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#Goodnight&Goodluck

Gli 8 inimmaginabili progetti che vorrei vedere subito sullo schermo (o: faccio un po' come c***o mi pare) - Parte 1

Completamente inediti, abbozzati, annunciati, già prodotti: sono questi gli 8 progetti cinematografici che vorrei vedere sullo schermo   

Buonanotte, amici della notte.

 

Questo è il punto dell'articolo in cui di solito mi invento un pretesto, un sistema, una c****ta (una maniglia colorata, un portaspilli, un portafogli, un portafigli, una cagata, qualcosa) per proporvi uno o più film, giusto?

E, in teoria, seguendo quella strana cosa chiamata "format", dovrei proseguire su questa linea.

E invece no.

Oggi non mi va.

 

E poi la rubrica è mia, quindi, come nello spot della Casa delle Libertà: "faccio un po' come c***o mi pare".

 

[Voglio che mi immaginiate così: tintinnìo per richiamare l'attenzione, seguito da rutto siderale]

 

 

Per questo appuntamento di Goodnight & Goodluck vorrei scrivere non di un film, ma di ben otto, che il mio cuoricino di Tuscaloosa bramerebbe vedere sul grande telo bianco di una sala cinematografica.


Alcuni di essi sono in pre-produzione, altri sono stati realizzati ma non mi hanno convinto, altri ancora - per ora - non sono diventati un progetto cinematografico e forse mai lo diverranno.

Ci sono persino dei film di cui ho scoperto l'esistenza mentre ragionavo sulla stesura di questo pezzo.

E, probabilmente, non dovrei scriverlo qui (ops).


Per alcuni titoli mi divertirò a ipotizzare chi potrebbe lanciarsi nella loro produzione, i cast, i registi. 

Per altri non lo farò, lasciandovi liberi di creare le vostre suggestioni nei commenti (e dai, dai, dai!).

 

Perché lo faccio?

Dai su, la risposta la conoscete. 

Ma ora bando alle ciance e cominciamo questo vorticoso, gargantuesco, spaventoso, illogico viaggio negli 8 progetti che vorrei vedere subito sullo schermo.

____________________

 

Metal Gear Solid

 

 

 

 

Gli adattamenti cinematografici tratti da opere videoludiche non hanno mai avuto grande fortuna, ed è ormai un fatto tristemente assodato.

 

Se la motivazione sia ascrivibile alla difficoltà di convertire in pellicola le immagini proposte da un medium completamente diverso, scarsa considerazione (e trasandatezza) da parte di produttori e registi, sfortuna o, più semplicemente, Milla Jovovic e consorte che salterellano qua e là distruggendo proprietà intellettuali di Capcom come Resident Evil o Monster Hunter, è difficile a dirsi.

 

Sicuramente nutro enormi speranze sulla serie TV di HBO dedicata a The Last of Us.


Tuttavia non è questo l'argomento di discussione dell'articolo, non sono la migliore persona per farlo e, oltretutto, sul tema vi ha già abbondantemente ammorbato quel puzzone del Dioguardi ("Io oooodio il Dioguardi!" cit.).

Ma veniamo a Snake.

 

Raccontare in poche righe l'epica costruita da Hideo Kojima, creatore di Metal Gear Solid, è a dir poco deleterio.

Per il semplice fatto che l'autore giapponese, con il suo splendido bambinone partorito nel 1998 per PlayStation 1, è stato in grado di aggregare riferimenti culturali e tòpoi narrativi di livello assoluto, fondendoli in una vera e propria saga "mitologica" narrativamente sterminata.

 

In Metal Gear Solid ci sono scelte di colonna sonora straordinarie (parentesi, così linko anche il Maestro Ennio Morricone) e pezzi originali da brivido, continui richiami cinematografici (banalmente: ormai anche i sassi sanno che lo stesso protagonista Solid Snake riprende alcuni elementi caratteristici dello Jena/Snake Plissken originato dalla mente portentosa di John Carpenter), rimaneggiamenti di contesti e situazioni storiche, ragionamenti filosofici sui concetti di "libero arbitrio", "libertà" e "destino", il poetico ideale di una "terra promessa dei reietti" (Outer Heaven), una cura maniacale per il dettaglio e, soprattutto, azione e lirismo fuori dall'ordinario.

