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Data inizio produzione: 23/05/2016
Data fine produzione: 02/09/2016
Dunkirk
Prima uscita: 13/07/2017 - Londra (UK)
Distribuzione italiana: 31/08/2017
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Lingua: inglese, francese, tedesco
Colore
65mm
Aspect Ratio: 2.20:1 - stampe in 70mm; 2.39:1 - stampe in 35mm; 1.90:1 - scene girate in IMAX, proiezione in digitale; 1.78:1 - scene girate in IMAX, home video; 1.43:1 - scene girate in IMAX, proiezione 70mm
Camere: IMAX MKIV, IMAX MSM 9802, Panavision 65 HR, Panavision Panaflex System 65 Studio
Ottiche: Panavision Sphero 65, Hasselblad
Budget: 100.000.000 $
Box Office Mondiale: 525.573.161 $
#cinefacts
82%
#pubblico
82%
#film
Drammatico, Storico, Guerra
Fionn Whitehead, Barry Keoghan, Mark Rylance
Specifiche tecniche
0%
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Contiene spoiler
Dunkerque, 1940. Dopo essere stati circondati dall'esercito tedesco e costretti su una spiaggia tra il mare ed il fuoco nemico, 400.000 soldati alleati di Belgio, Inghilterra, Canada e Francia devono essere assolutamente fatti evacuare.
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tom glynn-carney
jack lowden
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aneurin barnard
james d'arcy
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kenneth branagh
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mark rylance
tom hardy
imax
ogni regista che si rispetti, ogni autore, ogni sceneggiatore porta dentro di sé un tema che lo accompagna lungo tutta la sua carriera, a volte è più nascosto e lo si deve cercare tra le pieghe ed...
ogni regista che si rispetti, ogni autore, ogni sceneggiatore porta dentro di sé un tema che lo accompagna lungo tutta la sua carriera, a volte è più nascosto e lo si deve cercare tra le pieghe ed altre volte è chiaro ed evidente.
Christopher Nolan, al suo film numero 10, palesa una volta di più la sua ossessione nei confronti del Tempo e della manipolazione dello stesso.
In Memento è l'idea fondante del film, montato a ritroso e con un protagonista schiavo della sua condizione che gli impedisce di immagazzinare nuovi ricordi, in Insomnia diventa il cardine del thriller, quell’attimo prima o dopo nel quale un’azione diventa reazione oppure no, in The Prestige è uno degli elementi chiave che serve ai protagonisti (e agli spettatori) per scardinare il trucco di Borden, in Inception è uno dei protagonisti della storia ed è vissuto in maniera diversa da ogni personaggio a seconda del piano onirico in cui si trova, in Interstellar addirittura si modifica in base al pianeta su cui si trovano i protagonisti…
ed anche nella trilogia sul Cavaliere Oscuro il tempo pervade tutta l’opera, i mesi di allenamento in un tempio, i minuti scanditi di una rapina organizzata ad orologeria, i secondi che scorrono mentre bisogna prendere decisioni vitali.
in Dunkirk il tempo viene plasmato una volta di più secondo il volere del suo autore, qui sceneggiatore unico senza aiuti da parte del fratello Jonathan, suo abituale collaboratore.
il film è coraggioso per tanti motivi: è girato in pellicola, in 65mm ed IMAX, un formato costosissimo e difficile da gestire che nessuno usa più ma che restituisce allo spettatore la gioia dello sguardo “vero” sulle cose, quella magia di avere 24 piccole fotografie ogni secondo che fatte scorrere alla giusta velocità donano la percezione del movimento (e per questo motivo l’unica fruizione possibile del film è in sala, qualunque altro modo lo svilisce inevitabilmente);
è coraggioso perché è un film che appartiene ad un genere che ormai dopo le opere e gli sguardi così diversi di Oliver Stone, Mario Monicelli, Michael Cimino, Robert Aldrich, Francis Ford Coppola, Howard Hawks, Stanley Kubrick, Steven Spielberg, Terrence Malick e ci metto anche il film anti-genere di Quentin Tarantino aveva forse esaurito le cose da dire e volerne invece fare uno nuovo, scegliendo di mostrare una sconfitta invece che una vittoria, è sintomo di volersi mettere in gioco nonostante tutto, provare ad alzarsi in piedi e spostarsi rispetto alla propria fama cercando posto al tavolo dei Grandi;
ed è coraggioso perché non è comune un film bellico dove il nemico non si vede mai, dove l’avversario è solo un aereo, una nave, una bomba, un siluro… e dove non vengono mai mostrati mai il sangue, le budella, l’orrore.
tutto resta dentro, nella testa, nei pensieri.
