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François Truffaut e Jean-Luc Godard: due personalità gigantesche all'interno della Storia del Cinema, due registi importantissimi, due rivoluzionari, due amici. Fino a un certo punto.
L'amicizia cinefila unisce i due giovani ancora prima dell'ondata della Nouvelle Vague che prese il Cinema a schiaffi tra gli anni '50 e i '60.
Tra il 1952 e il 1953 arrivarono entrambi ai Cahiers du Cinéma, fondamentale rivista cinematografica francese che fece da base di partenza per un attacco frontale a tutto ciò che era ormai consolidato nel cinema d'oltralpe e non solo.
La politica degli autori, la centralità del regista, un nuovo modo di approcciare il Cinema e di criticare il Cinema, sono tutte cose nate in quegli anni e Godard e Truffaut sono stati tra i più importanti e famosi esponenti del movimento.
La Nouvelle Vague voleva rinfrescare il panorama del Cinema francese che si era in quel periodo fossilizzato e allontanato dalla società e dal vivere della gente comune: gli autori tornavano al centro del film e ne divenivano il fulcro con tutto ciò che ne poteva conseguire.
[Jean Paul Belmondo e Jean Seberg in Fino all'ultimo respiro, di Jean-Luc Godard, 1960]
Il Cinema doveva essere girato con la macchina a mano, senza illuminazione artificiale, senza scenografie aggiuntive né musica extra diegetica, il tutto per riavvicinarsi il più possibile alla realtà, alla vita vera.
Paradossalmente si abbandonavano i dogmi del Cinema per abbracciarne degli altri, ma il movimento fu una vera e propria rivoluzione che vide nascere nuovi autori e una nuova poetica, oltre alla riscoperta dell'importanza di autori esteri a partire da Alfred Hitchcock e Roberto Rossellini.
[Effetto Notte, di François Truffaut, 1973: il film della definitiva discordia]
La rivoluzione fu però presa in maniera sostanzialmente diversa da Godard e Truffaut: più radicale e quasi autarchico il primo, più piccolo borghese il secondo.
Truffaut declinerà la Nouvelle Vague a suo modo, rispondendo comunque a delle logiche commericali proprie del Cinema mainstream.
Godard invece proseguirà per la sua strada, evitando di girare film "prodotti e consumati da una società di cui si augura la distruzione", per usare le parole dello stesso Truffaut.
Era inevitabile che i due, nonostante un rapporto umano e professionale durato vent'anni, arrivassero a un certo punto allo scontro.
La cosa avvenne nella maniera più rumorosa e scandalosa possibile: attraverso due missive che l'uno mandò all'altro e che fecero il giro del mondo.
[Un altro frame di Jean Paul Belmondo e Jean Seberg in Fino all'ultimo respiro, di Jean-Luc Godard, 1960]
Le differenze iniziarono ad aumentare quando Jean-Luc Godard decise di intraprendere una strada ancora più decisa rispetto alla Nouvelle Vague fondando il collettivo Dziga Vertov, che fondamentalmente sosteneva che l'autore non dovesse esistere come fulcro dell'opera, ma svanire all'interno di essa per evitare qualsivoglia narcisismo e protagonismo.
Se all'inizio della Nouvelle Vague Truffaut sosteneva che "Ci sono solo gli autori, non ci sono opere", qui siamo praticamente all'esatto contrario.
E nel modo di girare i film la differenza diventa sostanziale: le opere di Godard divengono riflessioni sul linguaggio stesso del Cinema e restano sempre e comunque fortemente critiche nei confronti del consumismo e del capitalismo; dall'altra parte invece i film di François Truffaut mettono al centro la trama, vengono montati in maniera classica e non tradiscono quasi mai delle velleità critiche nei confronti della società civile.
Il culmine fu Effetto Notte.
Il film di Truffaut - ancora oggi mostrato nelle Scuole di Cinema - racconta il dietro le quinte della realizzazione di un film, con tutti i problemi umani e professionali che una troupe attraversa.
Ma il film nel film, e quindi il film stesso, è un qualcosa di assolutamente convenzionale e addirittura racconta e svela già dal titolo uno dei trucchi cinematografici più famosi: il filtro che viene messo davanti alla macchina da presa per simulare la notte, girando con la luce diurna.