 

 

[Octopus, Ocelot, Mantis, Wolf, Raven e Snake. Il gruppo FOXHOUND (ai tempi di MGS1) al gran completo]

 

 

L'ucronia orchestrata da Kojima ha inizio* in un ipotetico 2005 e vede come protagonista Solid Snake, ex berretto verde dell'esercito americano, figlio del leggendario soldato Big Boss e ora membro di FOXHOUND, forza speciale composta da combattenti (apparentemente?) dotati di abilità speciali, quasi sovrannaturali.

 

C'è Vulcan Raven, gigantesco sciamano con la sua mitragliatrice Gatling e un rapporto ultrasensoriale che lo lega ai suoi neri corvi ("la terra è il tuo posto, devi strisciare come il serpente che sei"); Decoy Octopus, capace di assumere le fattezze fisiche di chiunque; Psycho Mantis, abile nel leggere la mente dell'essere umano e maestro di psicocinesi (troppo facile invertire la porta del controller!); Sniper Wolf, cecchina di immensa abilità; il pistolero ex-specnaz e KGB Revolver Ocelot e poi, soprattutto, c'è Liquid Snake, feroce e formidabile combattente, fratello del nostro protagonista.

 

I due gemelli - che seguono il dualismo biblico di Caino e Abele (o se preferite di Yin e Yang) - sono stati creati in laboratorio attraverso il progetto Les Enfants Terribles, il cui fine ultimo è la produzione di "super soldati" da far utilizzare ai governi a proprio piacimento, alla stregua di cani da guerra.


Ovviamente i due sono destinati a darsi battaglia fino alla sconfitta definitiva di uno o dell'altro.

Da qui in poi... È storia.

 

In un mondo immaginario espanso - ma non troppo distante dal nostro - minacciato dal disastro nucleare (gli spettri della Guerra Fredda e dell'atomica aleggiano costantemente sulla testa dei protagonisti della saga), dove le organizzazioni private di mercenari e le armi di nuova generazione la fanno da padrona, proprio lì il demiurgo cinefilo Kojima tesse la sua tela di denuncia politica contro gli orrori della guerra, i soprusi e le pene subite dalle vittime dei conflitti bellici, dai profughi, e, soprattutto, schierandosi contro l'ottusità e la stupidità guerrafondaia delle nazioni del mondo o, più essenzialmente, dell'essere umano.

 

I sei giochi che approfondiscono a 360° l'epica di Metal Gear Solid sono semplicemente uno più bello dell'altro.

Il gameplay a tratti rivoluzionario, ma soprattutto una narrativa sublime, ultra-cinematografica, piena di sottotesti e morali non scontate, rendono questa saga il progetto perfetto da portare sul grande schermo.

"E allora perché non è stato già fatto?"

Già: bella domanda. 

 

[Capite da voi che il potenziale è davvero molto alto...]

 

 

Le prime tracce di un'ipotesi di adattamento cinematografico risalgono al 2006, quando Kojima confermò la partenza della pianificazione del film di Metal Gear Solid.

 

Dopo una lunghissima fase di stallo, nel 2010 il progetto venne accantonato, probabilmente perché la cura ossessiva di Hideo non lo faceva stare tranquillo sul piano della lavorazione, per poi essere ripreso nel 2012 e affidato nelle sapienti (?) manone di Columbia Pictures.

 

Ad oggi, di questa pre-produzione che ha l'aspetto di un parto podalico, si sa solo il nome del regista, Jordan Vogt-Roberts (Kong: Skull Island) e che papà-Kojima sta (starebbe?) seguendo lo sviluppo.

Il resto è solo un ammasso di corbellerie e speculazioni.

Il tempo ci ha consegnato ipotesi di casting suggerite dall'enorme fanbase del franchise, Kojima che sostiene la candidatura di Luca Marinelli nei panni di Solid Snake (a Koji'... ma che t'eri fumato?) e poco altro. 

Il film, quindi, resta lì, appeso, nella trepidante attesa che qualcosa si muova.

 

Metal Gear Solid è narrativa, azione, passione, Storia, musiche, epica...