Nolan sceglie di non spettacolarizzare la guerra e di affrontarla con un tono a volte quasi documentaristico, la decisione di mostrarci i punti di vista differenti a seconda che si stia sulla spiaggia, in acqua o in cielo diventa quindi un diverso modo di vedere l’evento bellico in sé anche se, da qualunque punto lo si guardi, ne si rimane schiacciati.
non ho personalmente trovato utile la didascalia che ci mostra quanto tempo passerà nelle varie situazioni perché è una cosa che inevitabilmente porta lo spettatore a confrontare quanto promesso con quanto mostrato -e sulla parte in spiaggia la “settimana” di tempo zoppica un po’- ma anche perché toglie un po’ il gusto di mettere insieme i pezzi da soli una volta che si nota Cillian Murphy in due situazioni diverse nello “stesso momento”...
regia e fotografia, anche se quest’ultima forse un po’ troppo spinta sul classicone “teal and orange”, scelgono di portarci dentro la guerra, dentro l’attimo, dentro il momento, che sia quello di un ragazzino in barca la cui unica esperienza orrifica è quella di veder spirare un amico o quella di un comandante di marina che non sa cosa fare, quella di un pilota -fin troppo- eroico come quella di un giovane soldato che vuole soltanto vivere e tornare a casa.
è un film altamente claustrofobico, con una predominanza di primi e primissimi piani e dettagli e particolari: la macchina da presa insiste sui volti segnati dalla sabbia, dall’acqua, dal gasolio e dal fuoco, dal terrore e dalla speranza, volti spaventati e volti consapevoli di un cast riuscitissimo che unisce attori di accertata esperienza come Kenneth Branagh e Mark Rylance, veri talenti contemporanei come Tom Hardy e Cillian Murphy con quelli imberbi di Fionn Whitehead ed Harry Styles (piccolo appunto: il chiacchieratissimo cantante degli One Direction è bravo. sarà stata la faccia giusta, sarà stato diretto bene, sarà stato il ruolo, ma… mi ha piacevolmente sorpreso);
i campi lunghi sono pochi e quei pochi non danno comunque respiro, la macchina da presa viene posta nelle situazioni più estreme in mezzo alla sabbia, nell’oceano con l’acqua alla gola, in aria con il pericolo di un aereo nemico dietro le spalle ed il punto di vista è sempre e costantemente quello degli uomini che popolano il film: se sono a terra sono un bersaglio, se sono in acqua affogo, se sono in cielo non vedo chi ho intorno a me.
il lavoro fatto sulla colonna sonora da Hans Zimmer è esagerato, preponderante, eccessivo e stressante, non dà un attimo di tregua e praticamente tutta la pellicola ha di sfondo una musica che non smette mai di creare ed accumulare tensione come una corda di violino che viene costantemente tirata, sempre di più…
e quei pochissimi momenti in 106 minuti in cui la musica non c’è, si percepisce un vuoto.
un vuoto che però non regala pace ma minaccia l’ennesima esplosione, l’ennesimo pericolo, con un missaggio audio che fa spavento e che costringe chi guarda il film a pensare di chiedere di smettere perché non si riesce a sostenere tanta pressione.
i protagonisti non hanno nome e, se ce l’hanno, non è importante…
i dialoghi sono ridotti all’osso, essenziali, i personaggi non dicono niente di memorabile o epico, non ci sono frasi da riportare sul diario di scuola o su un post in un social network: sono semplicemente delle pedine, sono piccoli pezzetti di un quadro più grande, non sono vittime e non sono eroi ed il finale del film non è per niente conciliatorio:
sono dei sopravvissuti coscienti del fatto di essere solo e soltanto dei sopravvissuti, persone che si porteranno dietro a vita quei momenti in cui hanno salvato una vita o hanno perso l’umanità mettendo se stessi prima degli altri, persone che sapranno di non aver fatto “niente se non sopravvivere”, soldati considerati eroi per il solo fatto di essere tornati a casa ma che per primi vivono il profondo senso di colpa di non essere riusciti a "fare niente".