Rispetto alla libertà e alla vicinanza al reale evocati dalla Nouvelle Vague, qui siamo agli antipodi.
Come se non bastasse, La Nuit Américaine - questo il titolo originale - sembrava essere costruito proprio per piacere a Hollywood, che infatti lo candidò agli Oscar nel 1974 dove vinse come Miglior Film in Lingua Straniera e, per il particolare regolamento vigente all'epoca, finì candidato anche agli Oscar 1975, dove ottenne ben tre nomination: Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura non Originale, Migliore Attrice non Protagonista (Valentina Cortese).
[Jules et Jim, di François Truffaut, 1962]
Senza aspettare il verdetto oltreoceano, però, Jean-Luc Godard decise che Effetto Notte era la classica goccia nel vaso già ricolmo d'acqua, e decise di scrivere una lettera di fuoco all'ormai ex amico François.
Lettera che però impallidisce di fronte alla risposta lunga e velenosissima di Truffaut.
Vi riporto qui sotto entrambe, e lascio a voi i commenti.
[I 400 colpi, di François Truffaut, 1959]
Personalmente credo siano la testimonianza di un'esplosione di sentimenti da una parte e dall'altra, la libera uscita di qualcosa che entrambi covavano dentro da anni, ma al tempo stesso due stranissime dichiarazioni di amore oramai spento e sepolto.
Un rapporto tra due artisti e due uomini che andava oltre l'amicizia e la professionalità, ma arrivato al punto di far soffrire entrambi proprio per la consapevolezza di ciò che è divenuto nel tempo.
In ogni caso, se il Cinema deve essere emozione e verità, con queste due missive François Truffaut e Jean-Luc Godard ci regalano entrambe le cose a piene mani.
Jean-Luc Godard
Lettera a François Truffaut - maggio 1973
Ho visto ieri Effetto notte. Probabilmente nessuno ti dirà che sei un bugiardo, così lo faccio io.
Non è affatto un insulto fascista, è una critica, ed è senza un punto di vista critico che ci lasciano film come quelli di Chabrol, Ferreri, Verneuil, Delannoy, Renoir, ecc., di cui mi lamento.
Tu dici: i film sono dei grandi treni nella notte, ma chi prende il treno, in che classe, e chi lo guida con la spia della direzione di fianco?
Anche loro fanno i film-treni.
E se tu non parli del Trans-Europe, allora si tratta forse di un treno per pendolari, o di quello Dachau-Monaco, di cui certo non si vedrà la stazione nel film-treno di Lelouch.
Sei un bugiardo, perché la tua inquadratura con Jacqueline Bisset, da Francis, l’altra sera, nel film non ci sarà, e ci si chiede come mai il regista sia l’unico che non scopa in Effetto notte.
In questi giorni sto girando una cosa che si intitola Un simple film, fa vedere in che modo semplicistico (a modo suo, che è quello di Verneuil, Chabrol, ecc.) chi sia inoltre a fare il film e come questi chi lo facciano.
Come numera il materiale la tua tirocinante, come porta le borse il tizio dell’Éclair, come il vecchietto della Publidécor dipinge le chiappe del Tango, come risponde la telefonista di Rassam, come allinea le cifre il contabile di Malle, e ogni volta si mette in rapporto il suono e l’immagine, il suono del facchino e il suono della Deneuve che egli sta portando, il numero di Léaud nel suo anello di pellicola, e il numero di previdenza sociale della tirocinante non pagata, il dispendio sessuale del vecchio della Publidécor e quello di Brando, il preventivo della vita quotidiana del contabile e il preventivo della Grande Abbuffata, ecc.
Per colpa delle grane di Malle e di Rassam che producono alla grande (come te), la grana che era prevista per me l’hanno buttata nel film di Ferreri (voglio dire proprio questo, nessun vi vieta di prendere il treno, voi però lo fate) e io sono in panne.
Il film costa circa 20 milioni ed è prodotto da Anouchka e da TVAB Films (la società mia e di Gorin).
Puoi entrare in coproduzione per 10 milioni? Per 5 milioni?
Visto Effetto notte, dovresti aiutarmi, perché gli spettatori non credano che i film si fanno solo come i tuoi.
Tu non sei un bugiardo, come Pompidou, come me, tu dici la tua verità.