Un qualcosa che si avvicina già terribilmente al Cinema.

Quindi... Che state aspettando a portarlo in sala?

Signori, avete a disposizione materiale per fare almeno 10 film. Non ve ne chiediamo così tanti.

Ne basta uno, ben fatto.

Dai.

 

Sennò voo buco 'sto proggetto.

 

*Mi limito alla saga iniziata su PlayStation: non parlo dei giochi di Metal Gear per MSX2 o Commodore 64 altrimenti non la finisco più! 

____________________

 

Kiseiju - L'ospite indesiderato (noto anche come 寄生獣 o Parasyte)

 

 

 

 

Dai che questa la so.

Su questa sono fortissimo.

 

Quando, prima di vedere il trailer o leggerne la sinossi, venni a conoscenza del fatto che Bong Joon-ho avrebbe presentato in concorso a Cannes il suo ultimo film, Parasite, ero gasato come la Coca-Cola.

Eccitato come una donnola. Felice come Gesù a Pasqua.

Ero già pronto a squartamenti, alieni dalle fattezze mostruose, sangue, combattimenti violentissimi e tematiche seinen

 

Poi ho visto il trailer e ho capito che non sarebbe stato così.

Ma dopotutto ci è andata bene, no?

Kiseiju è un manga scritto e inchiostrato da Hitoshi Iwaaki, rilasciato per la prima volta fra il 1988 e il 1989.

La storia racconta le disavventure di Shinichi Izumi, studente diciassettenne tranquillo, timido e pacato (che news, eh!) che durante il sonno viene aggredito da un piccolo nemico venuto da molto lontano.

 

Immaginate ora una razza aliena composta da esseri dalle fattezze minute (sembrano dei vermicelli con le zampe) che, una volta penetrato nel corpo della creatura ospite tramite gli orifizi corporei, ne prendono il controllo divorandone il cervello.

A questo punto sono in grado di modificare la struttura corporea in cui albergano (con tanto di zanne, lame affilate e tentacoli letali) con lo scopo di fare una cosa sola: nutrirsi e diffondersi in segreto come un virus.

 

E indovinate un po' qual è il piatto principale della dieta di questi simpatici esserini...

 

Il parassita che tenta di prendere il controllo di Shinichi fallisce nell'impresa, riuscendo a impossessarsi solo della sua mano destra.

A questo punto fra l'alieno - in seguito ribattezzato Migi (o Destry nella versione italiana: sic!) - e lo studente di liceo (a dir poco sconvolto dall'avvenimento) nascerà una convivenza forzata che ha come scopo ultimo la sopravvivenza di ospite e ospitante.

 

 

[Mi raccomando, ragazzi: carini e coccolosi, carini e coccolosi]

 

 

Oltre al concept, i disegni e le scene d'azione, la cosa che mi ha sempre entusiasmato di Kiseiju sono le dinamiche narrative (non innovative, ma decisamente interessanti) utilizzate da Iwaaki.

 

Come ad esempio il fatto che Migi, inizialmente, non sappia quale sia la sua vera natura e si muova solo per istinto, non conosca il linguaggio e le dinamiche sociali che sarà lo stesso Shinichi a insegnargli; Migi-Destry non concepisce - e per natura ripudia - le convenzioni sociali e antropologiche dell'essere umano: empatia, famiglia, amore, compassione sono sentimenti a lui assolutamente (eheh) alieni.

 

O ancora: è coinvolgente il discorso portato avanti dal mangaka nipponico sulle commistioni fra razze diverse: può un umano diventare mostro?

E un mostro diventare umano? E cosa comporta questa (possibile?) mutazione?

 

Emblematica in tal senso è la scena dove un risentito Shinichi, dopo l'ennesima minaccia patita dal suo parassita, definisce Migi con l'appellativo/insulto akuma ("demone").

"Demone?", si domanda l'alieno che non conosce la parola.

 

Dopo una rapida ricerca su internet, risponderà:
"Shinichi, ho cercato la parola 'demone', e credo sia più vicina all'essere umano"

 

Kiseiju ha ricevuto un buon adattamento ad Anime prodotto da MadHouse (lo trovate su Netflix, Amazon Prime Video e gratuitamente su VVVVID) in dieci episodi.

