#articoli
L’estate più torrida da quando l’uomo ha inventato il termometro ci ha regalato un mezzo miracolo: The Nest (Il nido), a mio avviso il miglior thriller-horror italiano degli ultimi vent’anni.
Il regista è l’esordiente Roberto De Feo che ci racconta, attraverso una regia posata e immersiva, la storia di Samuel (Justin Korovkin), un ragazzo paraplegico che vive recluso in una tenuta insieme alla madre Elena (Francesca Cavallin).
Il motivo per cui Samuel viene tenuto completamente isolato dal mondo esterno lo sapremo soltanto alla fine, anche se è intuibile dai vari indizi che il regista e gli ottimi sceneggiatori seminano durante tutto il film.
I livelli di lettura di The Nest sono principalmente due.
Il primo è quello umano, in cui Samuel, da recluso succube della madre, scopre l’altro da sé attraverso una ragazza sua coetanea, Denise (Ginevra Francesconi), che irrompe improvvisamente e imprevedibilmente nella sua vita, e che sarà il motore della storia.
Attraverso questa ragazza, però, Samuel scoprirà anche se stesso.
La diversità di lei lo arricchirà e gli aprirà orizzonti nuovi.
Scoprirà emozioni diverse dalla solitudine luttuosa che pervade tutta la tenuta Villa dei Laghi, fino al finale catartico in cui finalmente la ribellione adolescenziale prenderà il sopravvento.
Ma in tutto questo dove sta l’orrore?
Dal punto di vista tecnico sicuramente sta in una fotografia eccellente, un commento sonoro angosciante da parte del mitico Theo Theardo e in una regia e un montaggio che rispettano i tempi giusti della narrazione, creando insieme un’atmosfera gotica che ricorda i migliori Bava e il primo Pupi Avati (e sarà interessante fare il confronto tra The Nest e il prossimo film di Avati in uscita il 22 agosto, Il Signor Diavolo).
L’orrore vero, però, dal punto di vista della scrittura, sta nel significato dichiaratamente politico di questo film (che è anche il secondo livello di lettura).
The Nest è un Bignami sul funzionamento del potere reazionario di cui siamo testimoni oggi.
La madre Elena che cerca di instaurare con la paura una nuova società all’interno della tenuta accentra su di sé il potere politico ed economico di Villa dei Laghi.
Rappresenta di fatto lo stato nazionalista, che in nome della sicurezza si isola dal resto del mondo, fondando il suo potere sulla menzogna e privando tutti i suoi abitanti della libertà attraverso la minaccia incombente del pericolo esterno.
Il cane da guardia di questo potere è il medico psicopatico della villa (Maurizio Lombardi).
Il medico reprime ogni tipo di dissenso e quando non ci riesce cerca di inglobarlo nel sistema, lobotomizzandolo, al fine di preservare il potere stesso e la sua riproducibilità.
Proprio come avviene in una società reale.
“Non c’è alternativa” ci sentiamo ripetere dagli anni '80, periodo a partire dal quale, a poco a poco, abbiamo deciso consciamente di rinunciare alle nostre libertà, finanche alla nostra umanità.
Ma The Nest è un film sul ritrovamento proprio dell’umanità, sul sacrificio, sulla sofferenza e sulla tortura contro cui bisogna lottare per liberarci dai tentacoli del potere, che ci vorrebbe addomesticati e privi di empatia, per riacquistare finalmente la libertà e i valori che ci rendono umani.
È vero, fuori c’è un mondo pieno di insidie, ma c’è anche del buono: solo attraverso la scoperta di ciò che è altro da sé, ripugnando l’isolamento, che si può vivere una vita piena.
The Nest è un film che, finalmente, si spera riapra i giochi a livello internazionale per il nostro Cinema di genere.
Le carte in regola ci sono, seppure qualche trascurabile difetto sia presente - come ad esempio qualche jump cut di troppo nel montaggio, un flashback evitabile verso la fine e un color grading forse un po’ troppo marcato.
Però Roberto De Feo entra ufficialmente nella lista dei nuovi registi da tenere d’occhio.
Vedere The Nest è importante, vederlo subito nella prima settimana di uscita lo è ancora di più.
