#CinemaeFilosofia
Quello che penso è che Arrival mi ha fatto venire voglia di imparare e studiare quello che non so.
Quello che penso è che potrei farne un commento ogni anno di università e aggiungere qualche paragrafo in più.
Quello che penso è che un commento degno dovrebbe essere scritto da un team di studiosi di filosofia, di scienze politiche, psicologia e soprattutto di linguistica.
Per non dilungarmi eccessivamente farò qualche riferimento ad articoli di questa rubrica, e non, che ho scritto in passato e che approfondivano alcuni di quei temi dei quali qui farò solo qualche accenno; se lo trovaste utile potrete reperirli seguendo l'apposito link riportato.
Bioetica - Etica delle generazioni future
Interrogarsi sulle nostre responsabilità nei confronti dei posteri è un'abitudine recentissima se si considera che la Storia della filosofia occidentale ha non meno di 2500 anni.
Fra gli anni '60 e '70 del Novecento sorge questa nuova sensibilità, a risposta delle politiche di armamento nucleare e dei primi disastri ambientali.
La comunità dei filosofi che si occupavano della valutazione morale dei vari stadi della vita umana (la bioetica) cominciarono a porsi una serie di interessanti quesiti:
- Siamo responsabili delle scelte presenti che avranno impatti negativi sulle generazioni future?
- Esse (le generazioni) hanno diritti ora, o li avranno soltanto allora? E se "allora", esse "ora" ci riguardano?
- Come comportarci quando agire nel rispetto della condizione di vita delle generazioni future comporta una diminuzione dello stato di benessere della generazione attuale (ossia praticamente in ogni caso)?
- Come possiamo preoccuparci dei diritti di individui cosiddetti meramente possibili (che esisteranno solo e solo se saranno attuate certi tipi di linee politiche: pensate agli afroamericani di oggi che non sarebbero mai esistiti se non fosse stato per la tratta degli schiavi).
Questo è definito il problema della non identità.
- Si può recriminare il diritto alla non-esistenza (il cosiddetto torto da procreazione)?
E chi deve risarcire se i responsabili del malessere attuale sono morti da secoli?
Pensate a una linea politica che utilizzi l'energia nucleare per migliorare la condizione di vita delle generazioni presenti e sa che pur cercando di smaltire le scorie nel miglior modo possibile due o trecento anni dopo vi sarà una fuga di onde radioattive che farà ammalare centinaia di persone).
E infiniti altri.
Vi posso assicurare che per ogni problema le implicazioni sono molte e dilemmatiche.
Arrival in questo omaggia Interstellar ("Dobbiamo cominciare a non pensare come singoli, ma come specie").
Louise deve scegliere se salvare l'umanità o se accettare per sé uno dei dolori più grandi pensabili: la morte di una figlia.
Ed ecco che ci aiuta la distinzione suggerita in precedenza: sua figlia non è un individuo possibile (che di certo sarà in futuro), bensì un individuo meramente possibile (che dipende interamente dalle linee decisionali che saranno percorse e che potrebbero attuarsi come non).
Ognuno di noi è esattamente chi è solo perché i nostri genitori non hanno ritardato di un mese o meno la gravidanza e che pertanto quello specifico ovulo ha incontrato quello specifico spermatozoo.
Nel film in realtà siamo in quel campo delle scelte delle cui conseguenze siamo pienamente consapevoli (sotterrare delle scorie che resteranno inattive solo per qualche secolo, deportate un popolo o trucidarlo: azioni umane che cambiano per sempre l'identità non di uno, ma di migliaia di individui meramente possibili, non rispettare specifiche norme sanitarie...).
Denis Villeneuve con Arrival ci ricorda che tutti conosciamo anche parte del nostro futuro, e che possiamo scegliere se sceglierlo.
Louise, con la sua telefonata intercontinentale, si dimostra sensibile ai diritti di miliardi di persone, ora, sì, possibili, abbracciando così un dolore che nel futuro sarà per lei straziante, essendo legato ad una figlia fino a quel momento solo meramente possibile.
Gli alieni parlano di un futuro estremamente remoto (3000 anni), periodo nel quale avranno bisogno dell'aiuto dell'umanità. Louise con quella chiamata salva anche la loro identità.
Non è scontato: la tesi della responsabilità decrescente ci suggerisce che è naturale sentirci meno portati a provare empatia nei confronti dei diritti degli individui umani mano a mano che la loro esistenza si allontana da noi, nel tempo futuro.
Così come la nostra disposizione ad agire moralmente nei confronti di altri cala se rivolta a coloro che ci sono estranei (alieni) - tesi della minor responsabilità.
Questo non significa che sia un sentimento moralmente ineccepibile, ma di certo è naturale.
Ma cosa accade quando il mondo alieno minaccia tutti? Quando le distinzioni socio economiche decadono e siamo tutti uguali di fronte alla minaccia?
Quando 1 vale 1?
Intermezzo
ll concetto paradossale di umanità che salva sé stessa è riassumibile nel paradosso dell'uovo e della gallina di cui ho parlato nel post su Interstellar.