 

La serie Kiseiju - L'ospite indesiderato vanta una buona produzione, fedelissima alla storia presentata nell'opera cartacea e capace di soddisfare i fan del manga di Iwaaki.

 

[Il trailer italiano di Kiseiju - L'ospite indesiderato, anime del 2014]

 

 

A questo punto, arzillo come un armadillo, ero convinto di presentare le mie rimostranze al mondo intero e domandarne un adattamento live action.

 

Se non fosse che l'adattamento live action è già stato realizzato in due film (Parasyte part 1 e Parasyte part 2) diretti da Takashi Yamazaki e prodotti da Toho Company Ltd.

 

"Beh, ma allora non hai potuto inserire questa idea nella Top 8, no?", potreste chiedere giustamente voi.

No, ragazzi, ce l'ho messa: altrimenti non stareste leggendo queste righe.

 

E sapete perché l'ho inserita comunque?

Esatto: perché faccio un po' come c***o mi pare.

 

Per conferire un barlume di serietà e professionalità a questo articolo, ho recuperato i due film di Yamazaki - a scatola chiusa - convinto di beccarmi il proverbile proiettile per voi, miei cari 25 lettori.

E invece.

 

[Il trailer di Parasyte part 1, 2014] 

 

 

I film vantano un cast dove spiccano due mostri sacri come Jun Kunimura (uno che ha lavorato con alcuni dei più grandi registi contemporanei nipponici su piazza: Takeshi Kitano, Takashi Miike, Sion Sono e non solo... Quentin Tarantino, Ridley Scott e John Woo si aggiungono al suo borsino attoriale) e la superstar nipponica Tadanobu Asano (il buon Kakihara di Ichi the killer, Gengis Khan di Mongol e il protagonista di Vital di Shin'ya Tsukamoto) nel ruolo del feroce "nemico ultimo" Goto.

 

Ma i due film di Kiseiju non sono solo cast: le produzioni firmate da Takashi Yamazaki offrono un adattamento fedele, ma non morbosamente attaccato all'originale, capace di regalare momenti inediti divertenti e ben congeniati.

 

La CGI (non sempre perfetta, ma comunque convincente) per un film del genere poteva essere un punto di snodo scivoloso: una storia che prevede l'abbondante presenza di esseri mostruosi che aprono le teste come scatolette di Tonno Rio Mare e mani parlanti si prestava a un uso smodato/errato/scadente della computer grafica.

 

 

[Oltre a una regia ordinata, Parasyte offre persino qualche bel quadro]

 

 

Yamazaki è riuscito invece nell'intento di rendere la mostruosità grafica degli alieni utile alla narrazione, funzionale e al servizio dell'intreccio (spesso giocando con i fuochi e le quinte).

 

L'esperimento live action, al netto di alcune ingenuità narrative e personaggi trascurati (il detective impersonato da Kunimura è decisamente sacrificato) che mi sento di sottolineare, può dirsi dunque riuscito.

 

Il film è un ottimo prodotto per il pubblico di riferimento dei manga seinen (i giovani adulti), ma abbordabilissimo anche per gli spettatori più vecchiarelli che sappiano contestualizzare e comprendere la natura dell'opera senza strapparsi i capelli di fronte ad alcune scelte abbastanza "J-pop" (non sto ovviamente parlando di musica).

Che dire, quindi?

Beh, cari distributori: portateceli in sala! 

____________________

 

Machete Kills Again... In Space

 

 

 

 

Chevvelodicoafare... Chi non ama Machete è una brutta persona.

 

Personalmente non apprezzo in toto la filmografia di Robert Rodriguez, il socio pulp di Quentin Tarantino che - a mio avviso - alterna idee geniali e produzioni capaci di conquistare il grande pubblico (e non solo) a film non all'altezza della sua fama.

 

È anche vero che il cineasta di origini messicane, nel corso di una carriera iniziata agli inizi degli anni '90, è stato in grado di proporci delle follie rimaste nel cuore degli appassionati di B-Movie e del Cinema di Exploitation (la Trilogia del Mariachi, Dal tramonto all'alba, Grindhouse - Planet Terror) e blockbusteroni più o meno riusciti (Sin City, Spy Kids, Alita - Angelo della battaglia).