chi sostiene che questo sia il “capolavoro” di Christopher Nolan -al di là dell’abuso del termine che ormai si sta spogliando del suo effettivo significato- secondo me non sta esagerando.
perché il regista inglese ci aveva finora abituati a film che raccontavano una storia seducente, per il tema o per il modo in cui sceglieva di raccontarla, con protagonisti forti ed iconici ed uno sviluppo che ai più poteva risultare cervellotico…
qui no.
con Dunkirk Nolan vuole andare da un’altra parte, vuole scrollarsi di dosso i blockbuster, vuole scatenare emozioni piuttosto che ragionamenti (ed in questo il film va completamente altrove rispetto alla sua filmografia), vuole farci sapere -o tenta disperatamente di farlo- che ha voglia di crescere e di essere considerato adulto, che non vuole fare solo film ma ha intenzione di fare del Cinema: già Interstellar tradiva questa volontà, se riuscendoci o meno sta allo spettatore deciderlo, ma questo secondo me è un ulteriore passo avanti nella sua carriera ed i suoi prossimi lavori a questo punto credo non potranno prescindere da questa intenzione né discostarsi molto da questo tipo di approccio, di visione.
Dunkirk resta dentro, scava a fondo nelle sensazioni di ognuno per trovare qualcosa… magari non in tutti lo troverà, magari alcuni verranno traditi dalle aspettative, magari è eccessivamente “diverso” da quello che “dovrebbe” essere, ma resta indubbiamente Grande Cinema.
il mio consiglio è quello di abbandonarsi alla visione senza pregiudizi di sorta e senza cercare il Nolan che già si conosce, di vedere il film senza “guardarlo” ma assorbirlo, farselo entrare dentro e viverlo.
il cieco che consegna le coperte ai soldati sul finale del film probabilmente è un gioco rivolto al pubblico da parte del regista, che non è nuovo a certe "frecciatine" extradiegetiche: “non vi vedo, ma so perfettamente come state”.
siete arrivati in fondo a Dunkirk, l’avete subito e sopportato, avete combattuto stando sulle poltroncine e siete rimasti in apnea sperando che succedesse qualcosa di bello che però bello non è mai…
siete sopravvissuti.
"E dite poco?"
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La Recensione più entusiasta
di Mike
31 dic 2019
86%
Uno dei film di guerra più belli degli ultimi anni. Grandi aspettative per Nolan ovviamente. Un film diverso dai suoi standard ma con sempre il Tempo come soggetto fondamentale della sua poetica.
Uno dei film di guerra più belli degli ultimi anni. Grandi aspettative per Nolan ovviamente. Un film diverso dai suoi standard ma con sempre il Tempo come soggetto fondamentale della sua poetica.
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La Recensione più cattiva
di Stanley K.
21 set 2018
70%
La sceneggiatura è il punto debole di questa pellicola dalla fotografia illuminante. Da Christopher Nolan è lecito aspettarsi decisamente di più. Un lungometraggio che merita comunque di essere...
La sceneggiatura è il punto debole di questa pellicola dalla fotografia illuminante. Da Christopher Nolan è lecito aspettarsi decisamente di più. Un lungometraggio che merita comunque di essere visto per le emozioni che sono in grado di suscitare i terribili, lunghi silenzi della Seconda Guerra Mondiale.
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di Mike
31 dic 2019
86%
Uno dei film di guerra più belli degli ultimi anni. Grandi aspettative per Nolan ovviamente. Un film diverso dai suoi standard ma con sempre il Tempo come soggetto fondamentale della sua poetica.
Uno dei film di guerra più belli degli ultimi anni. Grandi aspettative per Nolan ovviamente. Un film diverso dai suoi standard ma con sempre il Tempo come soggetto fondamentale della sua poetica.
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di Stanley K.
21 set 2018
70%
La sceneggiatura è il punto debole di questa pellicola dalla fotografia illuminante. Da Christopher Nolan è lecito aspettarsi decisamente di più. Un lungometraggio che merita comunque di essere...
La sceneggiatura è il punto debole di questa pellicola dalla fotografia illuminante. Da Christopher Nolan è lecito aspettarsi decisamente di più. Un lungometraggio che merita comunque di essere visto per le emozioni che sono in grado di suscitare i terribili, lunghi silenzi della Seconda Guerra Mondiale.
