#Creepshow
- Forse il sale vince le forze sovrannaturali?
- I boscimani lo credevano. Ma ora sono estinti.
- Vedi? Non puoi combattere gli spettri.
Una voce narrante (l'antropologo John Markway, interpretato da Richard Johnson) racconta le vicissitudini di villa Crane, un luogo maledetto che nel corso del tempo è stato teatro di "scandali, assassinii, follia, suicidi".
Costruita dal ricco Hugh Crane per viverci con la famiglia, la villa inizia la sua storia con la morte della prima moglie di Crane, rimasta uccisa poco prima di vedere le mura completate. Anche la seconda moglie dell'uomo - ci svela il narratore - fu vittima di una tragica fine.
La figlia di primo letto Abigale rimase nella villa tutta la vita, vi crebbe all'interno e lì invecchiò. Una notte morì mentre chiamava l'aiuto della dama di compagnia, che però era intenta ad amoreggiare con un giovane al piano di sotto. Qualche anno dopo, la stessa dama di compagnia, dopo aver ereditato la casa, si impiccò.
In questi primi minuti il regista Robert Wise presenta una storia classica, quella della casa infestata, un evergreen del cinema e della letteratura dell'orrore tirato a lucido pochi anni prima da Jack Clayton nel mirabile "Suspense" (in originale "The Innocents", del 1961), da cui Wise ha probabilmente preso più di un'ispirazione per la messa in scena del film.
Esattamente come in "Suspense", l'esposizione della trama viene affidata a un dialogo nei primi minuti del film in cui Markway, studioso di metapsichica, chiede alla nuova proprietaria di villa Crane, Mrs Sanderson (Fay Compton) la sua disponibilità per occupare la casa e studiarla.
L'antropologo sarà accompagnato nei suoi studi da dei soggetti particolarmente predisposti alle esperienze paranormali, una delle quali sarà il focus del film, Eleanor (Julie Harris).
L'altra "cavia" sarà l'affascinante e ambigua Theo (Claire Bloom), mentre l'altro occupante della casa sarà il futuro erede della signora Sanderson, Luke (Russ Tamblyn).
In pochi minuti si è posti di fronte alle due anime della storia che si affrontano, mescolandosi e gettando in confusione lo spettatore, ammaliandolo con la loro ambiguità.
Ciò che si scontra è la ragione e il sentimento, o meglio, la razionalità della scienza contro la visceralità della suggestione.
Il distacco tra le due componenti è reso netto dai veloci cambi registici nel passaggio da una fase all'altra dell'intreccio: il racconto di Markway sull'oscuro passato della villa è accompagnato da dei flashback tetri e confusi, come fossero dei sogni (forse incubi?) dai contorni non definiti.
È chiaro che la morte della prima moglie è dovuta ai suoi cavalli che, imbizzarriti, si schiantano contro un grosso albero, ma la dinamica dell'incidente non è chiara: la macchina da presa si muove senza mostrare la causa che possa aver agitato a tal punto gli animali; si limita invece, dopo alcuni concitati secondi, a svelare la mano esanime della povera vittima e la ruota - ancora in movimento - del calesse.
La seconda moglie viene presentata allo spettatore in preda al panico in cima alle scale della villa e, successivamente, cadere rovinosamente di sotto, in uno dei fotogrammi più raccappriccianti di tutta la pellicola; anche stavolta le cause di questa morte sono celate, e il tutto viene mostrato in maniera distorta, frammentaria e indefinita (in tal senso l'utilizzo del grandangolo offre un grosso aiuto): i volti sono allungati e incurvati, mentre le urla sono eliminate e sostituite da uno squillo di tromba (menzione d'onore per gli effetti sonori, che giocano un ruolo cruciale nella costruzione della tensione).
Viceversa, in tutti i passaggi che si frappongono tra un momento di tensione e l'altro (come nel colloquio tra Markway e la signora Sanderson) la regia è classica, l'esposizione è lineare, la fotografia è misurata e senza eccessi.
L'impressione è che nei momenti in cui prevale la ragione (la razionalità della scienza) il regista presenti i fatti con oggettività e rigore e con una regia senza virtuosismi di sorta; quando invece a prevalere è il sentimento (la visceralità della suggestione) ecco che le carte vengono mischiate, la fotografia diventa cupa, si prediligono le ombre e i contorni sfocati, si susseguono le invenzioni registiche: la convinzione dei personaggi che quello che osservano possa essere vero annebbia letteralmente la vista e la mente.
Il personaggio di Eleanor "Nora" Lance appare fin dai primi minuti in scena come una persona altamente instabile.