 

Robert Rodriguez è sicuramente un autore "di cuore" e un artigiano cinematografico a tutto tondo (scrive, produce, dirige, fotografa, monta e crea effetti speciali), oltre a essere totalmente e profondamente innamorato del mezzo audiovisivo.

Basti pensare al fatto che El Mariachi (1992), primo lungometraggio del regista, è stato in parte finanziato dalla sua attività lavorativa di "cavia da laboratorio".

 

Non lo apprezzerò in maniera incondizionata, ma... come si fa a non amare Robert Rodriguez?

 

 

[Non avete mai visto la Trilogia del Mariachi (El Mariachi, Desperado, C'era una volta in Messico)? Forse vale la pena recuperare]

 

 

E poi c'è lui... Machete, l'eroe che il popolo messicano merita e di cui ha sempre e comunque bisogno. 

 

In Machete (2010) e Machete Kills (2013) si raccontano le avventure di Machete Cortez (Danny Trejo), nerboruto agente federale amante dei grossi coltelli che si batte per il popolo messicano contro le ingiustizie e i criminali.

 

L'eroe della storia si troverà coinvolto in una serie di folli avvenimenti che lo porteranno fin negli Stati Uniti, dove dovrà combattere contro la politica razzista e poco inclusiva degli States.

 

[Il gustosissimo, trashssimo trailer italiano di Machete]

 

 

Nato dal fake-trailer presente all'inizio di Grindhouse - Planet Terror (2007), Machete è il trionfo dei B-movie: volutamente esasperato nei toni, con scene action scientemente orripilanti, didascalico nello script e visivamente retrò; alla sua uscita il tredicesimo lungometraggio di Rodriguez raccolse un ottimo riscontro da critica e pubblico, tanto da garantirgli un sequel praticamente immediato, distribuito in sala nel 2013.

 

Il successo di Machete è probabilmente dovuto all'abilità di Rodriguez nel presentare allo spettatore una narrazione esagerata, carica di citazionismo esplicito e pienamente in grado di spingere sull'acceleratore della provocazione, della satira politica e dello splatter.

 

Robert De Niro, Don Johnson, Lady Gaga, Jessica Alba, Cheech Marin, Steven Seagal, Michelle Rodriguez e Mel Gibson sono solo alcuni degli attori che hanno prestato il proprio volto per la folle e violentissima critica sociale operata da Rodriguez.

La ciliegina sulla torta è ovviamente il monolitico e perfettamente monoespressivo Danny Trejo, assolutamente a suo agio nel (non) animare alla grande il suo Machete, l'eroe latin lover che parla poco e, soprattutto, non messaggia e non usa i social ("Machete non twitta!").

 

Nonostante Machete Kills - svanito l'effetto sorpresa del primo film - perda in efficacia, si può sostenere comunque che entrambe le pellicole di Rodriguez siano enormemente divertenti, scanzonate e dolcemente nostalgiche rispetto a un Cinema del passato che ora non c'è più.

 

Quindi, quando in sala vedemmo il trailer di Machete Kills Again ...In Space in coda a Machete Kills, moltissimi di noi proferirono semplicemente due parole:

"Quando esce?"

 

[Ma parliamo di colonne sonore epiche, dai]

 

 

Dal 2013 in poi si è speculato parecchio sul terzo, possibile, film dedicato all'eroe messicano.

 

Gli appassionati di tutto il mondo hanno chiesto a gran voce la produzione di Machete Uccide nello Spazio e lo stesso Trejo si è sempre dichiarato più che disponibile a brandire di nuovo la lama.

C'è stato persino un momento in cui la pre-produzione sembrava realmente sul punto di partire.

 

Invece... nulla si è mosso.

 

Danny Trejo è ormai un vispo uomo che ha passato i tre quarti di secolo, principalmente dedito alla sua impresa alimentare di Tacos e, col passare del tempo, le possibilità di rivederlo squartare i nemici o saltare dalle finestre usando interiora come funi si affievoliscono sempre più.

 

Ma la speranza è l'ultima a morire.

Io voglio il Machete Laser!