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20 set 2018
80%
Chi, come me, entrando in sala, si aspettava un film prettamente "nolaniano", con sceneggiatura rompicapo, indizi sparsi e architetture narrative da smontare, sarà rimasto sicuramente un po'...
Chi, come me, entrando in sala, si aspettava un film prettamente "nolaniano", con sceneggiatura rompicapo, indizi sparsi e architetture narrative da smontare, sarà rimasto sicuramente un po' spiazzato. Pur essendo presente la tematica del tempo con 3 piani narrativi, ovvero quello degli aviatori, dei civili e delle truppe, che si dividono e si ricompongono all'istante, dalla successione degli eventi non sembra trapelare alcun disegno narrativo registico da interpretare. Piuttosto lo spettatore è indirizzato alla cruda osservazione del tragico quanto miracoloso evento che ha segnato quella spiaggia, la razionalità fa spazio alle emozioni e ai sentimenti, che però il genere di guerra non riesce ad evocare appieno in tutto il pubblico. Tuttavia è innegabile che ogni sequenza sia contenitrice traboccante di pathos, Nolan mette in scena una sorta di girone infernale: ogni soldato ha metà del cuore colma di terrore per un nemico che non si vede, se non per pochi istanti nei cieli come un Angelo della morte, e per questo fa ancora più paura, mentre l'altra metà batte con ancora più vigore, colma di speranza per una salvezza che quasi si intravede all'orizzonte, ma che è così lenta da fermare il tempo e rendere le ore lunghe come settimane. Lo sforzo registico di Nolan è quasi inumano ma a mio parere perfettamente riuscito, la fotografia salta efficacemente dai combattimenti a cielo aperto giù nelle stive allagate delle imbarcazioni, la colonna sonora di Zimmer è volutamente martellante, penetra nei timpani, come tamburi percossi da demoni, per interminabili minuti, fino a fermarsi per brevissimi istanti , giusto per bloccarci il cuore e il respiro. Alla fine dei conti Nolan ha sicuramente "deluso" molti dei suoi fan più accaniti, ma Dunkirk potrebbe assicurarsi un posto tra le pietre miliari del cinema di guerra.
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6 anni fa
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di Pietro
18 set 2018
80%
"LE FALSE EMOZIONI DI DUNKIRK"
"LE FALSE EMOZIONI DI DUNKIRK"
La mia più che una vera e propria recensione è una riflessione scritta in risposta alla recensione di Goffredo Fofi pubblicata su Internazionale.
La mia più che una vera e propria recensione è una riflessione scritta in risposta alla recensione di Goffredo Fofi pubblicata su Internazionale.
Ho deciso di pubblicarla comunque in questo nuovo luogo di scambio cinefilo proprio perché credo che il Cinema sia sopratutto sana riflessione e dialogo, ed è semplicemente questo il mio intento.
Vi invito quindi ad andarvi a leggere la recensione di Goffredo Fofi prima di addentrarvi nella mia risposta.
Ecco il link: https://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2017/09/08/dunkirk-nolan-recensione.
Dopo aver letto qualche anno fa la recensione di Goffedo Fofi riguardo “Inside Out” della Pixar nella quale lo criticava duramente argomentando la sua tesi arringando di astrazione psicofilosofica, mitologie extracristiane e sostenendo che svanisse il libero arbitrio e che restasse l’idea di una “macchinosa” manipolazione delle nostre azioni, avevo abbastanza timore di addentrarmi nella sua feroce critica riguardo a “Dunkirk”. Mai le mie paure si rivelarono così azzeccate.
