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Le sorelle Macaluso nasce sei anni fa come pièce teatrale e non c'è alcun dubbio a riguardo.
Emma Dante, la sua autrice, ci ha presentato all'appena conclusa Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia la sua scelta di darle un corpo filmico riuscendo nel più ambizioso degli intenti: nobilitare tanto il linguaggio cinematografico che quello performativo.
Apriamo con un'inquadratura che sarebbe impossibile su di un palco teatrale, a pochi centimetri di distanza da occhi, guance che si sfregano in uno spazio angusto e tagli di luce nell'oscurità, e da lì non ci discostiamo più da questa forza centripeta delle cinque figure che incolla a loro la macchina da presa.
Un'intuizione simile la ebbe Lars von Trier con l'incredibile Dancer in the Dark, vorticante e sempre a contatto come una falena ipnotizzata dagli occhi di Björk.
[Trailer italiano de Le sorelle Macaluso]
Da una prima inquadratura del tutto anti-teatrale al mescolarsi senza alcuna soluzione di continuità con gestualità plateali, collutazioni verbali e muscolari e soprattutto con il lato grottesco del corpo vissuto (participio passato), temi cari già al teatro della regista.
Entrare e uscire come dalle quinte fra i piani temporali della vicenda, racchiudibile in una caustica sinossi: cinque sorelle, o forse sei ("la sesta sorella è la casa" ama suggerire Emma Dante nelle interviste) condividono finché morte non le separi l'ultimo piano di una palazzina di periferia a Palermo.
Le sorelle Macaluso
"Ho visto la vita" è la frase con cui ho aperto il commento del mio film preferito, Amour di Michael Haneke, frase che ben si accosta anche a Le sorelle Macaluso.
Non vi è trama di fatti, solo di sé immaginati nel proprio futuro.
Ogni sorella incede con il suo stile sulla ribalta degli anni, alcune aprendosi più o meno fiduciose a sogni dischiusi già in giovane età, altre corazzandosi pragmaticamente al minimizzare tonfi e soffocare crisi forse salvifiche.
Ognuna di loro, però, accumula, e non soltanto grandi speranze.
Libertà legate in libertà negate.
La casa accoglie e protegge ma non dimentica, e diviene implacabile archivio di antiche ambizioni fantasmatiche, ricordi e, con ciò, palude stagnante di risentimenti.
[Tredici attrici per tre generazioni ne Le sorelle Macaluso]
Emma Dante è bravissima a raccontare il tempo che passa senza risultare didascalica servendosi invece del dettaglio di semplici gesti quotidiani centellinati a dovere nella sceneggiatura, per cui una maniglia rotta e non aggiustata per decenni o un automatismo rivelano allo spettatore un'abitudinarietà sfiancata e solo sommessamente accogliente.
La casa è fedele, anche troppo.
Spenderò infine una parola sul lavoro svolto dalla troupe sul sonoro.
Come già detto Le sorelle Macaluso rimane come incollato al raggio d'azione dei corpi delle sorelle e con esse allo spazio a loro immediatamente attorno.
Particolari e dettagli si sprecano, anche i più raccapriccianti, e con essi nel missaggio interviene sempre un effetto sonoro adeguato a rendere più impattante la loro apparizione.
[Scorci di Palermo ne Le sorelle Macaluso]
Ma più di ogni altra cosa spicca la colonna sonora non originale, fatta da canzoni della tradizione cantautorale italiana, che sanno più e più volte amalgamarsi alla perfezione con il profilmico e il piano diegetico della vicenda, come fossero udite (e talvolta ballate) anche dalle protagoniste.
E poi loro: le colombe e i piccioni.
La casa ne è piena, ma è altrettanto chiaro si tratti di un espediente geniale - quasi quanto la coreografia che accompagna un bacio durante le prime sequenze del film - tipico di un'intelligenza abituata a lavorare col vuoto palco e i correlativi oggettivi per animare una scena o comunicare una metafora al pubblico seduto in sala.
La loro presenza è incessante e così il suono che accompagna il loro vivere nella casa con le sorelle, a riempire e soffocare tutti i loro spazi di un'alterità possibile.
Anch'esse saranno per loro compagnia rassicurante e pretesto ingabbiante.
La casa è sul mare e il sonoro non cessa mai di ricordarcelo, nemmeno durante i titoli di coda: una vasta distesa vaga senza punti di riferimento che spesso confondiamo come massima forma di libertà.
È per me un orgoglio pensare a Le sorelle Macaluso come al Roma italiano.