#LaTecnicadelCinema
Nella prima puntata di questa rubrica abbiamo visto i vari tipi di inquadratura fissa, senza tener conto dell'inclinazione della macchina da presa sull'asse verticale o orizzontale e senza considerare il punto di vista.
Si parla di "punto di vista" dividendo le inquadrature in due categorie:
- l'inquadratura oggettiva
- l'inquadratura soggettiva
L'inquadratura oggettiva mostra gli eventi narrati da un punto di vista, appunto, oggettivo: l'impressione per lo spettatore è quella di essere un osservatore invisibile che assiste agli avvenimenti del film.
È la scelta effettuata per la stragrande maggioranza delle inquadrature nei film.
L'inquadratura soggettiva mette invece lo spettatore al posto di un personaggio: ciò che vediamo noi è ciò che vede lui, l'immedesimazione è totale.
Sovente utilizzata per i momenti in cui un personaggio guarda un'azione svolgersi, magari mediante l'uso di un binocolo o dallo spioncino della porta, è un'inquadratura di forte effetto perché sostituisce lo sguardo onnisciente e rassicurante dell'oggettiva con quello del personaggio singolo: lo spettatore non può scegliere cosa guardare e per quanto tempo, ma è costretto a vivere l'emozione vissuta dal personaggio.
La prima volta di cui si ha notizia di una soggettiva girata con un significato preciso risale al 1927: è l'anno del mastodontico Napoléon, di Abel Gance.
Tra le tante sperimentazioni di questa pietra miliare del cinema, moltissime le innovazioni tecniche tra cui addirittura la scelta di proiettarlo su 3 schermi affiancati, troviamo anche la soggettiva.
Il regista fece imbottire la cinepresa e l'obiettivo e agganciò il tutto al petto del suo operatore, per dare la possibilità agli attori che vi interagivano di prenderla a pugni e colpirla: la scena è quella di una rissa, con tanto di battaglia di palle di neve, che vede coinvolto il giovane Napoleone.
Il nostro sguardo diventa quindi il suo, lo spettatore avverte i colpi subiti dal protagonista e la frustrazione nel non riuscirsi a difendere.
Queste le parole di Abel Gance, scritte sul suo diario di lavorazione:
"La macchina da presa si difende come fosse lo stesso Bonaparte, è nella fortezza e combatte, poi si arrampica sul muro di neve e salta giù come fosse un uomo.
Le braccia compaiono ai lati della cinepresa come se la cinepresa stessa avesse le braccia: la macchina da presa lotta, cade a terra, si rialza".
Negli anni '40 film come Il pensionante e Nelle tenebre della metropoli hanno cominciato a mostrarci il punto di vista di un assassino, creando forte disagio nello spettatore.
Una donna nel lago (1946, di Robert Montgomery) è il primo film girato interamente in soggettiva.
Lo spettatore diventa quindi parte del film, gli altri attori lo guardano negli occhi e vi si rivolgono, togliendoci la possibilità di capire che emozioni prova il personaggio perché noi stessi siamo il personaggio.
L'occhio che uccide (1960, di Michael Powell) porta all'estremo la cosa facendoci vedere in prima persona ciò che il killer vede attraverso la sua cinepresa, al cui cavalletto ha attaccato un coltello con il quale uccide le sue vittime
La "soggettiva del killer" viene utilizzata magistralmente da John Carpenter nel 1978 per Halloween, dove l'inizio del film ci mette nei panni di qualcuno che entra in una casa, indossa una maschera e commette un omicidio.
Nel momento dello stacco sul passaggio all'inquadratura oggettiva, dove lo svelamento ci mostra di chi era quello sguardo che era diventato il nostro, lo shock è assicurato.
Un'altra "soggettiva killer" famosa è quella nel finale de Il silenzio degli innocenti (1991, di Jonathan Demme), dove impersoniamo Buffalo Bill che indossa degli occhiali infrarossi, mentre l'agente dell'FBI interpretata da Jodie Foster è nel buio totale.
Maniac (2012, di Franck Khalfoun, remake del Maniac del 1980 con la regia di William Lustig) estremizza l'idea e cerca di ripetere l'exploit di Montgomery del 1946.
Un film thriller/horror girato per un buon 70% attraverso gli occhi dell'assassino interpretato da Elijah Wood che compare solo 12 minuti dopo l'inizio del film e che si vede pochissimo, negli specchi e nei riflessi.
