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No, il dibattito no! Immanuel Kant: dalla Critica ai critici

Come la "Critica alla Facoltà di Giudizio" di Immanuel Kant possa spiegare le dinamiche di qualunque discussione riguardante il gusto

Immanuel Kant scrisse un libro eccezionale riguardante un'analisi raffinatissima a tutto ciò che riguardasse il giudizio di gusto (mi piace/non mi piace). Parla di bellezza, parla di arte, parla di genio (l'artista) e per ogni argomento vaglia centinaia di sotto-differenziazioni ed argomenti critici, per la verità non sempre semplici da comprendere.

 

 

Un piccolo paragrafo (il 56°) ha nome Rappresentazione dell'antinomia del gusto.


Desidero farne una rapida sintesi semplificata per definire le ragioni del perché queste poche pagine spieghino perfettamente il comportamento dell'umano che si interfaccia all'esposizione dei propri gusti agli altri e così anche le ragioni relative all'impossibilità di arrivare a una soluzione quando ci si trovi in disaccordo pur non riuscendo a smettere di provarci.

 

Prima di tutto, antinomia:

"l'antinomia è un rapporto di contraddizione fra due ragionamenti, e sancisce - se è tale - l'impossibilità della loro coesistenza"

 

Una tesi e la sua contraddizione (che non significa, attenzione, il suo opposto).

 

È come la profezia per Harry Potter e Voldemort: "Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive."

Lo capiremo subito con l'esempio di Immanuel Kant.

 

Il paragrafo comincia elencando dei luoghi comuni legati al gusto:

 

1) Ciascuno ha il suo proprio gusto

 

Immanuel Kant specifica subito meglio:

 

"Il che non vuol dire altro che il principio di determinazione di tale giudizio è semplicemente soggettivo (diletto o dolore) e che il giudizio non ha alcun DIRITTO al necessario accordo degli altri.

 

In pratica non ci sono motivi evidenti conoscibili per cui mi possa e possa spiegare agli altri che qualcosa mi piaccia, e non posso pretendere che essi siano d'accordo con me poiché non ho alcun argomento se non il fatto che, semplicemente, quella tal cosa piace a me.

 

Passiamo al secondo luogo comune:

2) Sul gusto non si può disputare

 

Che significa, che io posso dire a me piace x, e sarà possibilissimo DISCUTERE  sui rispettivi gusti personali, insieme, ma nessuno potrà mai DETERMINARE le prove (e quindi le ragioni - quelli che chiama concetti) che spieghino il proprio gusto.

 

- Mi piace Lars von Trier!

- Perché?

- Non posso saperlo

 
(a Immanuel Kant piace questo dialogo)

 

- Mi piace Lars von Trier!

- Perché ti piace?

- Perché parla di instabilità, fragilità, perché provoca, perché decostruisce i generi...

 

(a Immanuel Kant non piace questo dialogo, e direbbe che "il più stolto dei due", così direbbe, sta semplicemente descrivendo l'oggetto del giudizio di gusto e non il suo proprio giudizio).

 

Immanuel Kant continua ragionando attorno ai verbi Disputare e Discutere.

 

 

 

Dice che entrambe le attività cercano di produrre unanimità e consenso - il cercare di far dire agli altri anche a me piace Lars von Trier! - ma la prima, il disputare, cerca di ottenerla secondo concetti determinati come argomenti:

 

- Mi piace Lars von Trier!

- Perché?

- Perché parla di instabilità, fragilità, perché provoca, perché decostruisce i generi... Capisci perché anche tu devi dire "A me piace Lars von Trier"?! Te l'ho appena dimostrato! 

 

Questa è la disputa, e come abbiamo detto non ha alcuna fondatezza.

La discussione invece - anche se, ricordiamolo, nessuno può conoscere le ragioni del proprio gusto - è sempre possibile, e, anzi, ineliminabile, poiché il giudizio di gusto è sempre connesso alla sua espressione e condivisione e al tentativo di persuadere gli altri della apparente oggettività di esso.


È una naturale inclinazione della ragione.

 

Ecco perché difficilmente, quando si parla dei propri gusti, e li si vede sviliti da una visione opposta, le discussioni non si dilungano, sebbene conosciamo tutti il primo e il secondo luogo comune descritto, che ci sembra ci possano intimare che: ognuno dica la sua e nessuno commenti ulteriormente!


Ma allora se fossimo creature pienamente razionali i commenti post film dovrebbero essere piatti deserti.

Ma è così?

 

Perché ci comportiamo in questo modo incoerente e apparentemente irrazionale?

Ora ci arriviamo.

 

Abbiamo quindi definito il terzo luogo comune:

3) Sul gusto si può discutere (sebbene non disputare).

 

Immagino che concordiate tutti con tutti e tre i luoghi comuni citati.
Ed è esattamente questo il problema.


Questo perché: il luogo comune 3) contiene in sé l'opposto del luogo comune 1).

 

Ecco definita la ragione del nostro comportamento incoerente di cui prima, quando parliamo fra di noi di ciò che ci piace.