Non so se qualcuno di Voi condivida tutta la tesi del critico o parte di essa, ma io non credo di aver visto lo stesso film. Innanzitutto come stroncatura mi pare decisamente prevenuta e assolutamente indirizzata verso il regista e non al film in questione (è risaputo che Fofi non abbia mai apprezzato Nolan più di tanto). Partiamo dall’inizio della tesi del critico dove sostiene in maniera quasi dispregiativa che Nolan “si serva” della musica per creare pathos ad una storia che non regge, che è noiosa e macchinosa; definendo addirittura “più sound che musica” la componente sonora creata da Hans Zimmer. Credo che definire “più sound che musica” ciò che hanno creato e composto Benjamin Wallfisch, Sir Edward Elgar, Lorne Balfe e Hans Zimmer sia dovuto a un’assoluta mancanza di uno scrupoloso e attento ascolto a Dunkirk (Original Motion Picture Soundtrack), che per altro Vi invito a (ri)ascoltare con attenzione poiché è tutto eccetto che semplice “sound”. Poi che possano non piacere le Colonne Sonore create da Hans Zimmer questo è tutto un altro discorso. Proseguendo nella recensione sempre collegandosi all’utilizzo da parte del regista della musica solo ed esclusivamente come espediente per dare al suo film pathos e unità, Fofi aggiunge generalizzando che Christopher Nolan non ci abbia mai saputo fare con le emozioni. Questa è la critica che posso comprendere di più. È innegabile che Nolan sia sempre stato un regista marcatamente cervellotico e intensamente psicologico, non di certo sentimentale. Purtroppo però anche in questo caso la critica in questione non è contestualizzata al lungometraggio del quale stiamo parlando, poiché non è e non vuole essere un film sui sentimenti di persone che si scontrano con la guerra, ma è un film senza protagonisti, senza nomi, un film su uomini ridotti come topi il cui unico scopo è tornare a casa; ma anche semplicemente poter cagare, però nemmeno questo gli è permesso dalla guerra (vedi sequenza iniziale). Proprio per questo è estremamente fuori contesto paragonare “Dunkirk” con “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg. Quest'ultimo un film tanto bello quanto trasudante di retorica ed eroismo irreale. Fofi sostiene poi l’inespressività degli aviatori a causa, dice lui, dei caschi e occhialoni. Anche in questo caso come per la Colonna Sonora, credo si possa dire tutto tranne che Tom Hardy sia un personaggio inespressivo per tutto il film, dato che fa una grandissima prova attoriale (si potrebbe definire oculare) senza parlare praticamente mai. Inoltre non ho nemmeno idea di come si possa ritenere “Dunkirk” guerrafondaio, militarista o addirittura “un filmaccio kolossal che abitua all’idea del massacro”. Un film nel quale i soldati britannici praticamente non combattono mai, sono per tutto il film disarmati e vengono addirittura salvati da civili. Gli unici veri combattimenti li abbiamo in aria. Questo non è un kolossal ruffiano, macchinoso, guerrafondaio, noioso e con musica invasiva, come io non mi sento assolutamente né un fan né uno pseudo-critico del web. “Dunkirk” è un film nel quale Nolan ha voluto eliminare l’artificio del “laboratorio” e della CGI rendendo tutto estremamente realistico, riducendo all’osso la storia, raccontando solamente ciò che fosse necessario. Non ci racconta una grande storia di supereroi empatici e simpatici con il fucile sempre in mano e pronti alla battaglia senza alcuna paura. Ma la storia di uomini senza nome, inermi, bloccati su una spiaggia con l’unico desiderio di sopravvivere e tornare a casa. Non è assolutamente un film esente da difetti e ovviamente è un film che può non piacere. Ma le svariate tesi mosse dalla recensione di cui Vi ho parlato, a mio parere, sono estremamente frettolose e sbagliate, poiché un conto è non aver apprezzato un film e un altro è non averlo capito.
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6 anni fa
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6 anni fa
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18 set 2018
83%
ogni regista che si rispetti, ogni autore, ogni sceneggiatore porta dentro di sé un tema che lo accompagna lungo tutta la sua carriera, a volte è più nascosto e lo si deve cercare tra le pieghe ed...
ogni regista che si rispetti, ogni autore, ogni sceneggiatore porta dentro di sé un tema che lo accompagna lungo tutta la sua carriera, a volte è più nascosto e lo si deve cercare tra le pieghe ed altre volte è chiaro ed evidente.
Christopher Nolan, al suo film numero 10, palesa una volta di più la sua ossessione nei confronti del Tempo e della manipolazione dello stesso.
