#SuldivanodiAle
L'essere umano è un animale complesso nella sua biologia tanto quanto nella sua psicologia, travalicando spesso le soglie della scienza, spingendo le spiegazioni dietro la sua natura verso i confini delineati da un gessetto bianco su sfondo nero, aprendo i cancelli di spazi sconosciuti dove tetri istinti e brillanti astri creativi si celano e riproducono assecondando meccanismi impalpabili.
Cosa muova un particolare essere umano a tanta grandiosità è misterioso tanto quanto il cosa spinge taluni verso efferati gesti.
L'uomo è un animale affascinante e quando gli autori del cinema creano o adattano per lo schermo dei personaggi summa di certi oscuri segreti, creano miti magnetici, icone rese potenti dal fascino perverso di azioni che il pubblico non vuole imitare ma solo subire intimamente e rimanerne affascinato o terrorizzato.
Impossibile dimenticare il Travis Bickle di Taxi Driver, il Patrick Bateman di American Psycho o il Norman Bates di Psyco.
Maschere spinte verso la follia dal mondo circostante tanto quanto da forze oltre il nostro controllo, principi universali di luce e ombra che albergano tra le creazioni della natura, e in quanto tali sono incontrollabili e spaventosi poiché non motivati da ragione; in quest'ultima categoria potremmo ricordare il Frank Booth di Velluto Blu, il Michael Myers di Halloween o il Ray Marcus di Animali Notturni.
You mette al centro della sua narrazione Joe Goldberg, manager di una libreria di New York, che sviluppa una morbosa, e amorosa, ossessione per Guinevere Beck, aspirante scrittrice.
La serie ha due volti, esattamente come il protagonista e tutti i personaggi messi in gioco.
Un volto è quello di Manhattan, di una storia che respira una New York quasi alleniana, dove l'Upper East Side, il Village e Brooklyn si mescolano e perdono la superficialità laccata e stupida di Sex & the City e Gossip Girl per raccontare un lato più romantico, urbano e cinematografico di una città che, se ne rimani catturato, diventa la più grandiosa del pianeta.
Una via di narrare New York in quanto hub di velleità sociali e romanticherie da uomo del nuovo millennio, mescolate, come in un cocktail dagli equilibri sofisticati, alle deliranti nevrosi e pericoli dell'epoca millennials.
You potrebbe cestinare la sua pigra scelta del titolo per sedersi su un comodo citazionismo e ri-nominarsi, "L'amore ai tempi dei social media".
Joe Goldberg, tolto il grembiule da artigiano della cultura su carta, da hipster della classe operaia, veste proprio come un Allen 2.0 e si destreggia tra le idiosincrasie di un presente artefatto, divenendo stalker e decodificatore della realtà, rubando e giudicando la vita di Beck attraverso la rilettura social media, catalogando amici, incontri occasionali e portando al pubblico una sunto radiografico del tempo presente.
Joe, sia ben chiaro, è matto come un cavallo idrofobo.
Un maniaco del controllo a cui si è reso necessario creare un doppelgänger al fine di gestire il quotidiano.
Sociopatico, ossessivo, eppure dotato di una certa intelligenza che gli permette di guardare al mondo senza lenti d'ingrandimento distorte da fabbricazioni terze, armato di un suo sguardo sul mondo utile, attraverso il costante voice-over, a catturare lo spettatore in una serie di elucubrazioni affascinanti quanto folli e, in certi casi, maledettamente vere.
Joe, però, non arriva mai a costruire l'illusione di essere un eroe o tantomeno detentore della verità assoluta da imporre al mondo: non è quel tipo di pazzo.
Il suo scopo è quello di essere amato e i suoi mezzi sono quelli di un uomo, sicuramente distorto, ma consapevole di vivere in un mondo di psicopatici inconsapevoli tanto quanto lui.
Il personaggio interpretato da Penn Badgley, come un comico satirico, vuole comunicare allo spettatore utilizzando la sua eccessiva e sempre più delirante pazzia, i pericoli di un mondo pieno di persone a loro modo disturbate, afflitte da psicosi e manie criminali innocue tanto quanto letali.