Per avere la speranza di un Cinema migliore, indipendente e libero dai gangli della dittatura del marketing, che appesta le nostre sale con spazzatura irricevibile e che anestetizza le coscienze.
2 commenti
Davide
5 anni fa
Io onestamente sono uscito ampiamente deluso dal cinema e il fatto che sia un prodotto di nicchia, non la trovo una buona giustificazione. Non ho comunque parlato di buchi di sceneggiatura, ma se volessimo usare un termine io userei “sfilacciato” perché sembra continuamente che non sappia dove voglia andare a parare (ti racconto questo, no aspetta adesso un po’ questo, poi aggiungiamoci un pizzico di quest’altro ecc.). Onestamente se fosse stato il pilot di una serie tv l’avrei apprezzato, ma come film della durata di 1h e trequarti, non posso dire di aver visto niente che mi abbia colpito.
Ps: sono stato uno dei pochi che non ha mai esaltato “lo chiamavano jeeg robot” che per quanto sia migliore del film qua sopra descritto, non l’ho trovato il capolavoro che molti hanno esaltato
Rispondi
Segnala
Luca Buratta
5 anni fa
L'unica critica su cui posso darti ragione, effettivamente, è che sappiamo troppo poco su quello che ha spinto Elena (mi pare si chiami così) a rinchiudere tutti nella tenuta e instaurare quella sorta di regime. Con la scena finale gran parte degli indizi disseminati durante il film acquisiscono senso (tra cui anche le abilità di Denise, che se ha vissuto per quindici anni in mezzo ad un'apocalisse zombie è perfettamente normale che sappia sparare e sappia guidare - infatti chiede stupita a Filippo perché non abbiano insegnato a sparare a Samuel); alcune cose restano fuori o possono essere solo intuite; come si sia arrivati a quella situazione rimane nel mistero, ed in effetti è una situazione troppo estrema per essere data per scontata ed avrebbe meritato un approfondimento. L'intermezzo romance non era necessario, ma serve a dare un punto di contatto ai due personaggi, oltre che a distinguerli dagli altri, che hanno represso completamente i loro sentimenti. Il loro legame deve essere la spinta per fuggire e non piegarsi alla paura e al volere di Elena, che, per troppo amore o per troppa paura, ha creato quella campana di vetro. Personalmente, il finale mi ha divertito, mi aspettavo a un certo punto che il film virasse sull'ennesima storia di sette religiose, invece mi ha spiazzato. Dissento totalmente sul fatto che la narrazione sia confusa, dato che la trama in sé è molto lineare, semmai vengono sparsi indizi su ciò che gravita intorno ad essa.Tolta appunto la questione del come si sia arrivati a Villa dei laghi, non mi pare ci siano grossi buchi o incongruenze. Diciamo che siamo nei limiti della sospensione dell'incredulità che si deve concedere a film di questo genere, altrimenti non se ne esce più.
Sulla sceneggiatura, sì, è chiaro che non ci troviamo di fronte a nulla di sconvolgente, ci sono delle idee, alcune interessanti, altre meno, qualcosa si perde per strada. Sinceramente non ho provato il senso di imbarazzo di cui parli, né per ciò che si dicono, né per come se lo dicono, anzi ho trovato la ragazza molto naturale, ho visto molto di peggio in produzioni molto meno di nicchia. Penso che bisogna anche valutare il film per quello che è, un'opera prima, un prodotto di nicchia, senza grosse pretese ma comunque ben realizzato (non siamo ai livelli infimi dell'Argento degli ultimi anni, per dire... ecco). Già che c'è un gusto per le scenografie e i costumi, una fotografia curata e un sonoro fatto come si deve è un mezzo miracolo, per una produzione simile.
Tutto sommato spero abbia seguito, la storia peraltro si presterebbe benissimo ad un prequel/sequel/spinoff, magari proprio che spieghi come si arriva alla situazione iniziale di questo The Nest. Lo vedo come un primo passo, un po' come è stato per Lo chiamavano Jeeg Robot; qualche difetto c'è, ma l'importante era provarci e provarci in modo serio, e personalmente sono rimasto soddisfatto.
Rispondi
Segnala