#CinemaeFilosofia
La casa non è un film che spaventi o inquieti.
Certe scene sono stomachevoli e visivamente raccapriccianti, ma la paura e il disgusto (si pensi a Inside Out) sono due emozioni ben distinte.
Non ci si inquieta minimamente con La casa perché è un film totalmente visivo, e la paura è invece un'emozione tutta concettuale.
Del resto non è la sola emozione suscitata dal Cinema dell'orrore: come ho descritto sono decine le sottili sfumature emotive che può veicolare.
La casa La casa La casa
L'attenzione durante il film è volta soltanto a valutare quanto sarà splatter la scena successiva, non c'è vera tensione.
Questo è il fenomeno chiamato del torture porn, di quei film che giocano sul voyeurismo spettatoriale - nel qual caso, quello legato alla rappresentazione di scene macabre, sanguinarie e indubbiamente, in questo, fini a se stesse.
Paradossalmente non è coraggio quello di chi si interessa a queste pellicole.
Paura e tensione cedono il posto all'attrazione per ciò che disgusta.
Ciò che spaventa non vuol essere visto, ciò che disgusta, invece, spesso non può fare a meno di essere guardato.
La casa è, sì, un torture porn, ma alterna anche momenti d'ironia grottesca ispirati dalla trilogia d'origine degli anni '80 di Sam Raimi, per cui si sentono dialoghi completamente assurdi e comportamenti totalmente irragionevoli (come della pioggia - di cui non dirò la consistenza - che pare cadere orizzontalmente).
Momenti voluti per sbilanciare a tal punto il comune buon senso da risultare ridicoli, talvolta esilaranti.
[Un personaggio ironico quanto raccapricciante, in una parola: "grottesco"]
Quando in qualunque rappresentazione artistica si giunge alla piena consapevolezza dei mezzi espressivi si tende a rivolgere il linguaggio su se stesso adottando una meta-visione che spesso ironizza sui propri canoni.
Come siamo giunti a prenderci beffe della paura?
Come siamo giunti a rappresentare, figurarci e, poi, dire la paura?
Tenterò un'analisi sull'origine di ciò.
Come è stato acutamente osservato il genere horror sviscera il rapporto fra il razionale e l'irrazionale; quando un evento sfonda la barriera della verosimiglianza (ciò che potrebbe essere vero) l'evento stesso, per quanto potesse essere eccezionalmente macabro in principio, apparterrà, ora, alla sfera del ridicolo.
Più propriamente andrebbe definito come grottesco, ma con la consapevolezza che ciò fa parte del registro della comicità e non dell'orrore.
Un corpo che, colpito, prende una traiettoria fisicamente impossibile, un uomo che ferito all'inverosimile ancora parla e agisce ci fanno "tirare un sospiro di sollievo", poiché la non-verosimiglianza di ciò che vediamo ci fa etichettare tutto ciò come finzione; e ciò che riteniamo non-vero non inquieta mai.
Intendiamoci, l'irrazionale può sembrarci verosimile (tant'è che le storie di possessioni demoniache e affini inquietano tutt'oggi molti di noi); la verosimiglianza è una categoria mentale, e ciò che anche solo potrebbe essere vero basta ad allarmarci.
Ciò che ci solleva è invece l'impossibile (o meglio, ciò che riteniamo essere impossibile; e l'impossibile non è, come si è visto, l'irrazionale, ma è il razionale disatteso: ciò che non poteva essere e, pure, è.
La differenza è molto sottile, ma è decisiva per definire se ci spaventeremo o sorrideremo di fronte a una rappresentazione reale o fittizia (eppur creduta vera) che sia.
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Sembrerebbe che l'impossibile possa "essere" soltanto in uno spazio non sottoposto alle leggi fisiche della realtà: in un film o in un'altra opera di finzione, appunto.
Ci verrebbe da dire che solo in un film se getto qualcosa a terra questa possa non cadere verso il basso, non certo nella realtà.
Credere questo significherebbe anche affermare che la realtà sia completamente razionale e che siano stati i film e, prima, i libri, a portare l'Uomo a pensare all'irrazionale.
Sappiamo che non è così: in primo luogo perché quei libri e film che contengono l'irrazionale sono frutto di idee umane che, logicamente, non possono aver preso spunto da opere di finzione che ancora non erano state prodotte.
Inoltre Demoni e Dei sorsero nella mente umana ben prima che il primo libro fosse stato scritto.
L'irrazionale, piuttosto, in origine potrebbe essere sorto dai racconti; ma questo stimola la domanda: e questi da dove presero a loro volta spunto?
Se la realtà è fisica, come potè sorgere l'idea della metafisica?
Molti suggeriscono che possano essere stati i sogni: lì i primi uomini hanno scoperto l'irrazionalità.
Sono concorde, ma non solo i sogni.
Sembra paradossale, ma ci sono casi in cui nello stato di veglia sperimentiamo l'irrazionale, o meglio, quello che ho chiamato il razionale disatteso.
Porterò un esempio con cui è possibile empatizzare con semplicità: quando una persona finge di essersi fatta molto male ma che, non appena ci siamo avvicinati, comincia a ridere rivelando che si tratta di uno scherzo è un caso in cui il razionale viene disatteso, poiché razionalmente ci siamo prefigurati degli effetti sul suo corpo e sul suo morale, e questi sono stati improvvisamente disattesi.
La sua risata di scherno è grottesca, e noi stessi superato lo shock (ciò che è disatteso costituisce sempre uno shock) ben presto rideremo con lui.
[Pare che Salvador Dalì per alimentare la sua creatività facesse rapidi sonnellini tenendo un cucchiaio in mano e un piatto in corrispondenza sotto di esso. Non appena avesse raggiunto la fase di sonno profondo il cucchiaio gli sarebbe caduto di mano svegliandolo all'istante, permettendogli di trattenere le fertili libere associazioni oniriche tipiche dello stato ipnagogico]
Eppure la vera origine dell'irrazionale deve trovarsi prima dei libri e dei film, prima dei sogni e delle attese disattese: affermo che essa debba essere la comunicabilità di tutto questo e, in ultima analisi, il linguaggio.
Questo poiché naturalmente senza linguaggio nessun sogno sarebbe comunicabile, né libro, né film, né attesa disattesa, ma soprattutto perché il pensiero nella sua più semplice espressione accede alla nostra coscienza tramite immagini mentali, ma quello complesso è certamente espresso discorsivamente.
Dal momento che le immagini stesse sono descrivibili attraverso segni linguistici possiamo concludere che il pensiero si esprima secondo entrambe le forme.
Basta "ascoltare" i propri pensieri per rendersi conto di questo.
Quello che sto principalmente considerando in questo ragionamento è il pensiero astratto: esso è unicamente linguaggio (ognuno, quando pensa astrattamente, pensa nella sua lingua).
Arrivo al punto: la logica è linguaggio - "logos" - e attraverso di esso è permesso dire (e, quindi, immaginare) l'irrazionale.
Se questo appare tautologico è perché occorre scavare ancora più in profondità.
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Sono convinto che l'origine più profonda dell'irrazionalità stia nella facoltà di negare: nel connettivo logico NON.
La mente umana e il linguaggio hanno infatti la facoltà di formulare espressioni come "un oggetto lasciato cadere NON cade": ecco la condizione di possibilità dell'irrazionalità.
Non è preciso dire che è possibile immaginare qualunque cosa, bensì: è possibile dire qualunque cosa.
Prendere coscienza che si possano dire cose come "i cavalli volano (NON non volano)", "il fuoco è freddo (NON è caldo)", e così via, ha aperto le porte all'irrazionalità.