#SuldivanodiAle
Il 9 ottobre 2019 è andato in onda il primo episodio della quarta stagione di Riverdale, distribuito anche da Netflix nelle ore successive alla diretta, che ha reso omaggio a Luke Perry, mettendo in scena un lungo In Memoriam dedicato più all'attore che al Fred Andrews da lui interpretato.
Si rende quanto mai necessario parlare di questo episodio in quanto evento televisivo di rilevante importanza, utile a capire non solo la fattura di questa serie ma anche il mondo di Hollywood.
Di Riverdale ve ne avevo già parlato e rimando ogni ulteriore giudizio sullo show a data da destinarsi, ma è quantomeno necessario introdurre l'argomento con un piccolo recap.
La serie, nel corso della terza stagione - e in parte della seconda - non ha certamente brillato per scrittura, sprecando la sua peculiare mitologia dietro una serie di trovate abbastanza ridicole utili solo a sminuire il valore di un serial particolareggiato da una narrativa originale e la cui messa in scena, nonostante l'estendersi della programmazione, ha sempre mantenuto un livello interessante.
[Luke Perry e il cast di Riverdale]
Riverdale è sempre partito con delle premesse interessanti, salvo poi contaminarsi con il morbo della scrittura seriale da 20 episodi della TV anni '90 e primi 2000, intrecciando molteplici linee narrative fino al contorsionismo più improbabile e intricando così tanto i personaggi da rompere la sospensione dell'incredulità e far crollare la scrittura di alcuni caratteri per accantonarne del tutto altri, rendendo l'impiego di altre figure un vizio reiterato fino alla noia, trasformando un viso cult in una presenza quasi da stalking memico.
Emblematico il caso di Shannon Purser, la Barb di Stranger Things, ostaggio del piccolo mito che è esploso dopo il suo debutto ed è ormai divenuta un personaggio parodia di se stesso anche in Riverdale, annoiando con l'imposta presenza di un carattere che proprio dovrebbe capire che "si è fatta una certa".
Riverdale è diventato meno affascinante e molto improbabile, sacrificando il suo lato più affascinante per dare largo spazio a quell’elemento da soap sotto steroidi che rende il fumetto americano quello che è.
Se pensate sia un insulto, sappiate che non è così, ma è sostanzialmente la struttura di base a reggere un racconto in continuity che in alcuni casi va avanti da 80 anni (vedi Batman, ma non è questa la sede per discuterne).
Eppure questo tracollo non è certamente frutto di un team di sceneggiatori che, di punto in bianco, ha un collasso neurologico collettivo e, in preda a violente convulsioni conosciute come “sindrome di Roland Emmerich”, prende a scarabocchiare spunti narrativi senza senso formattate in sceneggiatura e spalmate lungo un piano produttivo.
Certi collassi di scrittura, nel bene e nel male, sono pianificati e spesso sostenuti da uno showrunner che, invece, è figlio di certe sindromi.
Andando dritti al punto: gli autori di Riverdale, guidati da Roberto Aguirre-Sacasa, se vogliono e come hanno già dimostrato, sanno scrivere... e nel corso di questo primo episodio della quarta stagione, lo dimostrano al 100%.
La linea tra l’accorato omaggio e la cafonata retorica, in certi casi persino stucchevole, è davvero sottile come la tela di un ragno.
E scadere nel cheesy è davvero altrettanto facile.
Invece l’episodio Chapter Fifty-Eight: In Memoriam, titolo originale, dopo una breve intro tra i toni originali del serial e il presente della serie, si ammorbidisce per portarci dolcemente in un episodio scritto e messo in scena con pudore e un potente trasporto emotivo.
La figura di Luke Perry e quella di Fred Andrews diventano una sola entità e l’intera puntata celebra la memoria di un personaggio buono, un vero bravo ragazzo, cavaliere bianco della working class puro di cuore, e il ricordo di un attore, un simbolo della Hollywood anni '90.
Icona che Leonardo DiCaprio e Brad Pitt ricordano con affetto, ammirazione e rispetto quando appare sul set di C'era una volta a... Hollywood, e che l’industria ha pianto con sentita e genuina tristezza.