In cambio, se vuoi , io posso lasciarti i miei diritti di La cinese, La gaia scienza e Il maschio e la femmina.
Se vuoi parlarne, d’accordo,
Jean-Luc.
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François Truffaut
Lettera a Jean-Luc Godard - maggio, giugno 1973
Jean-Luc.
Per non costringerti a leggere fino in fondo questa lettera sgradevole, vado subito al sodo: non entrerò in coproduzione nel tuo film.
In secondo luogo ti restituisco la lettera che hai mandato a Jean-Pierre Léaud: l’ho letta e la trovo disgustosa.
È per questo che sento arrivata l’ora di dirti, a lungo, che secondo me tu ti comporti come una merda.
Per quanto riguarda Jean-Pierre, che è stato tanto bistrattato dopo la storia della grande Maria e più di recente nel suo lavoro, trovo disgustoso mettersi a ululare con gli altri lupi, disgustoso tentare di scroccare, con intimidazioni, dei soldi a qualcuno che ha quindici anni meno di te e che tu pagavi meno di un milione quando era il centro dei tuoi film, che ti rendevano trenta volte di più.
Certo, Jean-Pierre è cambiato dopo I 400 colpi, ma posso dirti che io mi sono accorto, per la prima volta proprio nel Maschio e la Femmina, che stare davanti a una macchina da presa poteva dargli angoscia e non gioia.
Il film era buono, e lui funzionava nel film, ma la prima scena, nel caffè, era opprimente per chi lo guardava da amico e non come un entomologo.
Non ho mai formulato la minima riserva nei tuoi confronti davanti a Jean-Pierre che ti ammirava tanto, ma so che tu gli hai buttato lì più di una volta delle porcate sul mio conto, come se uno dicesse a un ragazzo:
“E allora, tuo padre, trinca sempre di gusto?”.
Jean-Pierre non è il solo a essere cambiato in questi 14 anni, e se si proiettasse nella stessa sera Fino all’ultimo respiro e Crepa padrone, quegli aspetti di disincanto e di cautela al tempo stesso, che si vedono nel secondo, finirebbero per creare un clima di costernazione e di tristezza.
Me ne strasbatto di quel che pensi di Effetto Notte, quel che trovo penoso da parte tua è il fatto di andare, ancora oggi, a vedere un film come quello, film di cui conosci in anticipo il contenuto che non corrisponde né alla tua idea del cinema né alla tua idea di vita.
Forse Jean-Edern Hallier scriverebbe a Daninos per dirgli che non è d’accordo col suo ultimo libro?
Tu hai cambiato la tua vita e la tua testa, eppure continui a perdere un sacco di ore al cinema per stancarti gli occhi.
Perché?
Per trovare di che alimentare il tuo disprezzo per noi tutti, per rafforzarti nelle tue nuove certezze?
Tocca a me adesso darti del bugiardo.
All’inizio di Crepa padrone: tutto va bene c’è questa frase:
“Per fare un film ci vogliono i divi”.
Menzogna.
Lo sanno tutti quanto hai insistito per avere Jane Fonda che non voleva, mentre i tuoi finanziatori ti dicevano di prendere una qualunque.
La tua coppia di attori l’hai messa in scena alla Clouzot: visto che hanno la fortuna di lavorare con me, gli basterà un decimo della paga solita, ecc.
Karmitz o Bernard Paul hanno bisogno di star, non tu, dunque menzogna.
La stampa: gli hanno “imposto” le star…
Altra menzogna, a proposito del tuo nuovo film: non dici nulla del comodo anticipo sugli incassi che hai chiesto e ottenuto, e che dovrebbe bastarti, anche se Ferreri, come tu in modo ridicolo lo accusi di aver fatto, ha speso tutti i soldi che erano “riservati” a te.
E allora, pensa di potersi permettere tutto, questo “macaroni” che viene a portarci via il pane, questo immigrato, bisogna ricondurlo alla frontiera, passando per Cannes!
Tu l’hai sempre avuta l’arte di farti passare per vittima, come Cayatte, come Boisset, come Michel Drach, vittima di Pompidou, di Marcellin, della censura, dei distributori con le forbici, mentre invece sai sempre cavartela assai bene per fare quel che vuoi, quando vuoi, come vuoi e soprattutto conservare l’immagine pura e dura che vuoi mantenere, sia pure ai danni di persone indifese, ad esempio Janine Bazin.