La stessa Beck (Elizabeth Lail) è la porta di uno sgabuzzino verso l'insanità mentale, resa irriconoscibile dalla quantità enorme di deviazioni che la affollano e la bloccano, impedendole di passare oltre e impazzire del tutto.
Attorno a lei si muovono un corollario di maschere terrificanti, di amici, amanti e amiche che giocano e si spostano per il mondo come se le loro deprecabili azioni fossero parte di un gioco al massacro psicologico, dove sopravvive solo chi vi prende parte per smettere di essere vittima e divenire carnefice.
Siamo tutti folli e molti di noi sono inconsapevoli di esserlo.
You ha il pregio di seguire un protagonista affascinante nei tratti della sua weirdness, un uomo comune, il tipico vicino educato che saluta sempre e sembra tanto una brava persona, una farsa a celare una natura inaccettabile all'interno di una struttura circolare dove l'uomo è per sua natura sociale ma al contempo sembra aver contaminato il suo genoma con una modernità bipolare, disconnessa dalla realtà e fortemente edonistica.
Un Dexter Morgan 2.0 reso ancora più pericoloso da una forza emotiva moltiplicata per dieci rispetto a quella di un normale essere umano.
Quello che viene mostrato online da Beck è a tutti gli effetti un avatar, l'immagine riveduta, idealizzata e corretta di un io che, secondo noi, è la migliore faccia di noi stessi in accordo al nostro umore, al nostro presente, alle credenze usa e getta costruite a ritmo di scroll.
La vita di Beck online è altrettanto artefatta e psicotica fuori da internet, plasmata da intrusioni, schiacciata da giudizi, frivolarmente affidata a incertezze e dominata da bugie autoinflitte a giustificare un ego sbilanciato che a volte dovremmo sopprimere e altre incoraggiare.
You mette in scena la nevrosi moderna nel corpo di una deformità sociale completamente schizzofrenica, un assassino, un cospiratore del quotidiano, la deriva più estrema delle nostre paure e incertezze che si fa forza della razionalità di convenienza atta a giustificare quello che non vuole vedere e demonizzare ciò che è scomodo, fuori posto e asse.
Joe Goldberg diventa quindi affascinante nel disegnare, lungo tutte le puntate, l'arco della sua follia che, lungo la serie, diventa sempre più ampio, sporco e divertente.
You riesce nel compito di ribaltare ogni prospettiva, parlando al lato totalente irrazionale di noi, quello che ci spinge a circondarci di persone nocive, tossiche, spesso deleterie, il cui charme sembra attrarci quasi a livello feromonale, per dissonanza cognitiva, un difetto naturale a creare cortocircuito tra quello che sarebbe salutare per noi stessi e per i nostri bisogni e desideri, tanto quanto per i personaggi messi in scena.
La serie si costruisce quindi sul fascino proibito dei personaggi sbilenchi rispetto alla bolla della sanità, mettendo in gioco il sesso e le fantasie proibite, spostando il mondo su un asse dove il bene è presente quasi in quanto anomalia trascurabile, mentre tutto il resto è dominato dagli inganni costruiti dall'essere umano per rimanere accettabile agli occhi dello spettro sociale.
You, come Dexter o come un Joker della stand-up comedy, guarda al mondo da una certa distanza attraverso Joe e disseziona ed esamina le parti più decadenti e sordide, cercando il fascino proibito di ciò che le persone celano davvero dietro il muro dei propri avatar, virtuali o meno che siano.
You è uno dei prodotti, diventato Netflix Original ma non ideato dalla piattaforma streaming, più interessanti che possiate trovare, capace di introdurre un racconto di ossessione e follia attraverso un primo episodio apparentemente romantico, la cui deriva sarà prima dolce e poi inesorabile, migliorando di episodio in episodio e sfociando in una sociopatia disperata e sprezzante.
Un thriller sull'uomo moderno, ammantato da una certa aria hipster neworkese alleniana che vive nel tempo presente, pur romanzandosi in una nebbia mistica senza data, profumando di quell'aria da caffetteria letteraria dell'Upper East Side, di sesso occasionale da dating app, di serate alcoliche, di carta e sangue.
Guardate You.