#Creepshow
Nonostante il numero esatto di slasher distribuiti negli anni ’80 sia praticamente impossibile da stimare, si calcola che si possa aggirare intorno a trecento film. Il che significa che per un’intera decade è stato distribuito circa uno slasher ogni due settimane.
Questa gigantesca corrente dell’horror è nata per cavalcare l’onda del successo di un film in particolare che, nel 1978, riuscì a fare il classico botto.
Sbancò i botteghini e convinse la critica in maniera quasi unanime (il celebre critico Roger Ebert gli diede quattro stelle su quattro, fondamentalmente lo considerava un capolavoro): Halloween di John Carpenter.
Per parlare dell’importanza di Halloween nella storia dell’horror non si può però prescindere da una doverosa premessa: il grande merito del film sta soprattutto nell’essere stato capace di rivolgersi al pubblico più ampio possibile offrendo, condensate, delle caratteristiche vincenti studiate precedentemente da altre pellicole.
Che - in maniera più diretta - significa che difficilmente Halloween può essere considerato "l’inventore" del genere slasher in maniera propria.
Ciò che si può dire senza paura di cadere in errore è che John Carpenter, insieme alla sua pellicola, ha un grande merito nel risalto che è stato dato alle produzioni indipendenti degli anni ’80.
Girato con appena 300.000$, il film ha incassato 47 milioni di dollari solo sul territorio statunitense, diventando uno dei film indipendenti più remunerativi della storia del cinema.
Un’altra cosa che si può affermare con certezza è che Halloween ha utilizzato per primo tutte le regole codificate dalla pregressa filmografia horror - specializzata nella figura del serial killer - per raccontare una storia così universale e valida.
Tanto da essere utilizzato come una sorta di “template” da tutti i registi che, successivamente, si accostarono a soggetti simili.
Le regole e i canoni di questo genere sono diventate nel tempo così prevedibili e scontate che uno dei suoi maggiori esponenti, Wes Craven, le ha sdoganate ed esasperate a un punto tale da renderle fondamentalmente inutilizzabili con Scream, che è contemporaneamente ultimo capolavoro e pietra tombale dello slasher.
Alcune regole vengono dette a voce alta (la più importante di queste sembra essere la necessità di una vita casta e straight-edge per evitare una altrimenti ineluttabile morte violenta), mentre altre non vengono menzionate, però si danno per scontate (come il fatto che i protagonisti stessi debbano necessariamente essere degli adolescenti, spesso e volentieri in crisi ormonale).
Da questo punto di vista l’ispirazione non viene da lontano.
Nel 1974 Tobe Hooper dirige il classico Non aprite quella porta che, pur con una messa in scena e una regia ben diverse da quelle utilizzate da Carpenter, sfrutta l’idea del serial killer mascherato che fa fuori uno dopo l’altro un gruppo di ragazzi in maniera brutale.
Halloween parte da qui: l’idea che i produttori propongono a Carpenter e alla sceneggiatrice Debra Hill è quella di un assassino mascherato che uccide le babysitter. Proprio parlando delle babysitter sgozzate da Michael Myers si possono trovare le prime indicazioni sulla codificazione del genere.
Nonostante nessuna delle tre attrici di Halloween avesse la possibilità di offrire una performance degna di un Oscar, è giusto sottolineare come il casting abbia giocato un ruolo cruciale nella riuscita di Halloween.
Mettendo per un momento da parte le peculiari caratterizzazioni dei personaggi interpretati da Jamie Lee Curtis, P.J. Soles (nota anche per un ruolo secondario in Carrie) e Nancy Kyes, ciò che si nota è che la scelta di questi volti provochi fin dal primo momento la sensazione nello spettatore di avere a che fare con delle “ragazze medie”, generiche esponenti della nascente middle class americana con una gran voglia di fare le pazzerelle.
Il ritratto degli adolescenti americani cresciuti subito dopo la fine della guerra in Vietnam risente di una sorta di contrasto generazionale (che nel cinema made in USA è comunque presente fin dai tempi di James Dean) in cui i giovani smettono di avere fiducia nelle capacità dei padri che, non essendo più un punto di riferimento, perdono il loro ruolo di faro morale.
