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La strategia dei blockbuster: fare le cose in grande conviene

I motivi dietro la scelta, da parte delle grandi case di produzione, di realizzare progetti grandi e costosi, apparentemente contro le logiche di mercato

Fin dai primissimi anni di esistenza dell’industria cinematografica, il concetto di blockbuster è stato presente nelle produzioni che potevano finanziariamente permettersi grandi investimenti.

 

 

I primi kolossal di David W. Griffith si sorreggevano su enormi macchine produttive, migliaia di attori e comparse, costumi e scenografie curate fino al dettaglio, effetti speciali innovativi ed enormi (e costose) costruzioni ingegneristiche.

 

Anche in Europa, seppur con molta meno frequenza, le produzioni hanno deciso di finanziare grandi progetti, con la finalità di stupire gli spettatori con grandiosi spiegamenti di risorse e materiali: da Metropolis e I Nibelunghi di Fritz Lang all’importantissimo caso nostrano di Cabiria di Giovanni Pastrone

 

 

 


Con la crisi economica del ’29 e il successivo conflitto mondiale, l’industria hollywoodiana iniziò a strutturarsi intorno a produzioni più contenute, cercando di mantenere i budget ridotti per far fronte all’instabilità finanziaria.  

 

Nonostante ciò, nei decenni successivi, la strada del blockbuster tornò ad essere ripercorsa con convinzione, arrivando a costituire uno dei modelli economici più studiati e imitati dalle grandi major cinematografiche.  

 

La strategia dei blockbuster è essenzialmente una scelta di gestione del portfolio da parte di una casa di produzione che, durante un anno finanziario, sceglie di puntare non su tanti piccoli progetti, ma su poche grandi produzioni, in cui vengono concentrate le risorse a disposizione, con l’obiettivo di ottenere margini di guadagno proporzionalmente più elevati.  

 

Questa strategia può essere applicata a vari settori, dalla musica al teatro, dallo sport alla moda.

Si tratta di una scelta decisamente anti-intuitiva in ambito economico, dove è sempre suggerito di diversificare il rischio in tanti piccoli investimenti per poter far fronte agli eventuali fallimenti con più serenità e controllo.

 

Pensate poi all’industria cinematografica, dove i prezzi dei biglietti rimangono sempre più o meno gli stessi in un cinema, che tu vada a vedere un film a 100mila dollari di budget o a 100 milioni.

La qualità di un film, come prodotto esperienziale, non dipende soltanto dai costi di produzione, diversamente da beni di consumo come un’automobile o anche un pasto al ristorante, dove paghi anche materie prime e manodopera e il prezzo finale del bene è direttamente proporzionale al costo di produzione.  

 

La strategia dei blockbuster si muove in una direzione assolutamente controintuitiva: più spendi, più rischi, più sarai premiato.     

 

 

 

 

Prendiamo il caso della Warner Bros. che, nel 2010, ha destinato un terzo del budget annuale per soli tre titoli: Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 1 (220 milioni di dollari), Inception (160 milioni di dollari) e Scontro tra titani (125 milioni di dollari).

 

I risultati al botteghino sono stati un esempio di successo di una chiara strategia di blockbuster: il 40% del box-office domestico e addirittura il 50% di quello mondiale sono derivati proprio da questi tre film, a fronte del 33% circa del budget.  

 

Specialmente se confrontati con film a budget ridotti, oggi i film più costosi sono anche quelli che rendono meglio.

Questa dinamica è stata compresa da altre grandi major, che stanno sempre più alzando l’asticella degli investimenti in grandissime produzioni, che muovono miliardi di dollari ogni anno.

 

Ovviamente i rischi sono sempre dietro l’angolo: anche un singolo fallimento può provocare un disastro, se si punta tutto su un titolo che poi andrà male al botteghino.

 

Il classico esempio, menzionato da tutti, è la sciagurata produzione de I cancelli del cielo di Michael Cimino, che incassò circa 3 milioni di dollari a fronte di un budget di 44, provocando il fallimento della United Artists.  

 

 

 

 

È bene comunque sottolineare che perseguire una strategia di blockbuster non vuol dire semplicemente staccare un assegno di 500 milioni di dollari ed essere sicuri che il ritorno economico arriverà.

 

Si tratta, innanzitutto, di giocare una scommessa che andrà valutata e seguita con attenzione e competenze estreme.

Nonostante questo, giocare pesante sembra essere la strada vincente nelle grandi produzioni.

