#Vendimiquestofilm
Vi avevo lasciato con il fiato sospeso.
Dopo aver parlato di come stavano le cose prima del loro arrivo nel mondo del Cinema, ci addentreremo nel merito della questione: in che modo i Beatles hanno rivoluzionato il linguaggio audiovisivo.
In questa seconda puntata parleremo principalmente del loro primo film: A Hard Day’s Night, lo spartiacque nella storia del film musicale.
Come spiegato nella puntata precedente, il regista Richard Lester vantava già una piccola esperienza nella produzione di rock musical.
Oltre a It’s Trad, Dad!, Lester aveva realizzato un cortometraggio insieme a nientepopodimeno che Peter Seller, oltre a una strampalata commedia chiamata The Mouse on the Moon.
Era la fine del 1963.
I Beatles venivano da due dischi di straordinario successo che li avevano catapultati, in pochissimi mesi, da complesso emergente degli scantinati periferici di Liverpool a fenomeno globale senza precedenti.
Come per i loro predecessori, la EMI - loro casa discografica - aveva pensato di realizzare un film che potesse promuovere il loro prossimo album.
Il loro abilissimo manager Brian Epstein, accreditato come vero artefice del grande successo delle origini, decise di imporre una condizione mai vista all’epoca: dovevano essere i Beatles stessi a scegliere il regista e a mantenere il controllo artistico dell’opera.
I quattro musicisti, in particolare John Lennon, avevano apprezzato tantissimo lo humour bizzarro di Lester, scegliendolo tra una rosa di candidati come autore del loro primo film.
Mai scelta poté rivelarsi più azzeccata: Lester riuscì a gestire sapientemente l’estro dei quattro, lasciando a tutti grande spazio di improvvisazione e permettendogli di ideare battute e gag, sempre riuscendo a mantenere una linea coerente in termini di stile.
A Hard Day’s Night, accompagnato dall’LP omonimo, il primo contenente solo inediti, fu distribuito dalla United Artists e uscì nel Regno Unito il 6 giugno 1964, con un enorme successo di pubblico e critica.
Finanziariamente fu un trionfo, promuovendo i brani inseriti poi nel disco e mostrando al grande pubblico un lato della personalità dei loro beniamini ancora nascosto dall’immagine dei “bravi ragazzi” che i media cercavano di far passare (con poco successo).
A Hard Day’s Night mostra, in realtà, un volto nuovo, ribelle, giovane e voglioso di stravolgere ogni regola, ogni convenzione, ogni insegnamento della generazione bigotta che stava controllando tutti gli aspetti della società dei primi anni ’60, dal modo di vestirsi al taglio di capelli, al rispetto di chi è più grande e alla sottomissione delle autorità: genitori, insegnanti, politici.
A Hard Day’s Night ha sbattuto in faccia alle vecchie e nuove generazioni quattro ragazzi poco più che ventenni alle prese con il peso del loro successo.
Ma lo ha fatto in un modo scanzonato, irriverente, autoironico e dissacrante, mostrando a tutti la follia degli eccessi dei fan, l’incapacità dei manager e dei produttori di tenerli a bada, l’ottusità dei media e l’incolmabilità di un gap generazionale che si stava rivelando sempre più ampio e avrebbe presto portato alle grandi proteste giovanili del ’68.
I Beatles interpretano loro stessi come John, Paul, George e Ringo, comportandosi esattamente come si comporterebbero quattro ragazzi in tournée: divertendosi, sfuggendo dai fan, prendendo in giro chiunque gli capiti davanti e facendo impazzire il loro tour manager.
Il film è costruito senza una vera e propria trama, come un finto documentario che mostra i behind the scenes dei loro concerti, dei loro spostamenti e delle loro dirette televisive.
E qui abbiamo la prima grande differenza con i rock musical dell’epoca: come ricorderete nella precedente puntata, star come Elvis erano solite interpretare personaggi fittizi, oppure apparivano in brevi scene, con il loro nome, esclusivamente per eseguire dei brani.
In A Hard Day's Night non c’è nessuna ricerca dell’immagine brillante e perfetta della star come esempio virtuoso per i fan.
