#SuldivanodiAle
Quando Dave Holstein ha creato Kidding rimettendo insieme il genio visivo di Michel Gondry e la presenza scenica di Jim Carrey, ci siamo trovati al cospetto di un oggetto televisivo abbastanza alieno: una versione satirica di Mr. Rogers, papà televisivo della TV per bambini negli USA.
Quello che veniva presentato al pubblico era una commedia matura, scorretta, sotto certi aspetti cinica e il cui scopo era quello di mettere Mr.Pickles, Jim Carrey in versione Mr. Rogers, direttamente a confronto con le psicosi del mondo moderno e nel quale i sentimenti più caustici della realtà andavano a piegare la seraficità di un personaggio quasi estraneo a ogni reazione umana, fino a spezzarlo.
Nel mondo di Kidding il grosso costume di un cavallo blu puzza del sesso animalesco fatto dietro le quinte dello show dai due attori che lo riempiono.
Una tossica basa la sua esistenza e la sua redenzione sulle dolci parole di Mr. Pickles.
Una ragazzina assiste, attraverso la cornice di un giardino da "sogno americano", al padre gay che si fa masturbare dal vicino di casa.
Quello che non mi sarei mai immaginato è che la seconda stagione di Kidding va davvero oltre, voltando pagina per portarci in uno show che è quanto di più simile a una versione live-action di BoJack Horseman per temi, toni e vie del racconto.
Poiché Kidding, come BoJack Horseman, nel suo carattere parodico si serve di un mondo alternativo al nostro nel quale esaspera ogni idiosincrasia della società che va a riprodurre e criticare, ma tiene bene presente l'idea di dover conferire forte rilevanza al dramma dei personaggi, divenendo molto serio quando questo va in primo piano e fa da motore emotivo alla vicenda.
La seconda stagione di Kidding si basa fortemente sul tempo e sul passato e sulle conseguenze scatenabili quando questo non viene affrontato o forzatamente cristallizzato.
Come ci ha insegnato Tim Burton in Big Fish, il tempo dopo essersi fermato, per sua volontà o meno, corre a velocità doppia, per recuperare.
In Kidding quando il tempo corre, travolge come uno tsunami per lasciarci vivi ma storditi, feriti e con un paesaggio piuttosto desolante attorno a noi.
La seconda stagione di Kidding costringe però i personaggi ad affrontare le conseguenze di ogni loro bugia, di ogni attentato alla propria salute psichica.
Jeff Piccirillo, questo il vero nome del personaggio interpretato da Jim Carrey, un po' come il Truman di The Truman Show, vede per la prima volta la cupola protettiva che il padre, Sebastian Piccirillo, interpretato da uno stupendo Frank Langella, ha incoraggiato a costruire quando ha intuito l'elaborata bugia che lui stesso e Jeff avevano iniziato a fabbricare, per proteggersi da un trauma emotivo piuttosto forte.
La differenza tra Jeff e suo padre sta però nella consapevolezza.
Tanto quanto Jeff è in completa negazione della sua realtà e dei sentimenti sopiti, Sebastian Piccirillo è invece in controllo della macchina di specchi e illusioni che forma l'ecosistema che ha reso possibile Mr. Pickles e il suo show.
Salvo che questo non vada in frantumi per mano dei suoi stessi abitanti.
Jeff è però davvero conscio dei sentimenti complessi che semplifica per il suo pubblico di bambini?
In un certo senso Kidding dà una risposta a questa domanda e tratta il suo pubblico come Jeff tratta il suo, utilizzando la stessa serie e lo show di Jeff per trasformarci, in qualche occasione, in un pubblico di bambini.
Tutti i personaggi della serie vengono costretti ad affrontare un mutamento e il disgregarsi di una serie di bugie grigie a sostenere un complesso, quanto delicato, ambiente protetto.
L'entropia del tempo inceppato da questa fabbricazione spinge per rompere l'illusione, recuperando in brevi istanti quanto è stato perduto, omesso o ignorato.
Il tempo non è una costante universale, è per certi versi controllabile, è calcolabile e può essere addirittura fermato o riavvolto, ma il suo incedere è piuttosto inesorabile e in un modo o nell'altro farà collassare i trucchi da prestigiatore creati per perpetrare l'illusione del controllo da noi costruita.