____________________

 

Martin Eden

 

 

 

 

Martin Eden, romanzo scritto Jack London (Il richiamo della foresta, Zanna Bianca, La valle della Luna) e pubblicato per la prima volta in varie puntate - fra il 1908 e il 1909 - dalla rivista Pacific Monthly è senza ombra di dubbio uno dei miei classici letterari preferiti.

 

Gli avvenimenti esposti nel libro - che presentano più di qualche somiglianza con la vita dell'autore - ci raccontano il vissuto di Martin Eden, marinaio illetterato di Oakland: un ragazzo di origini umilissime, cresciuto in povertà senza la possibilità di studiare, soprattutto a causa della sua appartenenza alle classi sociali non abbienti. 

Dopo una rissa in un bar dove salverà Arthur Morse, un giovanotto borghese di San Francisco, Martin incontrerà la sorella di quest'ultimo, Ruth, e si innamorerà perdutamente di lei.

 

I sentimenti provati per la ragazza saranno la molla che spingerà il marinaio verso il desiderio di elevarsi intellettualmente (e di conseguenza anche socialmente) attraverso lo studio della lingua inglese, la letteratura e la carriera di scrittore che Martin farà di tutto pur di intraprendere.

 

 

 

 

Il romanzo di London, oltre alla alla critica contro la spaccatura fra proletariato e borghesia, alla denuncia indirizzata al cinico capitalismo americano - che cominciava a imperversare agli inizi del '900 - e in definitiva a un sottotesto marcatamente socialista, presenta un ragionamento antropologico universale che ho sempre adorato nella sua (a mio avviso) genuina crudezza.

 

Martin è infatti un ragazzo semplice, ma estremamente passionale, privato dal suo contesto sociale della possibilità di esprimere il proprio pensiero di essere umano attraverso un linguaggio appropriato e strumenti culturali che gli consentano di comprendere e analizzare la realtà che lo circonda.

L'amore per una donna è la scintilla, un pretesto che lo conduce alla letteratura, al sapere, alla conoscenza.

Libro dopo libro, come una valanga che non si può arrestare, l'ormai ex-marinaio acquisirà coscienza di sé e delle proprie capacità intellettive.

 

L'evoluzione di Martin, da creatura semplice e ignorante a sorta di Übermensch di nietzschiana memoria, è sentitissima, passionale e ricca di momenti di euforia derivati dal piacere di apprendere e dissertare di filosofia, storia, arte, letteratura.

 

Ma, come spesso accade, c'è anche l'altra faccia della medaglia: l'autocoscienza e il potere della conoscenza del reale conducono il protagonista (e l'Uomo in generale) fino all'apatia, la disillusione, la solitudine assoluta e - un gradino più sotto (o sopra?) - al nichilismo.

 

 

[Beware: Friedrich Nietzsche is watching you!]

 

 

Come detto, a mio personale avviso, Martin incarna appieno il concetto di Oltreuomo: una figura metaforica che rappresenta l'Essere Umano che diventa se stesso attraverso un "nichilismo attivo", ovvero un accrescimento dello spirito in una nuova epoca, annunciata in Così parlò Zarathustra.


Secondo la tesi di Friedrich Nietzsche l'uomo si libera dalle catene e dai falsi valori etici e sociali seguendo le  sue passioni, abbandonando le ipocrisie moraliste della massa, affermando se stesso e ponendo di fronte alla morale i propri valori, guidato dalle passioni, identificandosi dunque nello spirito dionisiaco.

 

Lo scopo dell'Oltreuomo (o Superuomo) non è posto in un universo trascendente, ma trascendentale, che punta alla felicità immanente tramite la capacità creativa.

Egli è visto come il grado più alto dell'evoluzione ed esercita il diritto dettatogli dalla forza e dalla superiorità sugli altri. Questo diritto gli si presenta tuttavia anche come dovere di contrapporsi all'ipocrisia della massa e va contro la stessa tradizionale etica del dovere.

 

Il superuomo contrappone al "Tu devi!" kantiano il nietzschiano "Io voglio!", la cosiddetta volontà di potenza.

L'uomo dunque è solo corpo e deve lasciarsi guidare dalle proprie pulsioni, puntando alla felicità immanente tramite la capacità creativa.