Sei mesi dopo l’affare Kiejman, Janine si è vista togliere le sue trasmissioni, vendetta abilmente differita.
Kiejman non poteva pensare di parlare di cinema politico senza intervistarti, la tua parte – perché si tratta appunto di una parte – all’epoca consisteva ancora nel coltivare la tua immagine sovversiva, da qui la scelta di una frasettina ben piazzata.
La frase è detta; se passa, è tutto abbastanza vivace da non far sospettare che tu ti sia rammollito, se non passa, allora è lo scandalo: Gordard è sempre Godard, ecc.
Tutto va come previsto, la trasmissione non passa, tu resti sul tuo piedistallo.
Nessuno si accorge che la frase è un’altra bugia.
Se Pompidou mette in scena la Francia, tu tartassi il partito comunista e i sindacati, usando i modi (troppo diretti per le “masse”) della perifrasi, dell’antifrasi, della derisione, e questo in Crepa padrone, film destinato in partenza alla più ampia diffusione.
Se all’epoca io non ho voluto partecipare al dibattito su Fahrenheit, è stato per tentare di aiutare Janine, non per solidarietà con te, perciò non ho richiamato dopo la tua telefonata in quel perido.
Capita poi che il mese successivo Janine fosse all’ospedale, perché si era fatta investire da un’automobile durante la sua ultima trasmissione, operazione al ginocchio (zoppicava da quando era giovane, ecc.) e stava lì, all’ospedale, senza lavoro, senza soldi e naturalmente senza notizie di Godard che scende dal suo piedistallo solo di tanto in tanto per far divertire Rassam.
Allora, ti posso dire: più tu ami le masse, più io amo Jean-Piere Léaud, Janine Bazin, Patricia Finly (esce dalla cura del sonno, lei, e bisogna fare pressioni sulla Cinémathèque per farle avere i suoi sei mesi di stipendio arretrati), Helen Scott che tu incontri in aeroporto e a cui non rivolgi nemmeno la parola, perché, perché è americana o perché è mia amica?
Comportamento di merda.
Una ragazza della BBC ti chiama per farti parlare di cinema politico in una trasmissione su di me, l’avverto in anticipo che rifiuterai, ma tu sai far di meglio, le sbatti la cornetta sul muso prima di lasciarle finire la frase, comportamento elitario, comportamento di merda, come quando accetti di andare a Ginevra, Londra o Milano e poi non ci vai, per stupire, per sorprendere, come Sinatra, come Brando, comportamento di merda sul piedistallo.
Per un certo periodo, dopo il maggio ’68, non si sentiva più parlare di te, salvo voci misteriose: sembra che lavori in fabbrica, ha formato un gruppo, ecc.., poi, un sabato, l’annuncio che parlerai a RTL con Monod.
Resto in ufficio per ascoltare, per avere tue notizie in un modo o nell’altro; hai la voce tremante, sembri molto commosso, annunci che girerai un film intitolato La Mort de mon frère dedicato a un lavoratore nero malato che hanno lasciato morire nel seminterrato di una fabbrica di televisori e, ascoltandoti, malgrado il tremito nella voce, capisco che:
1) la storia non è giusta, comunque è truccata;
2) non girerai mai quel film.
E mi dico: se quel tipo aveva una famiglia e la famiglia vivesse d’ora in poi nella speranza di vedere il film?
Non c’erano parti per Montand lì, né per Jane Fonda, ma per ¼ d’ora tu hai dato l’impressione di “comportarti bene”, come Messmer quando annuncia il diritto di voto a 19 anni.
Vendi fumo.
Dandy.
Sei sempre stato un dandy, quando mandavi un telegramma a De Gaulle per la sua prostata, quando trattavi Braunberger da sporco ebreo al telefono, quando davi a Chauvet del corrotto (perché era l’ultimo a resisterti), dandy quando mischi le cose: Renoir-Verneuil, se non è zuppa è pan bagnato, dandy anche oggi quando pretendi di far vedere la verità sul cinema, quelli che fanno i lavori più oscuri, mal pagati, ecc.