La morale di Kidding ruota quindi attorno alla necessità dei personaggi di affrontare il passato per non rimanere schiacciati dalle inesorabili conseguenze che la negazione dei loro traumi più profondi sembra imporre loro.
L'evoluzione dei caratteri passa quindi attraverso la scoperta delle loro origini per subire una riscrittura al fine di diventare la migliore versione di loro stessi, ma non senza sofferenze.
La seconda stagione di Kidding è, a discapito di una scarsa fama, uno degli show più interessanti che potete trovare oggi in televisione.
Nello spazio di 10 puntate di circa 25/30 minuti, Kidding riesce a portare al pubblico un dramma che si contraddistingue non solo per una scrittura sempre fresca e interessante, ma che trova nella messa in scena e nelle vie del racconto per immagini la sua componente più potente.
L'idiosincrasia dei personaggi e l'assurdità delle loro situazioni viene amplificata da uno storytelling che grazie a regia e tempi di montaggio mette al centro di tutto il costante confronto tra passato e presente, tra realtà e finzione.
Quello che vediamo non è sempre vero e quello che non è vero potrebbe essere la narrazione di Mr. Pickles portata in televisione, un ricordo romanzato, una finzione terapeutica atta a curare un disturbo mentale o un sogno.
[Che ci fa Ariana Grande in Kidding? Una discreta sorpresa e un esempio di come lo show parli su più livelli senza stacchi didascalici]
Ogni scena ha un proprio ritmo, una sua componente di assurdità e la realtà passa comunque per un filtro che non fa mai di Kidding una serie davvero ordinaria nei toni, come nella scrittura dei personaggi.
I bambini non sono davvero bambini, gli adulti non sono mai davvero razionali e vengono dominati dalle parti più peculiari del loro carattere, il sesso è sempre presente tanto quanto la violenza, ma entrambe le cose sono condite da un contesto talmente assurdo da non risultare mai fastidiose.
La poetica di Michael Gondry, produttore esecutivo della serie, entra dalla porta principale: la sua gestione del tempo in scena viene richiamata anche quando dietro la macchina da presa ci sono altri registi, rendendo tutto più dinamico e facendo sì che il dramma sia incredibilmente denso evitando di appoggiarsi troppo alle parole, ma mostrando cosa siano la desolazione, l'abbandono, la negazione della realtà, l'amore, l'odio, la vendetta, il risentimento, il sesso, la violenza, l'ossessione.
Sostanzialmente mettendo i contrasti del nostro mondo in primo piano ed evitando di creare nette distinzioni.
La satira, generalmente, esagera la realtà per sbugiardare i piccoli dogmi che ci creiamo nei vari ruoli sociali.
Nel Cinema infatti esistono i famosi personaggi "non scopanti": ovvero quei personaggi che non sono creati per delle relazioni amorose o per il sesso.
Sono maschere che esistono anche nella realtà e che creiamo principalmente per osmosi, per via dei ruoli che certe persone hanno nella società.
Il professore o la professoressa di matematica del nostro liceo, il postino, il manager cinquantenne con i ciuffi di pelo bianco che spuntano da orecchie e naso, il custode della biblioteca, l'impiegato della posta un po' ingobbito e decisamente poco in forma: tutte figure alle quali ci approcciamo con una formalità dettata dalla nostra educazione e che ci porta a tenerli chiusi in quelle figure.
In Kidding questa cosa cade e tutti sono capaci di tutto e tutti sono umanizzati per aderire, a modo loro, allo spettro di sentimenti e esperienze dell'animo umano.
Il dramma in Kidding passa sempre per la storia personale dei personaggi.
Anche un personaggio secondario, un sociopatico di contorno che insidia i nostri protagonisti, trova il tempo di descriversi e avere una motivazione alle sue azioni, ampliando contestualmente l'onda di conseguenze alle azioni che i nostri personaggi devono digerire o affrontare.
La seconda stagione di Kidding è forse uno degli show televisivi che più ho amato e che più è riuscito a portarmi i contrasti e le emotività dei personaggi raccontati, trovando impossibile non empatizzare con tutti loro, anche quelli che potrei non avere in simpatia.
Perché indipendentemente da quello che è il loro lato della storia, le loro avversità sono necessità emotive che tutti abbiamo, in un modo o nell'altro, perché tutti noi a volte siamo da un lato o dall'altro delle situazioni e tutti siamo stati o siamo lì in questo momento.