Per Brian De Palma la soggettiva del cattivo è l'occasione per regalarci uno dei suoi famosi pianisequenza.
Ne Gli intoccabili lo spettatore prende il posto di colui che va in casa di Sean Connery per eliminarlo: si avvicina, sbircia dalla finestra, si nasconde dietro il muro quando Connery guarda fuori, entra dalla finestra e prova a coglierlo di sorpresa.
Lo stacco avviene solo quando Connery "ci guarda" in faccia e ci punta addosso il fucile.
Con il progredire della tecnica i registi hanno a disposizione più mezzi per raccontare quello che vogliono nel modo che ritengono più consono: Kathryn Bigelow ha fatto impazzire non pochi appassionati nel tentativo di capire come avesse realizzato la soggettiva in pianosequenza all'inizio di Strange Days (1995).
Il film racconta di una droga sintetica grazie alla quale si possono rivivere in soggettiva le proprie esperienze, o le esperienze vissute da altri, mediante un apparecchio appoggiato sulla testa che registra ciò che vediamo e sentiamo.
Se vi piace la tecnica della soggettiva, è il film che fa per voi.
Doveroso citare le soggettive presenti nei film di Alfred Hitchcock, due su tutte: quelle in cui guardiamo il vicinato attraverso gli occhi di James Stewart in La finestra sul cortile, diventando noi stessi voyeur, complici e testimoni di ciò che accade, e quella di Janet Leigh dentro la doccia di Psyco (1960), con la mamma assassina vista in controluce.
Stacchi velocissimi, montaggio frenetico - la scena richiese una settimana di riprese e ben 50 punti macchina - ma l'immagine dell'assassino che agita il coltello verso di noi è sicuramente quella che resta più impressa.
Nonostante esista da ormai 90 anni, in tempi più recenti la soggettiva è protagonista di alcune originali intuizioni: quella di Gaspar Noé nel suo Enter the Void del 2009 è un ottimo esempio.
Non solo vediamo ciò che vede il protagonista, ma le scene sono girate per farci anche sentire come si sente lui: la macchina da presa barcolla, non ha punti fermi, addirittura vediamo lo sbattere delle palpebre del personaggio.
Il film Arca Russa (Aleksandr Sokurov, 2002) è passato alla storia per essere stato il primo girato in un unico intero piano sequenza, ma spesso ci si dimentica che... è anche girato interamente in soggettiva.
La soggettiva, inquadratura scelta da moltissimi videogiochi tanto da essere una vera e propria categoria (FPS - First Person Shooter, ovvero "Sparatutto in Prima Persona"), è stata recentemente portata al parossismo in un film che molto deve, appunto, al mondo videoludico.
Hardcore! (2015, di Ilya Naishuller) è un film d'azione interamente girato in prima persona.
Ma, per quanto divertente possa essere l'idea, la stanchezza che si prova nel portarne a termine la visione dimostra che il cinema è fatto di découpage, di scelte di inquadrature diverse ognuna con un preciso significato: limitarsi a sceglierne una sola per l'intera durata di un film semplicemente non funziona fino in fondo, se non come esperimento o come divertissement.
Quando la soggettiva non è di un personaggio, ma di un oggetto?
Sempre di soggettiva si tratta, anche se "impersonale".
Credo non ci sia bisogno di presentazioni parlando del famoso trunk shot di Quentin Tarantino: l'inquadratura da dentro il bagagliaio di un'auto divenuto con il tempo uno dei suoi personali marchi di fabbrica.
Se ne Le iene si trattava di una vera e propria soggettiva, dove il punto di vista era quello del poliziotto rapito, nei film successivi i personaggi guardano in macchina come se guardassero negli occhi qualcuno, nonostante non ci sia nessuno da guardare.
Mi sembra simpatico in chiusura citare le numerosissime "soggettive impersonali" presenti nella serie TV Breaking Bad, dove molti registi si sono cimentati nel piazzare la macchina da presa nei posti più impensabili regalandoci il punto di vista di quell'oggetto, che sia una lavatrice o un aspirapolvere.
2 commenti
Terry Miller
1 anno fa
Rispondi
Segnala
Claudio Bertelle
1 anno fa
Rispondi
Segnala