Questo carattere di sfiducia nella famiglia e nella sovrastruttura rende gli slasher come Halloween e Non aprite quella porta dei proto-romanzi di formazione in cui i protagonisti, giovani uomini e giovani donne dell’America post-bellica, prendono coscienza del male come elemento quotidiano nella società e di come ciò porti la violenza anche dove pensavamo non ci fosse: di fianco a casa.
Ciò che si scopre è che dietro la facciata benpensante, borghese e puritana dell’America-che-vorrebbero-che-fosse si nascondono soprattutto miseria, dolore, e - come detto - violenza.
In Non aprite quella porta questo messaggio è rappresentato soprattutto dalla famiglia, imbarbarita e di fatto trasformatasi in vero e proprio mostro cannibale.
Halloween si differenzia proprio in questo dal film di Hooper.
Mentre Leatherface è il prodotto di un’America campagnola, del sud, abbandonata a se stessa dalle istituzioni, Michael Myers non è nulla di tutto ciò.
E mentre un altro storico serial killer cinematografico quale è Norman Bates di Psycho uccide per esorcizzare la propria impotenza sessuale e per sfogare le sue turbe infantili, così come lo stesso “Faccia di cuoio” uccide un po’ per mestiere (di macellaio) e un po’ per mangiare, Carpenter priva il suo assassino di qualunque movente, schema psicologico o criterio.
“L’ombra della strega” uccide perché è pura malvagità, perché è l’incarnazione dell’Uomo Nero che, nella poetica di Carpenter, è stato cresciuto da una generica famiglia della middle-class americana in una qualsiasi zona residenziale di uno dei tanti anonimi paesi della provincia a stelle e strisce.
Proprio l’ambientazione gioca un ruolo cruciale nell’atmosfera che si respira durante tutto il film.
Per effettuare le riprese, Debra Hill (anche produttrice) scelse Haddonfield, nel New Jersey ("spostata" per l’occasione nell’Illinois), in un ambiente che potrebbe essere preso come esempio per riferirsi a un generico quartiere qualsiasi: sonnacchioso, ordinario, con delle belle case e dei bei cortili.
Un tranquillo centro residenziale in cui le persone vivono senza neanche concepire l’idea che possa esistere un posto più sicuro al mondo.
E neanche lo spettatore potrebbe mai concepirlo dato che, presumibilmente… vive in un posto simile.
L’inquietante colonna sonora, composta dal regista stesso, crea poi un enorme contrasto con le immagini di questa placida cittadina in cui tutto sembra scorrere come se nulla dovesse mai succedere.
Ciò che si percepisce invece è che qualcosa sia irrimediabilmente andato storto nella vita di questo quartiere, solo che nessuno se n’è accorto.
Delle tre protagoniste femminili, Annie e Lynda incarnano maggiormente il prototipo della gioventù americana del dopo-Vietnam, desiderosa di rompere le regole e vivere una vita non necessariamente in linea con i precetti morali instillati dall’educazione familiare.
La caratteristica che più viene messa in risalto è la pressoché totale assenza di qualsivoglia senso di responsabilità e di buon senso delle ragazze che, oltre a mostrare un interesse quasi esclusivo nei confronti del sesso, non si creano alcun problema nel fumare marijuana mentre guidano un’auto o nello scaricare i bambini di cui dovrebbero prendersi cura.
Dimostrano, in sostanza, una certa immaturità tipica della loro età e la voglia di non volersi sentire responsabili di nulla al mondo.
Si tratta delle “bad girls” tipiche dello slasher.
Laurie invece impersonifica (almeno in teoria) un’altra delle regole del genere: la ragazza che si salva è la timida, l’intelligente, la casta.
Fare sesso nei film, da Halloween in poi, equivarrà a una condanna a morte.
Laurie invece, nonostante mostri le curiosità sessuali/amorose di una generica ragazza di diciassette anni, è maggiormente concentrata sulla sua istruzione, è disciplinata e responsabile.
Anche perché a differenza delle sue amiche non ha un ragazzo.