In parole povere: 

 

abbiamo detto che ci è permesso discutere sul gusto, ma questa attività si fonda perciò sulla speranza di potersi accordare

("sì, ok, abbiamo gusti diversi, ma non riusciamo a smettere di parlarne perché sotto sotto sento di sperare di poterti convincere di ciò che io sento così vero ed evidente!"), e quindi la speranza che ci siano fondamenti nel proprio giudizio che non siano solo di natura privata ma che anzi si possano comunicare agli altri durante la discussione, per persuaderli, ma questo è esattamente la contraddizione di ciò che afferma il luogo comune 1), che pure abbiamo accettato, a sua volta, come indubitabile!

  

Abbiamo pertanto definito l'antinomia del gusto:

- Tesi: il giudizio di gusto non si fonda su concetti, perché altrimenti se ne potrebbe disputare (decidere mediante prove);

 

- Antitesi: il giudizio di gusto si fonda su concetti, perché altrimenti, malgrado le differenze dei giudizi, non se ne potrebbe neppure discutere (avanzare l'esigenza del consenso necessario di altri con tale giudizio).

 

 

 

Plot twist!

 

Esiste un paragrafo 57 dal titolo Soluzione dell'antinomia del gusto

Per la verità non è che il filosofo dia una risposta molto soddisfacente.

Per semplificare: un concetto alla base del proprio giudizio non può che esserci ma noi non lo conosceremo mai.


Classica mossa fenomeno - noumeno alla Immanuel Kant.

 

Eppure pare proprio essere così.

Questa soluzione è postulato (è condizione per l'esistenza) dei due luoghi comuni, che sono incontestabili.

 

"La spiegazione della loro possibilità [della tesi e dell'antitesi insieme, dice] supera la nostra facoltà conoscitiva."

 

Aggiunge Immanuel Kant che l'antinomia ci sembra ancora più insolubile poiché il concetto (le motivazioni) su cui dovrebbe fondarsi il giudizio di gusto lo crediamo lo stesso sia nel luogo comune 1) che nel 3) e ne concludiamo perciò due predicati opposti.

 

Se invece si dicesse, più precisamente:

 

- Tesi: il giudizio di gusto non si fonda su concetti determinati;

 

- Antitesi: il giudizio di gusto si fonda su un concetto, sebbene indeterminato (cioé del sostrato soprasensibile dei fenomeni: è perciò noumeno, e quindi strutturalmente inconoscibile)

 
Così facendo non ci sarebbe alcuna contraddizione.

 

Ma più di così, dice, non possiamo fare.


Non esiste alcuna soluzione, non fra quelle che si possano conoscere e, quindi, esprimere.

 

In conclusione, Immanuel Kant ci dice che un giudizio di gusto (mi piace/non mi piace) non si fonda su alcun principio oggettivo secondo il quale potrebbe essere gridato, controllato se non addirittura imposto agli altri, eppure il desiderio che abbiamo di discutere dei nostri gusti con loro, di tentare di provarglieli - quel sottile desiderio e speranza di far sì che cambino idea, o meglio, che riconoscano il nostro aver ragione - è spiegabile, perché un motivo in ciò che diciamo di amare deve esserci, è il nostro principio soggettivo, e noi lo sentiamo chiarissimamente, ma non c'è nulla che ce lo potrà mai far comprendere e conoscere

 

 

[Godard discute, Polanski ascolta, Truffaut ha letto la Critica della facoltà di giudizio]


In pratica ogni volta che discutiamo difendendo i nostri paladini sentiamo che trovare quella ragione, quella ragione del nostro gusto che noi sentiamo come evidentissima, sarebbe prova sufficiente a convincere tutti della giustezza del nostro giudizio, e ci arrovelliamo per trovarla e cercare di esprimerla, ma non ci riusciamo, e nel frattempo allora descriviamo il film o qualsiasi altra cosa (l'oggetto del giudizio di gusto) per provare a convincere il nostro interlocutore che non può dire qualcosa di opposto a noi, ma è quella ragione che ci ha fatto dire wow che in realtà cerchiamo disperatamente.

Beh, essa è strutturalmente inconoscibile, eppure non smetteremo mai di arrovellarci e di discutere con gli altri su ciò che ci piace.

 

Pura sehnsucht Romantica.

Malattia del doloroso e inesausto bramare.

 

Una cosa è certa, tale ragione non potrà essere la piacevolezza che ci ha suscitato, eppure molti non sembrano accorgersene, e sono coloro che vediamo scannarsi perseguendo crociate in cui il proprio piacere dovrebbe essere condizione necessaria e sufficiente perché chiunque adotti il loro stesso giudizio di gusto:

 

- Mi piace Lars von Trier!

- A me no

- Ma come "no", non può non piacerti!

- E perché non potrebbe non piacermi?

- Perché è piaciuto (a me), e questo dimostra tutto!

 

Immanuel Kant ci ha invece spiegato le ragioni di tutti i nostri umanissimi, legittimi e splendidi atteggiamenti contraddittori, e di tutte quelle volte in cui:

 

- A me piace Lars von Trier!

- A me no.

- Eh, sono gusti...

- ...

- ...

- Sì però dai non vedi che ecc. ecc. 

Chi lo ha scritto

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1 commento

Sebastiano Miotti

4 anni fa

Prego, fatti sotto

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