Ma quando facevi preparare una scena, un garage o una boutique, dagli elettricisti e poi arrivavi:
“Oggi non ho idee, non si gira”, e quelli lì dovevano sbaraccare, non ti è mai venuto in mente che gli operai si sentivano completamente inutili e disprezzati, come i tecnici del suono che a Pinewood aspettavano invano Brando per tutto il giorno nell’auditorium vuoto?
Perché ti dico queste cose solo adesso e non tre anni fa, o cinque o dieci?
Per sei anni, come tutti quanti, ti ho visto soffrire a causa di (o per) Anna e tutto quel che c’è in te di odioso lo si perdonava perché stavi male.
Sapevo che avevi cercato di farti Liliane Dreyfus (ex-David) dicendole:
“François non ti ama più, è innamorato di Marie Dubois che recita nel suo film” e trovavo la cosa pietosa ma commovente, sì, perché no, commovente, al limite!
Sapevo che andavi a trovare Braunberger e gli dicevi
“Faccia fare a me l’episodio di Rouch, al posto suo” e questo mi pareva… diciamo patetico.
Passeggiavo con te su gli Champs-Élysées e tu mi dicevi:
“Sembra che Bébert et l’Omnibus non funzioni, ben gli sta” e io rispondevo “Suvvia, andiamo…”
A Roma mi sono arrabbiato con Moravia quando mi ha proposto di girare Il Disprezzo; ero lì con Jeanne a presentare Jules e Jim, il tuo ultimo film non aveva funzionato, Moravia voleva cambiare cavallo.
Per gli stessi motivi di solidarietà con te, mi sono arrabbiato con Melville che non ti perdonava di averlo aiutato a fare Léon Morin prete e cercava di farti del male.
A quell’epoca tu umiliavi Jeanne perché ti piaceva farlo o per compiacere Anna (la storia di Eva), tentavi un ridicolo ricatto con Marie-France Pisier.
Hai fatto girare in Les Carabiniers Catherine Ribeiro che ti avevo mandato io, e poi ti sei buttato addosso a lei come Charlot sulla sua segretaria ne Il Grande Dittatore (Il paragone non è mio), faccio tutto un elenco per ricordarti di non dimenticare nulla nel tuo film che dice la verità sul cinema e sul sesso.
Invece di far vedere il culo di X… e le belle mani di Anne Wiazemsky sul vetro, potresti fare il contrario, adesso che sai che non solo gli uomini, ma anche le donne sono uguali, comprese le attrici.
Ogni inquadratura di X… in Week End era una strizzata d’occhio agli amici: questa puttana vuol girare con me, guardate un po’ come la tratto: ci sono le puttane e le ragazze poetiche.
Oggi ti dico tutto questo, perché comunque malgrado il dandysmo offuscato da una punta d’acidità che traspare ancora da alcune tue dichiarazioni, pensavo che fossi cambiato, ma potevo pensarlo prima di leggere la lettera destinata a Jean-Pierre Léaud.
Se tu l’avessi chiusa, gliel’avrei data senza leggerla e mi sarebbe dispiaciuto, hai forse voluto darmi una possibilità di non fargliela avere…?
Oggi sei forte, ti si crede forte, non sei più l’innamorato che soffre, tu sei in possesso della verità sulla vita, la politica, l’impegno, il cinema, l’amore, è tutto molto chiaro per te e chiunque la pensi in modo differente è un porco, anche se tu stesso non pensi in giugno la stessa cosa che in aprile.
Nel 1973, il tuo prestigio è intatto, vale a dire che quando entri in un ufficio, ti si guarda in faccia per vedere se sei di buon umore o se sia meglio mettersi nell’angolino; talvolta acconsenti a ridere o a sorridere; dai del tu mentre prima davi del lei, ma il tono intimidatorio è sempre quello, e anche l’insulto facile, il terrorismo (che è un modo alternativo di leccare i piedi).
Voglio dire che non sono preoccupato per te, a Parigi ci sono ancora tanti giovani fortunati, col complesso di aver avuto la prima macchina a diciott’anni, che saranno felici di pagare il dazio dicendo:
“Sono io che produco il prossimo Godard”.