Secondo una parte della critica è proprio il suo equilibrio nella vita di tutti i giorni che le permette di avere salva la vita, oltre alla non-ossessione verso il sesso.
Questo fattore, tuttavia, ha col tempo creato la convinzione che lo slasher fosse un genere cinematografico quasi reazionario il cui messaggio morale sembrerebbe suggerire che i teenager che si divertono a giocare col sesso la pagheranno in un modo o in un altro, mentre chi mantiene la forza della castità e del rispetto si salverà.
Il contrasto etico tra la bad e la good girl è stato comunque smentito da Carpenter, secondo il quale il motivo per cui Laurie si salva non è per la sua natura più pura o innocente rispetto alle sfortunate amiche.
“Non era mia intenzione farne una cosa morale. Mentre le altre ragazze erano occupate con i loro ragazzi, Laurie ha avuto maggiore percezione del pericolo perché è sola.
Laurie è una vergine carica di energia sessuale repressa"
E, nella metafora del coltello come simbolo fallico, il regista dice che “She’s the one who sticks it in” (ma sul significato di questa interpretazione parleremo più avanti).
È comunque giusto ricordare che Carpenter diversi anni dopo diresse Essi vivono, film che più che mai si scaglia contro il capitalismo rampante degli anni ’80.
Quindi, ritenere che un autore simile possa essere posto all’origine di un genere tanto conservatore e puritano può risultare quantomeno inappropriato.
La figura del cattivo in Halloween ha poi generato un’altra regola, quella che vede l’assassino come un Uber-Mensch quasi indistruttibile e con delle capacità sovrumane.
Ciò che contraddistingue Michael Myers dagli altri serial killer della storia, come già accennato, è la sua totale de-umanizzazione.
Quando compie il suo primo omicidio, il piccolo Michael ha sei anni e vive in una famiglia borghese americana; non è cresciuto in una comunità di redneck sottoproletari come Leatherface, e non ha subìto le violenze psicologiche della madre di Norman Bates.
Non esiste nessun motivo per il suo gesto, nessuna razionalità nella sua mente, nessuna espressione sul suo volto: la maschera non serve per occultarne l’identità, al contrario: la maschera è lo specchio del suo totale distacco dalla realtà.
Una piccola chicca in merito (penso che molti di voi già la conoscano) è che, nelle inquadrature in cui Laurie riesce a strappare la maschera all'assassino, non è Nick Castle a interpretare Michael, bensì Tony Moran, che non è il vero Shape: quello vero, appunto, porta la maschera.
Ciò che ne risulta è a tutti gli effetti una perfetta incarnazione dell’Uomo Nero: spietato, letale, costantemente in agguato negli angoli bui della casa.
Estremamente d'effetto, da questo punto di vista, la scelta registica di inquadrare con insistenza le zone d'ombra che aumentino la sensazione che qualcosa vi si stia nascondendo. Succede quando Annie - vestita di una sola camicia - viene osservata da un Michael appena visibile, o quando Laurie, in preda alle lacrime dopo aver scoperto i cadaveri dei suoi amici, si avvicina terribilmente al nascondiglio del killer che fa capolino nell'inquadratura.
Nei suoi delitti Michael non si comporta come un predatore con la sua preda, anzi, i suoi omicidi sono assolutamente catartici, quasi un atto divino.
Michael non è sovrumano solo nella resistenza alle pallottole; è un angelo della morte che dissemina cadaveri seguendo unicamente il suo giudizio.
La sorella lascìva, che abbandona il fratello piccolo “da qualche parte in casa”, viene uccisa sì senza alcuna ragione, ma non si tratta di un raptus di follia, né di gesto impulsivo né di un crimine passionale. È una decisione ponderata, deliberata e messa in atto: il giudizio maligno che si abbatte su di lei come sulle altre babysitter di Haddonfield.
Proprio l’omicidio della sorella viene mostrato attraverso uno dei piani sequenza più noti della storia dell’horror, studiato, imitato, destinato a fare scuola, ma anche questa certo non un’invenzione di Carpenter (non del tutto almeno).