Inoltre dell'idea della ciclicità temporale ("Ci sono eventi che vanno oltre la nostra esistenza e ci coinvolgono"), oltre che appartenere a tutto il discorso fatto qui sopra, deriva da una visione del tempo di tipo nietzschiano di cui ho parlato estesamente nel commento a Cloud Atlas e che ritengo sia valida anche per questo film.
[Giusto per curiosità: Aristotele avrebbe risposto senza ombra di dubbio "Viene prima la gallina! L'Atto anticipa necessariamente la Potenza!"]
Linguistica e Logica
Per delineare delle differenze decisive fra i vari approcci del cinema al concetto del collasso temporale o dei cicli causali aggiungo questo:
il classico paradosso temporale (quello della gallina inviata indietro nel tempo a non far schiudere l'uovo da cui è nata) è proprio della logica occidentale, quella della linearità, per successioni, in cui l'effetto segue per forza di cose la causa.
Era quello di Interstellar, era quello di Terminator e così via.
Arrival invece (pensate al simbolo giapponese dell'Enso, così simile ai logogrammi alieni tanto formalmente quanto concettualmente) sposa invece una logica prettamente orientaleggiante che non per nulla traspare anche nella scrittura per ideogrammi cinesi, giapponesi e così via in cui i concetti che esprimono i segni si esprimono sempre al tempo infinito, atemporalmente dunque, per così dire.
Ecco perché il linguaggio - e il pensiero plasmato dal linguaggio secondo la teoria linguistica Sapir-Whorf citata nella pellicola - è uno dei temi centrali sia del racconto che del film.
Noi abbiamo una concezione del tempo e della successione differente da un giapponese perché pensiamo con strutture linguistiche differenti.
Noi: soggetto e poi verbo e poi complemento.
Loro: un approccio olistico istantaneo senza un vero punto di inizio e di fine.
Così come gli alieni.
E solo con la logica che discende da una grammatica orientale o più ancora con i logogrammi alieni è pensabile ciò che vediamo accadere sullo schermo nell'ultima parte.
Non c'è nessun "tornare indietro" da parte di Louise - dire così è ragionare da occidentali -, al contrario tutto è interconnesso a modello di una struttura rizomatica deleuziana ed interdipendente, e nulla consegue dall'esistenza di altro che lo dovrebbe (supponiamo noi occidentali) aver preceduto.
[Alcuni disegnano l'ensō con un'apertura nel cerchio, mentre altri lo completano. L'apertura potrebbe simboleggiare che questo cerchio non sia separato dal resto delle cose ma faccia parte di qualcosa di più grande. C'è chi ritiene che la modalità di esecuzione dell'ideogramma rivelli l'indole di chi lo ha realizzato]
Economia: la Teoria dei Giochi
Senza pretendere di essere minimamente esaustivo in un campo che non mi compete direttamente mi pare interessante notare come nel film venga più volte implicitamente fatto riferimento a questa teoria che trovo illuminante:
è naturale che ciascuno pensi a massimizzare il proprio utile immediato (utilitarismo edonistico), scegliendo di non collaborare con gli altri.
Ma questo comporta che nel futuro tutti si troveranno in una condizione peggiore di quella in cui sarebbero potuti essere se avessero collaborato (per approfondimenti, questo è anche chiamato dilemma del prigioniero).
Un principio che spiega ogni cosa: dalle faccende domestiche, al pagamento delle tasse, ai trattati politici internazionali, alle misure eccezionali su norme igienico sanitarie.
L'efficacia della collaborazione - e dell'accettazione di un piccolo sacrificio immediato, sapendo che sarà compiuto da tutti, in vista di un benessere maggiore futuro - è il messaggio socio-politico al cuore di Arrival.
Ancora qualche considerazione
Quello che costituisce una grossissima fetta di contenuti del film è inoltre l'atto linguistico in senso semantico e antropologico.
Lessi tempo fa in un bel libro che consiglio (Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, di Maryanne Wolf) di qualcosa relativo alla modificazione fisiologica delle sezioni corticali del cervello in seguito all'interessamento nei confronti di uno specifico campo del sapere, o anche, appunto, al tipo di costruzioni linguistiche utilizzate; e che quindi la lingua modifica la conformazione fisica del nostro cervello ed il nostro modo di pensare, vedere il mondo e sentire il tempo.
Come ultimo appunto: per tutta la prima parte di Arrival ho pensato che i sistemi educativi riservati agli eptapodi richiamassero l'insegnamento elementare rivolto ai bambini che hanno appena lasciato l'asilo
"Sappiamo che non scrivono quello che intendono dire, sembra strano, ma insegnare a leggere e a scrivere è il modo più veloce per comunicare con loro, magari rispondono a un segnale visivo".
[Il set centrale di Arrival richiama sia un'aula scolastica che uno schermo cinematografico panoramico (il lato opposto del "Guscio" presenta invece un ingresso in rapporto 4:3, come gli antichi televisori a tubo catodico)]
Chiuderei con la citazione che meglio ha descritto le mie sensazioni durante la visione e che mi riconferma la voglia di studiare e ristudiare a riguardo:
"Sto cercando di capire... ma è una cosa enorme!"
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1 commento
Sebastiano Miotti
4 anni fa
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