In Memento è l'idea fondante del film, montato a ritroso e con un protagonista schiavo della sua condizione che gli impedisce di immagazzinare nuovi ricordi, in Insomnia diventa il cardine del thriller, quell’attimo prima o dopo nel quale un’azione diventa reazione oppure no, in The Prestige è uno degli elementi chiave che serve ai protagonisti (e agli spettatori) per scardinare il trucco di Borden, in Inception è uno dei protagonisti della storia ed è vissuto in maniera diversa da ogni personaggio a seconda del piano onirico in cui si trova, in Interstellar addirittura si modifica in base al pianeta su cui si trovano i protagonisti…
ed anche nella trilogia sul Cavaliere Oscuro il tempo pervade tutta l’opera, i mesi di allenamento in un tempio, i minuti scanditi di una rapina organizzata ad orologeria, i secondi che scorrono mentre bisogna prendere decisioni vitali.
in Dunkirk il tempo viene plasmato una volta di più secondo il volere del suo autore, qui sceneggiatore unico senza aiuti da parte del fratello Jonathan, suo abituale collaboratore.
il film è coraggioso per tanti motivi: è girato in pellicola, in 65mm ed IMAX, un formato costosissimo e difficile da gestire che nessuno usa più ma che restituisce allo spettatore la gioia dello sguardo “vero” sulle cose, quella magia di avere 24 piccole fotografie ogni secondo che fatte scorrere alla giusta velocità donano la percezione del movimento (e per questo motivo l’unica fruizione possibile del film è in sala, qualunque altro modo lo svilisce inevitabilmente);
è coraggioso perché è un film che appartiene ad un genere che ormai dopo le opere e gli sguardi così diversi di Oliver Stone, Mario Monicelli, Michael Cimino, Robert Aldrich, Francis Ford Coppola, Howard Hawks, Stanley Kubrick, Steven Spielberg, Terrence Malick e ci metto anche il film anti-genere di Quentin Tarantino aveva forse esaurito le cose da dire e volerne invece fare uno nuovo, scegliendo di mostrare una sconfitta invece che una vittoria, è sintomo di volersi mettere in gioco nonostante tutto, provare ad alzarsi in piedi e spostarsi rispetto alla propria fama cercando posto al tavolo dei Grandi;
ed è coraggioso perché non è comune un film bellico dove il nemico non si vede mai, dove l’avversario è solo un aereo, una nave, una bomba, un siluro… e dove non vengono mai mostrati mai il sangue, le budella, l’orrore.
tutto resta dentro, nella testa, nei pensieri.
Nolan sceglie di non spettacolarizzare la guerra e di affrontarla con un tono a volte quasi documentaristico, la decisione di mostrarci i punti di vista differenti a seconda che si stia sulla spiaggia, in acqua o in cielo diventa quindi un diverso modo di vedere l’evento bellico in sé anche se, da qualunque punto lo si guardi, ne si rimane schiacciati.
non ho personalmente trovato utile la didascalia che ci mostra quanto tempo passerà nelle varie situazioni perché è una cosa che inevitabilmente porta lo spettatore a confrontare quanto promesso con quanto mostrato -e sulla parte in spiaggia la “settimana” di tempo zoppica un po’- ma anche perché toglie un po’ il gusto di mettere insieme i pezzi da soli una volta che si nota Cillian Murphy in due situazioni diverse nello “stesso momento”...
regia e fotografia, anche se quest’ultima forse un po’ troppo spinta sul classicone “teal and orange”, scelgono di portarci dentro la guerra, dentro l’attimo, dentro il momento, che sia quello di un ragazzino in barca la cui unica esperienza orrifica è quella di veder spirare un amico o quella di un comandante di marina che non sa cosa fare, quella di un pilota -fin troppo- eroico come quella di un giovane soldato che vuole soltanto vivere e tornare a casa.
è un film altamente claustrofobico, con una predominanza di primi e primissimi piani e dettagli e particolari: la macchina da presa insiste sui volti segnati dalla sabbia, dall’acqua, dal gasolio e dal fuoco, dal terrore e dalla speranza, volti spaventati e volti consapevoli di un cast riuscitissimo che unisce attori di accertata esperienza come Kenneth Branagh e Mark Rylance, veri talenti contemporanei come Tom Hardy e Cillian Murphy con quelli imberbi di Fionn Whitehead ed Harry Styles (piccolo appunto: il chiacchieratissimo cantante degli One Direction è bravo. sarà stata la faccia giusta, sarà stato diretto bene, sarà stato il ruolo, ma… mi ha piacevolmente sorpreso);
i campi lunghi sono pochi e quei pochi non danno comunque respiro, la macchina da presa viene posta nelle situazioni più estreme in mezzo alla sabbia, nell’oceano con l’acqua alla gola, in aria con il pericolo di un aereo nemico dietro le spalle ed il punto di vista è sempre e costantemente quello degli uomini che popolano il film: se sono a terra sono un bersaglio, se sono in acqua affogo, se sono in cielo non vedo chi ho intorno a me.