È consumata dal senso di colpa per non aver aiutato la madre sola nel momento fatale della morte: dopo anni passati ad assisterla e aver risposto a ogni suo capriccio, una notte finse di non sentirla chiamare, ed ella morì.
Nora vive una vita anonima e frustrante, confinata in casa dalla crudele sorella che non manca di farle pesare le sue responsabilità sulla disgrazia. Con il tempo ha sviluppato una forte insicurezza e si dimostra continuamente incapace a intrattenersi in rapporti sociali.
Tuttavia in un momento di rabbia - pur con mille dubbi riguardo la sua adeguatezza in un ruolo come quello della fuggitiva - decide di scappare di casa, accettando l'invito di Markway e recandosi a villa Crane, alla ricerca di avventura e di un ruolo nel mondo.
E il suo primo contatto con il castello non lascia presagire nulla di buono: la ragazza si accorge subito che qualcosa non va.
Il luogo dell'incontro, villa Crane, riflette alla perfezione sia i terribili avvenimenti avvenuti al suo interno sia la mente perversa del suo creatore: è, nel vero senso della parola, spettrale, imperscrutabile, platealmente ostile. A un certo punto addirittura si dice che il soggiorno ha un aspetto paragonabile a quello di una camera di tortura medioevale.
È fondamentalmente il personaggio aggiunto della vicenda, immobile eppure quasi soggetto attivo degli avvenimenti.
La sua storia è nota, eppure la logica di ciò che avviene al suo interno è sfuggevole e misteriosa, tanto che è molto facile perdercisi dentro, dato che nessuna coppia di pareti crea angoli retti, rendendo praticamente impossibile orientarcisi (le porte addirittura si chiudono da sole, nonostante la ferma volontà di Markway di trovare anche a questo una risposta razionale).
Seguendo un concetto che sarebbe poi diventato fondamentale per poetiche come quella di Zulawski secondo cui una camera da letto o un appartamento sono estensione della mente di chi li abita, il castello diventa estensione della persona di Hugh Crane.
"Questa villa è piena di cose strane. Chi la costruì era uno spostato. Odiava la gente comune e le idee convenzionali: questa casa gli assomiglia"
Con l'aiuto di una regia sapientissima, degli effetti sonori e delle luci, la sensazione che ha lo spettatore è quella di essere costantemente osservato, come se fosse appunto all'interno di una mente malata, perversa, folle.
L'anima misteriosa del castello finisce terribilmente per turbare la fragile mente di Nora, che ne è prima spaventata e successivamente attratta. Questo conflitto interiore, che tra gli occupanti della casa solo lei sembra provare, è probabilmente dovuto a più fattori. Uno di questi è il senso di colpa - di cui parleremo in seguito - mentre l'altro è di fatto il motore che muove tutte le sue azioni, ovvero il desiderio di rivalsa.
Nora nella sua vita familiare è tenuta sotto controllo, limitata, trattata come se fosse un'adolescente (non le si permette neanche di utilizzare una macchina di cui è in parte proprietaria perchè "chi garantisce che la riporterà in buono stato?"), e ogni presa di responsabilità, ogni gesto adulto, per lei è vissuto a metà tra la conquista e il dubbio sulle sue capacità di affrontare le conseguenze delle sue scelte.
Tutto ciò la fa sentire costantemente fuori posto, a casa sua come altrove. Nora è alla disperata ricerca di un posto in cui sà di essere la benvenuta, e l'invito di Markway in tal senso le tende una mano in cui neanche lei sperava. Ma il primo impatto con villa Crane è terribile, e medita di andarsene ("Mi sta fissando...! È orribile! È vile! Vattene via di qui... È un avvertimento, e non mi sarà ripetuto"), d'altronde come dice lei nessuno le dirà niente se cambia idea, chiunque ha il diritto di fuggire. "Ma tu stai già fuggendo Eleanor, e non hai un altro posto dove andare": la volontà di trovare un posto nel mondo inizia a insinuare nella sua mente il desiderio che villa Crane sia quel posto che lei tanto desidera. Ma questa oasi che lei pensa di aver trovato (o forse lo vuole) non fa che ricordarle il suo lutto e le sue responsabilità.
In tal senso è esplicativa la scena della prima cena, durante la quale la conversazione finisce per cadere sulla recente morte di sua madre. Nora, presa dall'agitazione rovescia il sale sul tavolo, e compie il classico gesto scaramantico di buttarsene un po' alle spalle. Luke chiede sarcasticamente se questa sia una buona arma contro le forze soprannaturali, Markway risponde che il popolo che ci credeva si è estinto, e Theo conclude con una frase che sarà più che mai premonitrice: "Vedi? Non puoi combattere gli spettri". Ed è chiaro a questo punto, che gli spettri su cui vuole indagare il regista non sono necessariamente quelli all'interno di villa Crane.