Qualche malalingua dice che quando si muore siamo tutti buoni, eppure il cordoglio attorno a Luke Perry, condiviso anche da parte di personalità di spicco, sembra un'enorme onda di caldo affetto che si espande verso il pubblico per celebrare un personaggio realmente amato da colleghi, addetti ai lavori, amici e familiari.
Si potrebbe dire che è la concretizzazione di quel concetto per il quale la misura della statura di un uomo non si valuta dai traguardi che ha raggiunto o che pensa di aver raggiunto, o dai suoi soldi o dalla sua fama, ma dall’eredità lasciata nella memoria collettiva: quella delle azioni gentili, dei momenti ritagliati, incorniciati e regalati ad altri.
Luke Perry forse non ha vinto Emmy e Oscar, non ha partecipato alle più grandi saghe del cinema hollywoodiano e, come il suo Fred Andrews, non era un uomo influente o potente, ma era amato dalle persone che incontrava.
Luke Perry un po’ come Robert Forster, Harry Dean Stanton o Elephant Man, nomi e film che magari non sono sulla bocca dell’uomo della strada come Brad Pitt o Avengers: Endgame ma che poi, quando lasci parlare l’immaginario, entrano dalla porta d’ingresso grazie alla loro carica, alla presenza e alla memorabilità di un qualcosa di piccolo che, ogni volta, è valso una vita.
Luke Perry aka Fred Andrews.
Entrambi eroi.
Entrambi pianti e celebrati, accolti da una parata silenziosa imbastita da parte di una comunità, Hollywood aka Riverdale, che non sembra riuscire a lasciarlo andare, rimanendo segnata dalla dipartita di uno spirito gentile, di un sorriso e di un volto che è stato simbolo di una generazione, ma anche un manifesto umano di un professionista che era prima di tutto una grande persona.
In Memoriam non si annulla nel cordoglio di Luke Perry ma, sovrapponendo i personaggi casualmente molto affini - forse un gioco del karma - costruisce una parentesi narrativamente sensata per dare una spinta morale fondamentale alla formazione di Archie verso il cammino dell’età adulta e non dimentica di creare un abbraccio narrativo da parte di nemici e amici che, forse mi sbaglierò, trasuda una certa onestà nel portare in scena il senso di abbandono lasciato dalla dipartita dell’attore.
Quando Skeet Ulrich aka FP Jones comunica ad Archie e ai ragazzi di Riverdale il tragico incidente che ha causato la dipartita di Fred Andrews, la voce che si spezza e le lacrime che sgorgano, chiamatemi ingenuo, sembrano vere, autentiche.
E da quel momento in poi tutto quello che viene nell’episodio è un lungo cordoglio ad accompagnare oltre a Luke Perry altri momenti di vera perdita, senza mai risultare insostenibile o stucchevole,
Onesto è il cameo di Shannen Doherty, la cui presenza è una silenziosa intrusione.
Tutto, in questo episodio celebrativo, funziona.
[Shannen Doherty nell'episodio In Memoriam]
In Memoriam è una puntata dedicata a Luke Perry ed è forse un evento televisivo unico nel suo genere, paragonabile soltanto a quell’addio, quasi sentito nelle ossa, di Catherine Coulson aka La Signora Ceppo, in Twin Peaks - The Return, che con quella telefonata lascia lo spazio terreno con un ultimo enigma per volare verso altre dimensioni, universi e spazi, commuovendo lo spettatore quasi per osmosi, che si ritrova a singhiozzare senza sapere bene perché.
Una puntata che trova la sua potenza nella scrittura onesta alla Ernest Hemingway, nell’unire la sapienza narrativa della sceneggiatura alla grazia degli attori e di una messa in scena che vuole davvero piangere e non spettacolarizzare il dolore, spegnendo per un attimo Hollywood, ma dargli un pudore e una dignità che non sempre viene rispettata, facendo apparire Luke Perry in ultimi segmenti di scene in cui è il padre amorevole e saggio che tutti vorremmo avere e l’uomo tutto d’un pezzo che vorremmo incontrare e, con un po' di fortuna, persino diventare.
In Memoriam, in Riverdale, se avete un cuore vi farà un po’ male, ma difficilmente vi lascerà indifferenti.
E questo fa tutta la differenza del mondo.