Quando mi hai scritto, alla fine del ’68, per pretendere 8 o 900mila franchi che in realtà non ti dovevo (Dussart stesso era shockato!) e hai aggiunto:
“Ad ogni buon conto non abbiamo più nulla da dirci”, ho preso tutto alla lettera; ti ho spedito la grana e, salvo due momenti di tenerezza (uno su di me infelice in amore, l’altro su di te all’ospedale) ho provato per te soltanto disprezzo, quando ho visto in Vento dell’Est la sequenza: come preparare una bomba Molotov e un anno dopo come ti sei sgonfiato quando ci hanno chiesto di distribuire per la prima volta La Cause du peuple nelle strade…
L’idea che tutti gli uomini sono uguali è teorica per te, tu non la senti davvero, perciò non riesci a voler bene a nessuno, né aiutare nessuno se non buttando qualche biglietto sul tavolo.
Un tale, tipo Cavanna, ha scritto:
“Bisogna disprezzare i soldi, soprattutto gli spiccioli”, e non ho mai dimenticato come ti sbarazzavi dei centesimi facendoli scivolare dietro gli sgabelli dei bistrot.
A differenza tua, io non ho mai pronunciato una sola frase negativa contro di te, sia perché ti attaccavano già stupidamente e in genere per motivi “collaterali” a quelli veri, poi perché ho sempre detestato i litigi tra scrittori o pittori, dubbi regolamenti di conti a mezzo carta stampata, e ancora perché ti ho sempre sentito geloso e invidioso, anche nei tuoi periodi di buona – tu sei supercompetitivo, io quasi per nulla – e infine c’era, da parte mia, dell’ammirazione, ho l’ammirazione facile, lo sai, e la volontà di esserti amico dopo che ti eri rattristato per una frase che avevo detto a Claire Fischer sul cambiamento dei nostri rapporti dopo l’esercito (per me) e la Giamaica (per te).
Non faccio mai grandi affermazioni, perché non sono mai tanto sicuro che non sia giusto il contrario, ma se adesso dico che tu sei una merda, è perché vedendo Janine Bazin all’ospedale e la tua lettera a Jean-Pierre Léaud, non ci possono essere dubbi in proposito.
Non deliro, non dico che Janine stava in ospedale per colpa tua, ma il fatto che era disoccupata, dopo 10 anni di TV, è direttamente legato a te e non te ne frega niente.
Amante di gesti e dichiarazioni spettacolari, altezzoso e perentorio, nel 1973 stai sempre sul tuo piedistallo, indifferente agli altri, incapace di dedicare qualche ora disinteressata per aiutare qualcuno.
Tra il tuo interesse per le masse e il tuo narcisismo, non c’è posto per niente e per nessuno.
Chi ti ha trattato da genio, qualunque cosa facessi, se non quella famosa sinistra elegante che va a da Susan Sontag a Bertolucci, passando per Richard Roud, Alain Jouffroy, Bourseiller, Cournot, e anche se tu sembravi impermeabile alla vanità, per causa loro tu scimmiottavi i grandi uomini: de Gaulle, Malraux, Clouzot, Langlois, alimentavi il tuo mito, rinforzavi il tuo lato più tenebroso, inaccessibile, caratteriale (come direbbe Scott), permettendo al servilismo di prosperare attorno a te.
Hai bisogno di recitare una parte e che sia una parte prestigiosa; ho sempre avuto l’impressione che i veri militanti siano come le donne di servizio, lavoro ingrato, quotidiano, necessario.
Tu sei come Ursula Andress, un’apparizione di quattro minuti, il tempo di far scatenare i flash, due o tre frasi a sorpresa e via, di ritorno a un comodo mistero.
Dalla parte opposta rispetto a te, ci sono i piccoli uomini, da Bazin a Edmond Maire, e poi Sartre, Buñuel, Queneau, Mendès France, Rohmer, Audiberti, che chiedono notizie degli altri, li aiutano a riempire il modulo della previdenza sociale, rispondono alle lettere, hanno in comune una cosa: si dimenticano facilmente di se stessi e si interessano di più di quel che fanno che di quel che sono o di quel che sembrano.
E ora, tutto ciò che è stato scritto, deve poter essere detto, perciò finisco come te: se vuoi parlarne, d’accordo,
françois
“Se io avessi, come te, mancato alle promesse della mia ordinazione, avrei preferito che fosse per l’amore di una donna, piuttosto che per ciò che tu chiami la tua evoluzione intellettuale”
(Il diario di un curato di campagna)
Tranquilli: noi non ci manderemo a quel paese e soprattutto non ci manderemo voi!
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