Gli spiriti comnciano a manifestarsi sin dalla prima notte, e la capacità di Robert Wise di rendere assolutamente uniche queste sequenze di terrore si nota soprattutto dai dettagli. Ciò che maggiormente continua spaventare lo spettatore sono gli effetti sonori e, appunto, le suggestioni che vengono provocate attraverso la loro unione con inquadrature sghembe e grandangoli. Difatti è giusto sottolineare come la paura venga provocata ricorrendo esclusivamente agli strumenti fondamentali del cinema, ovvero le scenografie, le interpretazioni, i movimenti di macchina e i suoni, lasciando completamente da parte qualunque effetto speciale e quindi rinunciando a mostrare esplicitamente spettri, spiriti o mostri (anche perchè, come già detto, il vero mostro è la casa in sè).
Il primo contatto con queste forze ostili si manifesta con dei colpi battuti contro il muro e contro la porta della camera da letto al di là del quale Theo e Nora cercano riparo. Wise si sofferma sui dettagli, come la manopola, il vetro, lo spazio tra la porta e il pavimento (a cui si associa il suono di un cane che fiuta la sua preda), come a evidenziare i punti attraverso i quali l'entità cerca di entrare nella stanza.
La seconda notte è addirittura raccapricciante. Nora viene svegliata di notte da delle voci in lontananza, cupe, indistinte, a cui si aggiungono la risata di una donna e il pianto di un bambino. Nora stringe forte la mano di Theo. La macchina da presa si sofferma sui bassorilievi del muro, che sembrano formare dei volti mostruosi. Nora grida mentre accende la luce, e scopre di non essere affatto di fianco a Theo, ma dall'altra parte della stanza: "Quale mano stringevo?". La sequenza è magistrale, senza dubbio tra le più spaventose del film.
Una terza manifestazione di queste forze è probabilmente quella meno appariscente, eppure utile per cercare un'altra chiave di lettura della vicenda. Il secondo giorno Luke trova nella hall una scritta sul muro, "Help Eleanor come home". La frase assume diversi significati a seconda di come la si interpreta. "Help, Eleanor- come home!" potrebbe indicare il richiamo della madre e la sua esortazione a raggiungerla, mentre "Help Eleanor come home" potrebbe essere indirizzato a un fattore esterno che aiuti Nora a tornare a casa. Questa situazione rende evidente che la vittima principale di tutto quello che succede sia proprio Nora, e qui entra in gioco il fattore del senso di colpa, la cui conseguenza è la sua progressiva attrazione verso il castello ("Non voglio mai più lasciare villa Crane, mai, mai").
Ogni volta che viene nominata sua madre, Nora entra in uno stato di forte agitazione, un miscuglio di vergogna, inadeguatezza e negazione. Un dialogo tra Nora e Markway rende evidente come si sia ormai, almeno inconsciamente, convinta della sua colpevolezza. Da questo punto di vista il suo innamoramento per l'ostile e aggressiva villa Crane assume il contorno di una volontaria ricerca di punizione per la sua negligenza: la casa è il suo angelo della morte.
E non solo; durante la prima cena si fa cenno a un dettaglio che in seguito non viene più ripreso ma la cui importanza è cruciale. Nora è stata invitata come soggetto predisposto alle esperienze paranormali perchè durante la sua giovinezza fu protagonista di un episodio singolare: una pioggia di pietre cadde sulla sua casa per tre giorni, nonostante lei lo neghi con ostinazione, come se si vergognasse. Wise sembra suggerire che questo sia un caso di telecinesi, e che tale potere sia in capo alla stessa Eleanor.
Ma a questo punto potrebbe anche darsi che la casa sia solo una casa, e che il vero problema sia nella mente malata di Nora. Scritte su un muro, colpi alle pareti e porte deformate potrebbero essere conseguenze di questa capacità innata e mai tenuta a bada. Quindi il desiderio di rivalsa e il senso di colpa di Eleanor, unite a un suo autocondizionamento provocato dalla natura ambigua di villa Crane non possono che provocare uno scossone fatale per la sua mente, che inizia drammaticamente a vacillare. Da questo momento in poi tutto andrà sempre peggio.
