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Szabadesés - Il condominio della follia di György Pàlfi

Szabadesés (in inglese "Free fall") è il terzultimo lavoro di György Pálfi, folle regista ungherese la cui cinematografia merita di essere esplorata... con cautela

Buonanotte, amici della notte.


L'intento di questa rubrica, forse lo avrete intuito, è quello di variare costantemente la proposta filmica, muovendoci attraverso diversi generi, paesi, movimenti e autori cinematografici. 

 

Tuttavia, se la regola è valida, esiste pur sempre l'eccezione che la conferma. 


Di conseguenza, anche se in passato vi ho già parlato del regista più pazzo d'Ungheria, questa notte ritornerò ancora una volta sul suo particolarissimo lavoro in celluloide.

 

Dopo aver visto Szabadesés, in inglese Free fall, il terzultimo film di quel terrorista che risponde al nome di György Pàlfi, non posso che ribadire quanto sia forte ‘sto "pazzo svedese" (semicit).

 

[Un pazzo svedese amico di György Pàlfi. No, non ve lo dico che film è. Vergognatevi.]

 

Due anziani vivono la loro meschina quotidianità tra farmaci e furti di liquori proibiti. Lei cucina. Lui fa la conta delle pillole giornaliere e si rade.

Parlano.

Sbuffano.

Rantolano.

Ma c’è qualcosa che stride. Qualcosa non va. 


Già si percepisce che quella che stiamo per vedere non è la solita storia. 

Non il solito film.

 

La corpulenta nonnina, uscita sul pianerottolo armata di sacchetto del Penny Market e borsa di stoffa con rotelle d’ordinanza, invece che scendere le scale del palazzo e dirigersi verso il supermercato guadagna il tetto arrancando e ansimando.

 

Ora è in vetta.

La sua figura si staglia sulla città.

Così imbacuccata, col riflesso dei lampioni negli occhiali, è maestosa e sinistra allo stesso tempo.

 

Sembra uscita da una pagina patinata di Spawn

Un cazzo di supereroe, per Geova (Geova! Ha detto Geova!).

 

[Come potete notare, la nostra vecchina non sfigura affatto se inserita in una tavola di Spawn, l'antieroe dark creato da Todd McFarlane nel 1992]



Poi... Hop... SPLAT!

Spoiler? No.

Sono solo le battute iniziali del degenero.

L’incipit di Szabadesés: l'ennesimo, bislacco lavoro di un signore del disagio.


Un maestro del grottesco, il cui evidente amore per il cinema - personalmente ci ho visto un sacco di riferimenti - non gli impedisce di creare lavori che non sono simili a quelli di nessun altro.

 

Lungo il nostro percorso (e quello della vecchia) verso l’ultimo piano, conosceremo tutti gli inquilini del caseggiato, nel loro splendido, quotidiano, orrore di routine: ci sono corsi di levitazione e trascendenza corporea, maniaci di igiene estrema incellophanati e armati di doppietta, oltre a bambini con strane - e angoscianti - ansie bovine. 

E molto altro ancora...

 

 

 

Quello tessuto dal regista di Budapest è un dedalo degli orrori sociali, di psicosi e strane manie (con tanto di ricevuta fiscale) che secondo Pálfi attanagliano il popolo ungherese o, più probabilmente, il genere umano intero.

 

Proseguendo di pari passo con lo stentato incedere della vecchina l’escalation verso la follia presentato dalla macchina da presa è sempre più delizioso e armonico nel suo dolceamaro tecnico/contenutistico.

 

Ciò avviene mentre si osservano particolari ripugnanti - incorniciati da una fotografia costruita su dettagli, primissimi piani e un montaggio a ritmi alternati - contrasti e abbinamenti cromatici più che pregevoli e la scelta eccezionale della soundtrack, perennemente in bilico fra il classico e lo sperimentale, che va gustata con generosi dosi di volume.

 


[Lost and found di Amon Tobin]

 

 

Szabadesés è un film che sembra sempre sul punto di esploderti in faccia con tutto il disagio e il disgusto che non vorresti mai provare, ma senza mai farlo per davvero.

 

Una pellicola in linea con quella che fu la lucida, folle, filosofia di Taxidermia.

 

Probabilmente più sottile e matura, meno impressionante nei contenuti - anche se si rimane su un livello elevato, quindi stiano alla larga i più suscettibili! - oltre che variegata nei temi e nei generi degli sketch che la compongono, passando persino dalla sitcom, ma sempre restando fedele allo stile inconfondibilmente dissacrante di Pálfi.

 

Giorgio - oltre a essere palesemente il sosia di un suo collega e omonimo greco - è da sempre latore di un Cinema inusuale caustico, corredato di tanti, tantissimi, sottotesti e dotato di una bellezza audio-visiva di notevole livello.

 

[Yorgos Lanthimos (a sinistra)György Pálfi: separati alla nascita]



In sostanza, oh cinefactser che hai letto fin qui, prova assolutamente un titolo dalla filmografia di quest’uomo.

 

Che sia il singhiozzante Hukkle, la dichiarazione d’amore cinefila definitiva (Final cut - Ladies and gentlemen), o la linea di discendenza più anomala del mondo (Taxidermia), quello di Pálfi è un linguaggio cinematografico che merita di essere conosciuto.

O, quantomeno, per il quale vale decisamente la pena un tentativo di approccio.

 

Personalmente, su di lui ho sempre scommesso e sempre lo farò.

 

E, del resto, bastano appena un'ora e 18 minuti per farsi passare sopra da un meraviglioso tir di stranezza.

 

- Szabadesés, di György Pálfi e Zsófia Ruttkay, 2014

 

‘notte, lavori in pelle!

 

 

[La locandina di Szabadesés]

 

 

PS: ovviamente, come i coreani vedono del disagio ci si fiondano: il film è infatti una co-produzione fra Ungheria, Corea del Sud e Francia.

 

PPS: co-diretto con Zsófia Ruttkay (la consorte di Pálfi), Szabadesés si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria e quello per la Miglior Regia al Festival Karolvy Vary (che sforna sempre un sacco di cose fichissime).



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