L’ispirazione per questa sequenza viene dall’Inghilterra, dall’Occhio che uccide di Michael Powell, in originale Peeping Tom, ovvero “guardone”.
Anche nel capolavoro di Powell la prima sequenza è una lunga soggettiva in cui l’assassino, armato di macchina da presa, riprende il suo omicidio mentre la vittima guarda in camera.
Quello che si ottiene è quindi la sovrapposizione dello spettatore con l’assassino (il cui occhio in Peeping Tom è quello della sua telecamera, piuttosto che il proprio), rendendolo partecipe del suo disordine mentale.
Lo stesso effetto lo offre Halloween con una caratteristica tipica dello slasher che unisce identificazione col serial killer e voyeurismo.
Proprio questa caratteristica è quella che probabilmente più ha fatto la fortuna del genere: personaggi come Michael Myers, Freddy Krueger e Jason Voorhees non sono amati solo per il loro fascino: essi rappresentano infatti il rimosso di ognuno di noi, quella parte a cui vorremmo dare libero sfogo ma che siamo stati abituati a tenere a bada ed eliminare dalla nostra mente perché inaccettabile da noi e dalla società.
E quali sono questi istinti profondi e primordiali se non la violenza e il sesso, componenti fondamentali dello slasher?
E quale modo migliore per appagare questo desiderio di violenza se non attraverso l’identificazione con un serial killer nell’atto voyeuristico che è la visione filmica?
Forse, però, dati questi elementi, si può trovare in Halloween un tema in grado di spiegare - almeno eticamente - il perché della figura di The Shape.
Se a muovere Michael fosse la frustrazione e la repressione sessuale a cui è stato sottoposto a causa dell’educazione puritana americana significherebbe che l’odio verso i giovani disinibiti ha radici proprio nella sua incapacità di gestire il rimosso, da cui egli è ossessionato e che rivede nella libertà sessuale dei ragazzi, non potendo fare altro che punirli per la loro sfrontatezza.
Da questo punto di vista la tesi sul presunto conservatorismo di Halloween cade immediatamente, lasciando posto - paradossalmente - a un’interpretazione completamente opposta.
Se è pur vero che i giovani hanno ormai intrapreso la strada di una maggiore libertà etica (Annie e Lynda), tutto ciò li rende esposti alle rappresaglie di una società schizofrenica che giudica e contemporaneamente è ossessionata da queste libertà (e Michael è a tutti gli effetti un prodotto di questa mentalità).
La salvezza sta proprio nel loro maggiore equilibrio, nella loro carica sessuale e nella loro voglia di sfogare i propri istinti senza reprimerli.
Ecco perché Laurie si salva: non perché del trio è quella timida o intelligente o casta, ma perché non avendo il ragazzo ha un desiderio più accentuato di sfogare le sue profonde pulsioni.
Cosa è Halloween quindi?
Halloween è stato un fenomeno degli anni '70 in grado di terrorizzare le platee senza bisogno dei litri di sangue finto - tipici del genere - e i cui punti di forza fondamentali sono la musica, la regia e il villain.
Halloween racconta della presa di coscienza degli americani del male come elemento radicato nel quotidiano della classe media e di come questo elemento sia ineliminabile (dato che alla fine del film Michael sopravvive facendo perdere le sue tracce).
Il male poi, incarnato in uno dei serial killer più memorabili della storia del cinema, non è altro che il risultato di quella stessa società dai valori puritani, borghesi e benpensanti che, dietro la sua facciata di placidi quartieri residenziali, nasconde dei mostri dispensatori di morte.
Un capolavoro del genere horror che ha il merito di aver dato il via, grazie al suo enorme successo, a una delle correnti più fortunate di sempre.
Lo slasher avrà una vita lunga che - in parte - si trascina fino ai nostri giorni, anche se i fasti di un tempo sono ormai superati da un pezzo.
Il fascino di Halloween rimane invece immutato ancora oggi, e a ricordarcelo sono le case delle babysitter dopo la scomparsa dell’Ombra della strega, infestate dall’assassino di cui ancora si sente il respiro.
Invisibile, ma sempre in agguato.