I contrasti tra la protagonista e il resto del gruppo si fanno sempre più frequenti, e le distanze sempre maggiori. Col tempo Nora finisce per innamorarsi del professor Markway ("Il viaggio termina con un incontro d'amore. Desidero tanto essere amata"), l'unico che sembra offrire conforto alla sua anima in pena e a dare una giustificazione umana al mancato soccorso alla madre morente. Questo finisce per creare una forte tensione tra lei e Theo, il cui orientamento sessuale rimane costantemente ambiguo (ma non troppo). Questo tra l'altro è un piccolo miracolo del regista, che in un epoca ancora influenzata dai precetti del codice Hays inserisce nell'intreccio un personaggio omosessuale, anche se probabilmente inconsapevole. Theo è innegabilmente attratta da Nora, e il suo fastidio nel vederla così presa da Markway è tanto evidente quanto pungente. Le due hanno un duro scontro. Theo le dice che attaccandosi a Markway finirà solo per illudersi. Nora risponde con inaudita cattiveria, chiamandola "sbaglio di natura", rivelando ancora una volta la sua natura tagliente e antisociale.
Proprio in quel momento però cade un fulmine a ciel sereno, e a villa Crane piomba Grace, la moglie dell'antropologo: è probabilmente il primo colpo fatale per Nora, che vista la situazione si aggrappa sempre di più all'unica certezza che le è rimasta, la casa ("È sposato, e con questo? Ho il mio posto in questa casa, le appartengo. Voglio rimanerci [...] Non mi manderà via se la casa vuole che io resti").
Caso vuole - sempre che si tratti di caso e non di precisa volontà di Eleanor - che la moglie di Markway scompaia la stessa notte del suo arrivo, e a questo punto la follia della donna raggiunge il suo punto massimo, arriva a convincersi che la casa l'abbia lentamente inglobata a sè ("Mi sento distruggere poco a poco, inesorabilmente. Ora so cosa succederà: poco alla volta sarò assorbita da queste mura"); lei a questo punto, a tutti gli effetti, si sente parte integrante della casa ("L'abbiamo uccisa, Hugh Crane, io e te [...] voglio rimanere qui per sempre [...] non c'è altro posto per me, mi sento a casa"), e in preda a uno stato di trance tenta il suicidio salendo le stesse scale pericolanti a cui si appese la dama di compagnia di Abigale, venendo recuperata in extremis da Markway.
Ormai irrecuperabile, Nora sembra vivere un continuo delirio ("Questo è uno sbaglio! Ma non capite? La casa vuole me, non la signora Grace, è così chiaro!") e la conclusione sembra già scritta. L'unico modo che ha Nora per raggiungere la pace, che è contemporaneamente espiazione della sua colpa e unione permanente con quel luogo che tanto ama è la morte.
Nora fugge in macchina con la speranza di sottrarsi alla volontà di Markway di riportarla a casa sua (nuovamente lei viene trattata come una adolescente) e lei, ormai disperata e con la mente annebbiata, scambia la sagoma di Grace per un fantasma (il fantasma più terrificante che si sia mai visto sul grande schermo) e muore schiantandosi contro un albero, come la prima moglie di Hugh Crane.
Colpa di uno spavento, sì, ma di fatto è un suicidio, una scelta della tormentata donna - che è stata in tutto e per tutto artefice del proprio declino mentale - di entrare a far parte di quella casa maledetta per sempre.
"Villa Crane sta in piedi da 90 anni, e resisterà per altrettanti. Dentro, le mura resistono, i mattoni anche. I pavimenti sono solidi e le porte restano chiuse. Il silenzio fascia pietre e le travi di villa Crane. E noi che abitiamo qui, vi abitiamo soli."
Gli invasati è un capolavoro dell'horror, e nonostante sia stato progressivamente dimenticato durante gli anni, merita un posto di fianco agli altri grandi come L'esorcista e Shining. Un grande pregio del film è l'aver trovato il modo di concentrarsi sull'estremismo acustico prima che l'avvento degli anni '70 introducessero il gore e l'estremismo visivo (a cui probabilmente diede il via Mario Bava l'anno seguente con Sei donne per l'assassino).
Inoltre grazie a un utilizzo tanto sapiente della fotografia - in uno splendido bianco e nero - il film risulta incredibilmente fuori dal tempo e immune all'invecchiamento.
Ma soprattutto il motivo che rende questo film tanto grande è che è stato capace di offrire una storia che parlsse dell'elaborazione del lutto e dell'accettazione della colpa, temi più che mai universali, e trasformarla in una storia di fantasmi tra le migliori che si ricordino.
1 commento
Teo Youssoufian
6 anni fa
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