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I corti di Kōji Yamamura - Recensione: Favole e sogni - RNFF2020

Il Ravenna Nightmare Film Festival presenta in collaborazione con l'ASCIG i corti di Koji Yamamura

Koji Yamamura è uno degli animatori indipendenti contemporanei più importanti in assoluto.

 

Riconosciuto per la sua versatilità, ha rilasciato numerosi cortometraggi principalmente in stop-motion e in animazione tradizionale, sperimentando tra gli stili più disparati.


Il Ravenna Nightmare Film Festival ha presentato quattro suoi cortometraggi per celebrare la grande passione di questo artista giapponese.

 

 

 

Procedendo in ordine cronologico si parte subito con Atamayama (2002), che narra le vicende di un uomo solito conservare ogni risorsa, sempre rigoso nell’evitare sprechi, ritrovatosi con un germoglio di ciliegio sulla testa.


Le vicende dell’uomo vengono narrate poeticamente attraverso brevi versi che, a volte, diventano strofe cantate, rendendo la narrazione molto fluida.

 

Ci sono momenti di brillante comicità e si intrecciano perfettamente con immagini via via più esagerate e grottesche; nonostante ciò, non si può fare a meno di empatizzare col nostro protagonista-piantina, “vittima” degli eventi.

 

 

 

Il Vecchio Coccodrillo (2005) presenta uno stile completamente diverso dal corto citato in precedenza: mentre nel primo ci sono vere e proprie forme, qui vediamo delle grosse “macchie di colore”, precisamente di un singolo colore ciascuna, che ci permette di distinguere le figure attraverso minuscoli dettagli.


Il cortometraggio racconta la storia di questo coccodrillo millenario molto debole, afflitto da vari dolori, e costantemente affamato, deciso a lasciare la sua isola per ricercare del cibo.


Una voce narrante accompagna l’avventura di questo “povero” essere che poi, come si vedrà, tanto povero non è, anzi: si farà strada con la sua avidità.


Ancora più evidente, qui, è come Yamamura faccia dell’humor un punto cardine, rendendo ogni momento, anche quello più drammatico, perfetto per ironizzare, senza scadere nel banale.

 

 

 

La Parata di Satie (2016) è forse il mio preferito tra quelli presentati.

 

Sotto il ritmo della Parade di Erik Satie, eseguita dal Willem Breuker Kollektief, si presentano agli occhi una serie di personaggi, frasi e oggetti musicalmente coordinati.

Yamamura ci offre il suo piccolo Fantasia, ma con un tocco che definisce lui stesso un passo avanti al surrealismo e al dadaismo.

 

Un passaggio sperimentale che ci porta in una contemporaneità astratta, esaltata da colori primari e segnata sempre e comunque dal suo modo di rendere dei particolari un po’ buffi, allegri, e sempre molto interessanti.

 

 

 

Infine abbiamo l’ultimo suo cortometraggio in assoluto: Dreams Into Drawings (2019), il cui soggetto è il pittore Kuwagata Keisai, vissuto oltre 200 anni fa, che riesce a trasfigurarsi negli animali che egli stesso disegna.


Il disegno è quasi abbozzato, sono linee nere molto doppie con macchie di colore per sottolineare dettagli e per far emergere al meglio determinate figure dallo sfondo.


C’è un ritorno alla narrazione classica: tutto fila, sempre attraverso questo mondo un po’ irrealistico, intrecciato nell’utopico, che lascia sempre socchiusa quella linea di confine tra sogno e realtà.

 



Koji Yamamura è un creativo, in tutto e per tutto.

 

Si percepisce il suo amore per la sperimentazione e la voglia costante di mettersi alla prova.

Nonostante ci sia sempre qualcosa che lega tutti i suoi lavori, è innegabile che il modo in cui affronta la tecnica tradizionale è in costante mutamento.

 

Così come sono le sue idee, bisognose di nuovi modi per essere affrontate, rendendo la sua arte atipica e originale.

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