spirito.

 

Nell’antichità il pensiero greco e romano aveva insistito sull’imprescindibilità di accogliere la propria finitezza al fine di coltivare un’esistenza autentica e, non a caso, la dottrina stoica dedica fiumi d’inchiostro all’analisi del rapporto tra l’uomo e il tempo.

Quest’ultimo è l’elemento ingovernabile per eccellenza e l’atteggiamento del saggio consiste nel comprendere che come scrive Lucio Anneo Seneca “ogni giorno moriamo” e che, di conseguenza, prima si assimila l’idea della fine e prima si potrà vivere liberamente.

Il filosofo stoico prescrive oltretutto la cura di sé attraverso una forma particolare di difesa dal mondo esterno: la discriminatio. L’esercizio di questa facoltà consente di filtrare gli stimoli e, in questo modo, di rimanere saldi e resistere alle tentazioni. 

La realtà è concepita come una continua verifica della nostra solidità e questo approccio permette di viverla in modo da privilegiare la buona riuscita del nostro demone interiore, anche quando dovesse venir messo alla prova da una società inautentica e corrotta.

 

Elisabeth incarna il contrario di questa direzione comportamentale e, perdendo sé stessa in un inseguimento senza fine, agisce come uno stultus, la condizione da cui Seneca raccomanda con maggior vigore di tenersi lontani.

Se è vero che prendersi cura di sé significa evolversi, dislocandosi dal proprio stato attuale, è altrettanto importante che il cammino intrapreso durante il proprio viaggio sia giudizioso.

 

Quando in The Substance Sue decide di estrarre ad oltranza la linfa vitale da Elisabeth completa l’autosabotaggio di entrambe le protagoniste: l’inquadratura si rimpicciolisce e questo, fuor di metafora, significa che l’autodistruzione finisce sempre per coincidere con la perdita della ragione nel buio della propria mente.  

 

 

[Demi Moore in The Substance]

 

 

Conclusioni

 

The Substance è a mio avviso un film audace che affronta a viso aperto alcune tematiche complesse e molto discusse e per questo si fa perdonare la ridondanza di alcuni schemi, così come l’eccessiva didascalicità. 

 

I personaggi non hanno caratterizzazione al di fuori del loro ruolo tematico e comunicano tramite dialoghi scarni ma incisivi, adatti all’impostazione allegorica del film.

Se da un lato la svolta comica di Elisabeth dopo l’ultimo cambio non rende giustizia alla tensione costruita fino a quel momento, dall’altro introduce lo spettatore al cambio di registro che informerà il finale. La sequenza conclusiva è infatti dichiaratamente surreale e, con intensa accezione simbolica, utilizza il sangue e il gore per imbrattare fisicamente un pubblico già concettualmente vomitevole.  

 

L’elemento distorsivo, in verità, era già presente nella prima parte della trama ed è qui che Fargeat utilizza l’assurdo nel modo migliore per comunicare un concetto: alterare il mondo quel tanto che basta a isolarne le criticità.

In fin dei conti quante donne hanno incontrato personaggi non troppo dissimili da Oliver (Gore Abrams) o da Harvey? 

 

The Substance è una pellicola provocatoria che affianca citazionismo esplicito e personaggi tipizzati a scelte originali e immagini coraggiosamente crude, lasciando lo spettatore confuso e inorridito e, in ultima analisi, recapitando il messaggio in modo inequivocabile.

 

Per un secondo tentativo si può concordare che l’obiettivo sia stato raggiunto.

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