Parlare di madre! inevitabilmente comporta degli spoiler grandi quanto la casa del film, quindi chi non l'avesse visto e volesse scoprirne i segreti da solo è meglio che si astenga dal leggere il...
Parlare di madre! inevitabilmente comporta degli spoiler grandi quanto la casa del film, quindi chi non l'avesse visto e volesse scoprirne i segreti da solo è meglio che si astenga dal leggere il contenuto di questo articolo, nonostante le locandine ufficiali svelino già praticamente tutto.
Come brevissima introduzione posso solo dire che secondo me è uno di quei film di cui il Cinema di oggi ha assolutamente bisogno: profondo, sconvolgente, allegorico, che non assomiglia a nessun altro film fatto finora... personalmente lo ritengo tra i migliori film del secolo corrente.
Se una major come la Paramount (dopo il rifiuto di altri studios) sceglie di credere in una pellicola di questo tipo allora c'è ben più di una speranza per il presente ed il futuro della Settima Arte.
Chi lo ha fischiato alla Mostra di Venezia, e chi oggi lo bolla come "brutto film", semplicemente non ne ha colto il significato perché se si ama il Cinema un film simile è un film da amare, e da difendere.
Darren Aronofsky è uno di quegli autori che ha da sempre dichiarato le sue intenzioni e che col tempo è diventato ciò che dipinge sullo schermo: il suo cinema è dedicato alle ossessioni e alle dipendenze, e lui stesso è ossessionato dalle ossessioni e dipendente dalle dipendenze.
Il suo Cinema è spesso fastidioso, urticante, sporco, paranoico, i suoi personaggi vivono in una condizione di sofferenza ed insoddisfazione ma hanno tutti alla base un'enorme speranza affinché le cose possano evolversi, che sono esattamente le emozioni che trasmette allo spettatore; ma è anche vero che i suoi film pulsano di una vita molto rara da trovare nei circuiti mainstream del cinema attuale, soprattutto se addirittura hollywoodiani.
madre! è secondo me la sua opera più bella, più riuscita, più ricercata proprio perché ancora meno diretta delle altre.
L'inquadratura iniziale è violenta e rivelatoria, anche se lo si capirà solo alla fine, ed il film inizia come una qualsiasi storia con al centro una coppia.
Ma l'allegoria generale del film è presto svelata ed è facilmente comprensibile durante la visione: Ed Harris è un Adamo che, dopo una notte di sofferenze dove lo vediamo ferito al costato, si unisce all'amata Eva (Michelle Pfeiffer) e poco dopo ai due figli Caino ed Abele.
Il riferimento biblico è dichiarato.
Javier Bardem è "Lui", unico personaggio ad avere nei titoli di coda l'iniziale maiuscola, è Dio: colui che crea, colui che scrive i destini del mondo e dell'uomo.
La vera protagonista assoluta però è una Jennifer Lawrence mai così intensa e mai così al centro di tutto.
Sono di parte perché mi è sempre piaciuta, penso però che un ruolo simile faccia invidia a tutte le sue colleghe e credo ci sia un motivo preciso se il regista l'ha scelta al posto di altre...
ma questo lo aggiungo dopo.
Aronofsky e Matthew Libatique (il fidato direttore della fotografia che, a parte The Wrestler, accompagna il regista in tutte le sue opere fin da Pi greco - Il teorema del delirio), scelgono di girare in pellicola, in super 16mm, e con delle lenti che danno una profondità di campo cortissima.
Questo regala al film quella pasta granulosa che in tempi di 4K e digitale non siamo più abituati a vedere, ed è una scelta che si inserisce perfettamente nel quadro generale: la pellicola è organica, è materica, è qualcosa che si può toccare con mano e che nasce e si evolve, a differenza degli 1 e degli 0 delle cineprese digitali che rendono tutto così algido e distaccato.
I piani stretti ed appiccicati al protagonista sono una delle firme del regista newyorkese, ma qui andiamo ben oltre quello a cui ci ha abituati: tutto il film è girato per darci il punto di vista della Lawrence, la madre del titolo che altro non è che Madre Natura, e la macchina da presa le sta attaccata addosso con primissimi piani insistiti ed insistenti, la messa a fuoco spesso non lascia scampo e non mostra altro se non lei, ciò che vediamo e percepiamo noi è ciò che vede e percepisce lei e come lei non riesce ad afferrare il senso di ciò che succede, così accade a noi spettatori.
La fotografia quindi pone l'accento su quella che secondo Aronofsky dovrebbe stare al centro dei nostri pensieri: la Natura, la terra, ciò che è in grado di darci e come noi decidiamo di usufruirne e, spesso, sfruttare.