Egli esercita la già citata volontà di potenza, che è il movente della Storia dell'Uomo: essa si presenta nella creazione della Natura e va continuamente oltrepassata.

 

In tale concetto, esattamente come nelle azioni compiute da Martin, non rientra in alcun modo la prospettiva della violenza e del dominio.  

 

Ma ora basta con la filosofia.

Per quella c'è già il nostro Sebastiano Miotti che è sicuramente più bravo e preparato di me.

 

 

[Quell'ometto adorabile di Jack London]

 

 

Veniamo al Cinema.

"Ehi, babbeo, ma lo sai che esiste un film del 2019 su Martin Eden?!"

Sì: lo so.

La volete piantare di interrompere? Ci arrivo, se mi lasciate scrivere.

 

Dicevo: il Cinema.

 

Martin Eden vanta ben tre adattamenti cinematografici: il primo, del 1914, diretto da Hobart Bosworth (che nome buffo. Provate a pronunciarlo: Obart Bosuort. LOL); il secondo, del 1942, per la regia di Sidney Salkow con Martin Ford ed Evelyn Keyes; terzo e ultimo, il Martin Eden girato da Pietro Marcello e distribuito in sala nel 2019.

 

Se nelle posizioni precedenti abbiamo affrontato produzioni mancate, sospese o parazialmente riuscite, con Martin Eden arriviamo a un irreprensibile, inimmaginabile progetto che, anche nelle sue pecche, ho amato con tutto me stesso.

 

Pietro Marcello - regista e autore del film - è riuscito nella difficilissima impresa di adattare per lo schermo il libro di London rimaneggiandolo, ricollocandolo cronologicamente e geograficamente (siamo in una Napoli imprecisata, forse vicina agli anni '70, e non nella San Francisco di inizio '900), ma lasciando completamente intatte le atmosfere, i toni e i messaggi dell'opera originale.

 

[Il trailer di Martin Eden di Pietro Marcello]

 

 

Martin Eden è un film costruito su una produzione curata e di valore, dal colpo d'occhio impartito dalla fotografia di Alessandro Abate, passando dai costumi di Andrea Cavalletto, fino alle musiche di Marco Messina e Sacha Ricci.

 

Sul suo splendido protagonista Luca Marinelli, premiato a Venezia con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, credo ci sia ben poco da dire: vi sembrerà un'affermazione azzardata, ma questa è forse la miglior prova di recitazione dell'attore romano.

 

Con buona pace dei detrattori del film, fra i quali troviamo il sommo Gian Battista Canova (perdonami, Gianni!), il Martin Eden di Marcello ha raccolto il plauso di larga parte della critica cinematografica italiana (bravo il mio Mereghettone!), dei Festival Internazionali ed è stato inserito nei 20 migliori film del 2019 dalla rivista edita dal British Film Institute.

 

Quindi?

Quindi, boh. 

Vi consiglio caldamente di recuperarlo (lo trovate su SkyGo), nel caso non lo abbiate già fatto, e di godervelo col cuore.

 

Io non l'ho visto in sala, ma vorrei tantissimo poterlo fare.

 

 

____________________

 

 

Nella mia idea iniziale, questo articolo avrebbe dovuto contenere tutte e otto le posizioni.

 

Ma mi rendo conto che, se non lo divido in due, c'è il rischio che nemmeno mia madre riesca a leggerlo fino in fondo (tranquilla, ma': è quasi finito).

 

Quindi, per scoprire quali sono i prossimi quattro irreprensibili, inimmaginabili progetti che vorrei vedere subito sullo schermo non vi resta che aspettare il prossimo episodio di Goodnight & Goodluck.

Lo so che non state nella pelle.

Nel frattempo, credo proprio che mischierò le immagini presenti nelle copertine in modo che non combacino coi contenuti dei due articoli.

Perché?

No: non per quel motivo, ragazzi.

 

Perché se introduci un po' di anarchia, se stravolgi l'ordine prestabilito, tutto diventa improvvisamente... Caos.

E io sono l'agente del caos.

 

Buonanotto, amici del topotto.

Ci ribecchiamo la prossima notte.

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