 

Le statistiche mostrano come sempre più persone, dalla grande crisi delle sale a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, si rechino al cinema una o due volte l’anno, mentre un’altra grande fetta di pubblico non si muove di casa per andare a vedere un film più di una volta al mese.

Questo significa che le produzioni hanno bisogno di puntare all’obiettivo di essere quel film del mese o dell’anno, di attirare quelle persone e vincere una difficilissima lotta con i concorrenti.  

 

Avere a disposizione un budget potenzialmente infinito apre infatti la strada a una serie di vantaggi competitivi indiscutibili, che potrebbero rendere il tuo titolo quello giusto.

 

Primo fra tutti: la capacità di riuscire ad attrarre grandi nomi. 

Un blockbuster si riconosce a prima vista proprio grazie a questo elemento, la presenza di star non solo nel cast, ma anche nei dipartimenti tecnici e produttivi.

I soldi possono permetterti di arrivare ai migliori tecnici, costumisti, scenografi, realizzatori di VFX, elettricisti e, ovviamente, agli interpreti.

 

Il doppio vantaggio è quello di poter garantire una squadra di assoluto valore e, al tempo stesso, nomi caldissimi che attireranno pubblico ai botteghini.

 

La presenza di una star all’interno di una produzione è di assoluta rilevanza ai giorni nostri.

Se le persone vanno sempre meno al cinema, tra i motivi principali per cui lo fanno troviamo proprio questo: c’è un attore che mi piace in questo film.

A parità di trama, un film che presenta un cast conosciuto e amato ha sicuramente più probabilità di attirare più persone dello stesso film, ma con interpreti emergenti.

 

Pensiamo al caso italiano: quante volte avete sentito di persone che sono andate a vedere un film solo per la presenza di Luca Marinelli o di Alessandro Borghi nel cast?

 

Lo star system funziona proprio per questo: un grande nome attira pubblico.

E per convincere un grande nome a girare il tuo film servono tanti soldi.  

 

 

 

 

Un altro elemento importante è la capacità di poter disporre di finanziamenti considerevoli per lo sviluppo di innovazioni tecnologiche, effetti speciali e scenografie all’avanguardia.

 

Basti prendere in considerazione il caso di Avatar e al grande coinvolgimento generato dal suo tentativo di rivoluzionare il mondo del cinema 3D e degli effetti digitali.

Stupire lo spettatore con lo spiegamento più esagerato delle forze produttive sta diventando sempre più una formula di successo.

 

Ecco perché, negli ultimi anni, le trame dei blockbuster non raccontano mai storie semplici e veristiche che ognuno di noi potrebbe vivere, ma cercano sempre la presenza di azione e di poteri soprannaturali, in modo da attrarre un pubblico che è generalmente più entusiasta nel vedere questo tipo di film e potere, allo stesso tempo, sfruttare un budget per buona parte destinato agli effetti visivi.  

 

 

 

 

Il terzo elemento di cui vorrei parlare è prettamente economico ed è legato allo sfruttamento di una serie di costi fissi produttivi e distributivi che, in presenza di un budget considerevole, portano degli enormi vantaggi.

 

Per esempio, tutti i costi promozionali e di diffusione del film che, concentrati in un unico titolo, possono permettere una campagna più efficace rispetto a quanto sarebbe stato nel caso della divisione della stessa quantità di budget per diversi film. 

Ancora, le spese legali ed amministrative vengono sempre concentrate in un unico progetto, risultando più convenienti rispetto ad una diversificazione.  

 

Al di fuori di queste già sufficienti spiegazioni economiche, ve ne è anche una sociale e psicologica.

Il pubblico cinematografico, quello dei grandi numeri, è molto influenzabile dalla popolarità di un film in sala: il pensiero “tutti lo vanno a vedere, tutti ne parlano, voglio vederlo anch’io” è in realtà un fattore sociale molto profondo ed efficace per i prodotti di massa.

 

Escludendo una piccola percentuale di consumatori (chiamati early adopters), che hanno la tendenza di ricercare la novità e l’unicità prima di tutti gli altri, la grande maggioranza della popolazione si fa trascinare dalle scelte di amici, conoscenti e opinione pubblica. 

Riuscire a operare una campagna promozionale di massa con efficacia avrà effetti incredibilmente amplificati, come in una catena, per attirare sempre più persone a vedere il film.   

 

Che si tratti di un prodotto di altissima qualità, di un’opera d’arte, di una vuota trovata commerciale o di un insieme di tutto, l’importante è fare le cose in grande. 

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