La messa a fuoco è labile ed è spesso complicata anche da una leggera sottoesposizione di molte scene, al limite del buio, che intimizza la visione e ci costringe a guardare bene, a fare attenzione a ciò che c'è sullo schermo proprio perché non è tutto visibile, dichiarato, lampante.
I toni lievemente caldi, delicati e conciliatori dell'inizio divengono col passare dei minuti sempre più caldi, più violenti ed accesi, mentre "l'uomo" diviene adoratore della divinità allo stesso tempo distrugge ciò che la Natura gli regala ed il cuore pulsante della casa nascosto nei muri si inaridisce fino a divenire un rinsecchito cumulo di robaccia.
Ed anche il sonoro, da sempre altro marchio di fabbrica del regista, lavora sugli effetti e sui suoni più che sulla musica, che è pressoché inesistente, con quelle porte che si chiudono sbattendo inesorabili e quel legno che scricchiola ad ogni passo.
L'allegoria biblica è solo il primo e più evidente riferimento, con un Dio assolutamente egoriferito che proprio non riesce a non perdonare l'uomo che ha creato a sua immagine e somiglianza e che si bea dell'adorazione ricevuta, ma che in fondo non è del tutto cattivo: non può fare a meno di amare ciò che ha creato perché altrimenti entrerebbe in contraddizione con se stesso, pensa a sé perché crede che tutto nasca da lui e che sia giusto così.
Non è il Dio malvagio e vendicativo dell'Antico Testamento, ma quello più caritatevole e pronto a dare una seconda possibilità ai peccatori, nonostante continuino a sbagliare e a travisare le sue parole.
Un Dio che si incazza con Adamo ed Eva solo una volta, quando questi compiono il peccato originale distruggendo ciò che a loro non era permesso toccare, quel "frutto del seno tuo" che scopriamo alla fine essere nato dal cuore della Madre Terra: qualcosa di puro, di trasparente, di prezioso, da proteggere ed ammirare.
Le sue parole vengono prima utilizzate per un lutto, poi venerate ed idolatrate come il vitello d'oro e poi ribaltate completamente nel significato quando l'umanità cannibalizza il figlio della Madre, con evidenti riferimenti al cristo tramite "magi che portano doni" ma anche con una pesante accusa alla società moderna che distrugge ciò che la Terra ci dona senza curarsi delle conseguenze e pensando di essere nel giusto, in un finale che scivola in una spirale di delirio e di violenza senza via di scampo...
Ed è palese la visione del mondo di Aronofsky: stiamo danneggiando ciò che ci dona la vita ed il danno non sarà fatto solo al pianeta, che tanto potrà nuovamente "ricominciare" a vivere, ma soprattutto sarà a noi stessi che finiremo con l'autodistruggerci.
La sovrappopolazione, le guerre fratricide in nome di una religione diversa, la condizione di povertà disperata, l'odio nei confronti del diverso e l'idolatria di falsi profeti ci porterà alla fine.
Ma è una fine in cui a perderci sarà solo e soltanto l'uomo perché nella visione aronofskyana Dio sarà pronto a perdonarci e ricominciare di nuovo, ponendo al centro di tutto il cristallo nato da un incendio "che mi ha portato via tutto", con una Madre Natura differente nell'aspetto ma uguale nelle intenzioni, ancora pronta a provare a rimediare a tutti gli errori e la noncuranza dell'uomo, rappresentata nel film come una madre che passa il suo tempo a rassettare la cucina, a pulire per terra, a riordinare le cose stravolte dagli uomini che le occupano la casa e che non la guardano, non la vedono e non la sentono e che quando lo fanno, non la ascoltano.
E non solo: in questo film c'è la prima vera scena di nudo di Jennifer Lawrence, ed è un nudo violento, un tentativo di stupro di gruppo che personalmente -oltre a cogliere lo stupro della natura da parte dell'uomo- ho letto anche come riferimento personale alla storia della Lawrence e a quel "The Fappening" che la vide protagonista più di altre: la sua immagine privata esibita e data in pasto alla violenza della rete, alla mercé di chiunque, dove orde di sconosciuti le diedero della troia e della zoccola.
È un film che non assomiglia a nulla, è incredibilmente coraggioso, è un'opera di pancia (non a caso infatti Aronofsky ha dichiarato di aver buttato giù lo script in soli 5 giorni!) che capisco benissimo non sia adatta a chiunque e possa non incontrare i favori del grande pubblico.
Ma è un film di cui abbiamo bisogno, di cui il Cinema tutto ha bisogno, per indicare una strada possibile e percorribile, per andare oltre i circuiti del facile e del compiacente, per continuare a sperare che la Settima Arte sia sicuramente un'industria, ma che non dimentichi mai di essere, soprattutto, Arte.
Contiene spoiler