Mentre i modelli dei personaggi di Elvis erano attori come James Dean e John Wayne, i Beatles sembrano più ispirarsi alla dissacrante irriverenza dei Fratelli Marx, sempre pronti a burlarsi del prossimo (specialmente se appartenente alla generazione successiva), a rompere ogni regola, a ribellarsi all’ordine faticamente costruito da produttori, discografici e tour manager.
Il secondo livello della rivoluzione di A Hard Day's Night avviene nel linguaggio e nello stile del film, completamente nuovo rispetto a qualsiasi cosa mai prodotta nello stesso ambito.
Richard Lester, in quel periodo, si era avvicinato alla Nouvelle Vague e aveva un’idea ben precisa in testa: portare alcuni degli elementi caratteristici dei lavori di François Truffaut, Jean-Luc Godard ed Eric Romher in un film musicale.
Una follia, ma l’ha fatto davvero.
A livello tecnico, nel film sono presenti jump cuts, inquadrature sbilenche, posizionamenti della camera ricercati (come dietro delle grate o delle sbarre), e trovate assolutamente sperimentali.
Come scrisse Roger Elbert:
“Lester non ha inventato le tecniche usate in A Hard Day’s Night, ma le ha unite in una grammatica comune così persuasiva che ha influenzato molti altri film.
Oggi, quando guardiamo la TV e vediamo montaggio rapido, camera a mano, interviste condotte di corsa con i soggetti in movimento, rapidi intercut di dialogo frammentato, musica sotto forma di documentario e tutti le altre caratteristiche dello stile moderno, stiamo assistendo ai figli di A Hard Day’s Night.”
Già questo basterebbe.
Ma voglio dirvi di più.
In A Hard Day’s Night assistiamo al primo vero esempio di videoclip musicale moderno.
È vero: i Beatles non sono stati i primi ad associare immagini e musica o a riprendersi mentre suonano un loro pezzo, ma sono stati i primi a farlo con una chiara intenzione: assegnare una funzione narrativa a questa combinazione.
Prima di loro, i video musicali assumevano esclusivamente una funzione diegetica: le immagini mostravano i musicisti eseguire il brano, seguendo esattamente i gesti e il labiale.
Lo stile era spesso piuttosto piatto, con una camera fissa a inquadrare il palco, che si alternava con un’inquadratura laterale più ravvicinata e i primi piani del solista o del frontman di turno.
In A Hard Day’s Night ci sono alcuni momenti in cui la musica perde ogni funzione diegetica, come se diventasse una soundtrack.
Ma non si tratta di un semplice commento alla scena: le immagini si slegano dalla storia, seguendo la musica come se fosse un mini-film a parte. Il grande esempio è costituito dalla scena di Can’t Buy Me Love, dove i Beatles fuggono dagli studios televisi e iniziano a correre, saltare, danzare, sbattere contro la camera (letteralmente), mentre diverse riprese in movimento creano delle inquadrature dagli angoli bizzarri e punti di vista improbabili.
Ecco il primo videoclip narrativo: non la band che suona, ma quattro attori che interpretano una scena, che inizia e finisce con uno sottofondo musicale.
Musica e immagini si sostengono a vicenda, venendo esaltate e portate a un livello espressivo successivo.
Una questione che era già stata affrontata dai più grandi compositori (pensiamo agli splendidi commenti musicali di Bernard Hermann in Vertigo - La donna che visse due volte), ma non da una band in un film musicale.
Non con una scena "chiusa", indipendente dal resto del film.
Ma anche nei momenti in cui i Beatles vengono ripresi mentre suonano, Lester si dimostra capace di rompere qualsiasi convenzione: il regista decide di utilizzare non una, ma fino a sei camere contemporaneamente, piazzandole di fronte, di lato, sopra, e accanto i musicisti, per riprendere quanti più dettagli da mescolare freneticamente in sede di montaggio, rivoluzionando la concezione della ripresa di una band, in televisione o dal vivo.
Tutti i film dei concerti, tutte le esibizioni storiche in TV o live, da Woodstock al Live Aid, hanno avuto A Hard Day’s Night come esempio e punto di svolta decisivo.
