#CinemaeFilosofia
Il film di Tom Ford parla della necessità tutta umana della comunicazione scritta e di come la "katharsis" aristotelica sia oggi chiamata immedesimazione ed empatia ma continui a reggere il tessuto di ogni buona trama. Vediamo come.
La forza espressiva delle parole su carta sa essere più intensa, precisa, esatta, in una parola: scelta.
Un importante filosofo francese contemporaneao, Jacques Derrida, parafrasando la famosa proposizione di chiusura del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein
"Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" affermò:
"Su ciò di cui non si può parlare si deve scrivere".
Scrivere e consegnare il contenuto di ciò che si è trattato alla persona destinataria di esso non implica la nostra presenza simultanea.
Questo libera la nostra immaginazione dalla realtà dei fatti e consente di immaginare reazioni e sentimenti di quella nell'atto di leggere, e non solo, è anche una forma di disincarnazione: viene meno la responsabilità nei confronti della propria stessa presenza corporea in quel dato luogo (quello della lettura) lasciando libero il possibile lettore, prima di tutto di scegliere se leggere, e in secondo luogo di farlo quando lo desidera e di scegliere anche se rispondere e quando farlo).
La scrittura sarà sempre il mezzo privilegiato del discorso amoroso e della sua espressione.
Anche perchè essa è il più delle volte metaforica, veicolo di un sottotesto implicito che si spera capito o, quantomeno, percepito.
Il discorso verbale diretto, invece, è esplicità, chiarimenti simultanei e pertanto imprecisi, retropensieri, aspettative e distrazioni.
L'amore si fa con il corpo, fisicamente uniti, ma si dice con la mente, fisicamente distanti.
Altro tema che suscita Animali notturni, grandissimo film d'autore, è la tendenza psicologica umana all'empatia ed all'immedesimazione.
I personaggi di questa vicenda sono potentemente emozionali e farli aderire alla propria esperienza non richiede particolare sensibilità.
Il meccanismo psicologico in cui inciampa la nostra mente posta di fronte ad un film o ad un libro, in ogni caso, è strabiliante.
Perchè crediamo che storie che in senso stretto non ci riguardano parlino di noi?
Che sia un meccanismo evolutivo l'apprendimento per immedesimazione? La compassione?
Riportare la realtà oggettiva alla propria esperienza soggettiva è di fatto l'unico atteggiamento possibile per degli esseri prospicenti.
Ma l'assiduità con cui ci immedesimiamo in storie fra loro differenti anche più volte al giorno è strabiliante. E arrivando alla modificazione tangibile dei nostri stati psicofisiologici: arrivando persino a piangere, realmente, di lacrime reali.
Questa cosa non era sconosciuta ad Aristotele che nella sua Poetica ci parla della katharsis che si attua di fronte ad una trama ben riuscita [la Poetica è fondamentalmente un manuale per comporre buone trame, ed è perfetta per leggere il cinema. E non sono certo il solo ad affermarlo, ndr]
Aristotele ci racconta come, di fronte alla rappresentazione di una tragedia, I persiani di Eschilo, tutta Atene fu sconvolta da pianti inesausti.
Il Filosofo parlò di "purificazione dei sentimenti", e non è chiaro se sia dei propri, dai propri, o se la purificazione sia dei sentimenti in sé.
Come dicevo all'inizio il sollievo per la propria posizione fisicamente distaccata dalla vicenda porta la nostra psiche, posta in questa posizione di sicurezza, a sapere di potere immedesimarsi potentemente proprio perchè non distratta dal primo pensiero di temere per la propria incolumità, potremmo dire.
Il riconoscimento della propria condizione visto trasposto fuori di noi ci meraviglia ed emoziona a tal punto di giungere alle lacrime, o comunque al sentire il nostro corpo scosso da cambiamenti fisiologici espliciti (sospiri, deglutizioni, accelerazioni del battito).
Più è forte il senso di immedesimazione più la mente non cede alla distrazione e aderisce agli eventi posti di fronte agli occhi.
Questo aspetto lo si vede molto bene nei film dell'orrore.
E il senso di soddisfazione per la risoluzione degli eventi esterni a noi ma anche in noi - qualunque sia il decorso del film, tragico o consolatorio - porta proprio alla catarsi: al riconoscimento avvenuto e risolto e, infine, al sollievo (la tradizione della filosofia estetica settecentesca - ma così come la comunità culturale tutta, dai poeti ai letterati - indagherà a fondo questo sentimento, che chiama "Diletto", e, più propriamente, "Sublime"; quel sentimento tutto umano del cessato pericolo, il piacere che sorge dallo spiacevole, quello che, per capirci, in un animo culturalmente educato si leva facilmente nell'osservare le manifestazioni naturali più terribili da una posizione di sicurezza).
Susan in Tony non può che immaginarsi Edward.
Riconoscerlo, riconoscersi e riconoscervi la loro storia.
Passa attraverso una cortina di lacrime che la purificano, ed è un fatto che le lacrime siano uno sfogo dall'interno all'esterno di noi stessi: una purga.
Edward può solo immaginare tutto ciò.
Quello che le sue parole sono riuscite a realizzare.
In mano ha soltanto una mail e un aggettivo:
"Sono sconvolta".
Non si presenterà, non può farlo.
Anche l'odio si fa con la presenza corporea ma si dice con le menti assenti.
11 commenti
Matteo Tocci
6 anni fa
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
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Claudio Serena
6 anni fa
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Benito Sgarlato
6 anni fa
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
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Claudio Serena
6 anni fa
Quanto mi piace, comunque, quando un film non esplicita il finale al 100%, permette allo spettatore di usare la propria testa ed immaginazione.
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Francesca Sica
6 anni fa
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Claudio Serena
6 anni fa
Dare un appuntamento (le manda un sms con scritto "dimmi dove e quando") e poi non presentarsi la vedo una vendetta frivola e di poco valore. Non darle più la possibilità, in alcun modo, di parlargli è, invece, una vendetta molto più subdola ed efficace.
Edward, in fondo, è, e si reputa, un codardo. Ed il suicidio è l'atto più coraggioso che un codardo possa fare
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
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Sebastiano Miotti
6 anni fa
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