il lavoro fatto sulla colonna sonora da Hans Zimmer è esagerato, preponderante, eccessivo e stressante, non dà un attimo di tregua e praticamente tutta la pellicola ha di sfondo una musica che non smette mai di creare ed accumulare tensione come una corda di violino che viene costantemente tirata, sempre di più…
e quei pochissimi momenti in 106 minuti in cui la musica non c’è, si percepisce un vuoto.
un vuoto che però non regala pace ma minaccia l’ennesima esplosione, l’ennesimo pericolo, con un missaggio audio che fa spavento e che costringe chi guarda il film a pensare di chiedere di smettere perché non si riesce a sostenere tanta pressione.
i protagonisti non hanno nome e, se ce l’hanno, non è importante…
i dialoghi sono ridotti all’osso, essenziali, i personaggi non dicono niente di memorabile o epico, non ci sono frasi da riportare sul diario di scuola o su un post in un social network: sono semplicemente delle pedine, sono piccoli pezzetti di un quadro più grande, non sono vittime e non sono eroi ed il finale del film non è per niente conciliatorio:
sono dei sopravvissuti coscienti del fatto di essere solo e soltanto dei sopravvissuti, persone che si porteranno dietro a vita quei momenti in cui hanno salvato una vita o hanno perso l’umanità mettendo se stessi prima degli altri, persone che sapranno di non aver fatto “niente se non sopravvivere”, soldati considerati eroi per il solo fatto di essere tornati a casa ma che per primi vivono il profondo senso di colpa di non essere riusciti a "fare niente".
chi sostiene che questo sia il “capolavoro” di Christopher Nolan -al di là dell’abuso del termine che ormai si sta spogliando del suo effettivo significato- secondo me non sta esagerando.
perché il regista inglese ci aveva finora abituati a film che raccontavano una storia seducente, per il tema o per il modo in cui sceglieva di raccontarla, con protagonisti forti ed iconici ed uno sviluppo che ai più poteva risultare cervellotico…
qui no.
con Dunkirk Nolan vuole andare da un’altra parte, vuole scrollarsi di dosso i blockbuster, vuole scatenare emozioni piuttosto che ragionamenti (ed in questo il film va completamente altrove rispetto alla sua filmografia), vuole farci sapere -o tenta disperatamente di farlo- che ha voglia di crescere e di essere considerato adulto, che non vuole fare solo film ma ha intenzione di fare del Cinema: già Interstellar tradiva questa volontà, se riuscendoci o meno sta allo spettatore deciderlo, ma questo secondo me è un ulteriore passo avanti nella sua carriera ed i suoi prossimi lavori a questo punto credo non potranno prescindere da questa intenzione né discostarsi molto da questo tipo di approccio, di visione.
Dunkirk resta dentro, scava a fondo nelle sensazioni di ognuno per trovare qualcosa… magari non in tutti lo troverà, magari alcuni verranno traditi dalle aspettative, magari è eccessivamente “diverso” da quello che “dovrebbe” essere, ma resta indubbiamente Grande Cinema.
il mio consiglio è quello di abbandonarsi alla visione senza pregiudizi di sorta e senza cercare il Nolan che già si conosce, di vedere il film senza “guardarlo” ma assorbirlo, farselo entrare dentro e viverlo.
il cieco che consegna le coperte ai soldati sul finale del film probabilmente è un gioco rivolto al pubblico da parte del regista, che non è nuovo a certe "frecciatine" extradiegetiche: “non vi vedo, ma so perfettamente come state”.
siete arrivati in fondo a Dunkirk, l’avete subito e sopportato, avete combattuto stando sulle poltroncine e siete rimasti in apnea sperando che succedesse qualcosa di bello che però bello non è mai…
siete sopravvissuti.
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1 commento
6 anni fa
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Eris
04/01/2024
Fabio
05/02/2024
Redazione
06/01/2024
#IlTuoLivello
LIVELLO
NOME LIVELLO
Kappa
6 anni fa
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