Dalle mani di Ringo Starr mentre suona la batteria al retro del basso di Paul McCartney, dalla cinghia della chitarra di George Harrison allo zoom sul volto di John Lennon, ai bagliori dei riflettori sugli strumenti: ogni dettaglio è sfruttato come espediente narrativo per rendere il risultato finale più dinamico e interessante.
Queste trovate si sposano perfettamente con il mood generale.
La capacità di Lester e dei Beatles di rappresentare la rottura generazionale e l’incapacità di comunicare con il “vecchio mondo” è straordinaria.
Tutto il film è costruito sulla difficoltà di comprensione tra due linguaggi e due stili di vita diversi.
Alle domande serie dei giornalisti, nella mitica scena della conferenza stampa, i Beatles rispondono sempre in maniera surreale e provocatoria.
“Come avete trovato l’America?”
“Subito dopo la Groenlandia!”
L’immagine della ribellione, della corsa, della fuga, del saltare e del muoversi liberamente è ribadita per tutto il film, rafforzata dal surrealismo e la stravaganza di molte scene (una su tutte: quella del bagno).
Si tratta della reazione di un’intera generazione alle assurdità del mondo occidentale, rigido e abbottonato, incapace di liberarsi dalle catene della formalità, dell’austerità, delle gerarchie sociali opprimenti.
Ma la critica è in realtà molto più sottile e non risparmia nessuno: la scena di apertura mostra i quattro Beatles costretti a fuggire da una folla di fan impazzita, pronta a tutto pur di avvicinarsi ai loro idoli.
Per tutto il film, momenti di stanchezza e di stress accumulato trovano spazio tra la gioia e il divertimento, mostrando il lato oscuro di questa vita: la fuga non è solo dalla società e dall’ordine costituito, ma dalla loro stessa generazione.
Se si pensa che proprio i coetanei dei Beatles e dei loro fan costruiranno la generazione dei boomer, quella oggi tanto bersagliata dal web, si può capire quanto sia stato profetico questo film, mostrando che lo scontro e l’incapacità di trovare una comprensione reciproca sia in realtà un problema che si ripete di generazione in generazione.
La risposta dei Beatles può essere proprio riassunta nella scena di Can’t Buy Me Love, con la loro fuga dagli studios e la corsa impazzita verso nessuna direzione, con l’unico intento di sfogare la loro frustrazione e lasciarsi andare.
Molto simbolicamente, è proprio un anziano signore a reprimere questa scena nonsense e quasi slapstick.
Questi sono i motivi per cui affermo senza paura che A Hard Day's Night è stato un film enormemente rivoluzionario per temi e per stile, ben tre anni prima de Il Laureato, acclamato come la chiusura della Hollywood classica figlia del Codice Hays e l’inizio della New Hollywood.
È riuscito a cambiare contemporaneamente l'industria cinematografica e quella musicale, ponendo fine a un modello produttivo che sembrava essere infallibile e portando tantissimi artisti a interrogarsi sul potenziale di questo genere e realizzare capolavori del calibro di Tommy, The Blues Brothers e The Wall.
Lo ha fatto in maniera diretta, senza dimenticarsi di doppi sensi e allusioni sessuali, attraverso un linguaggio nuovo e innovativo.
Spero di avervi convinto: recuperate assolutamente questo film.
Per la sua importanza culturale, per il suo stile unico, per le sue musiche spettacolari, per guardare il primo vero videoclip moderno, per assistere a uno spaccato della gioventù dei primi anni ’60 e per ricordarvi che ogni volta che scrivete “ok boomer” vi state riferendo proprio alla generazione di quei ragazzi che in questo film stavano iniziando a ribaltare le convenzioni sociali attraverso un vero e proprio manifesto generazionale.
E non è finita qui: nelle prossime puntate parleremo dei grandi capolavori psichedelici che i Beatles hanno realizzato negli anni successivi, continuando a segnare, con la loro solita genialità e irriverenza, la Storia del Cinema.
3 commenti
Lorenzo Gronchi
4 anni fa
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Simone Colistra
4 anni fa
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Simone Colistra
4 anni fa
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