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Big Little Lies 2 - Recensione: un familiare specchio rotto

La seconda stagione della serie HBO Big Little Lies continua a smascherare le apparenze della società americana

Sin da quando la HBO ha svelato il trailer 'It All Starts Here, incentrato sulle proprie produzioni in uscita nel 2019, è stato evidente per tutti che la seconda stagione di Big Little Lies sarebbe stata uno dei prodotti di punta del network, al pari di Chernobyl e, ovviamente, dell'ultima stagione di Game of Thrones

 

L'hype attorno alla produzione capitanata da David Auge era interamente fondato su elementi solidi come il successo indiscusso di critica e pubblico della prima stagione, la riconferma totale dello straordinario cast e le aggiunte di tre nomi come quelli di Meryl Streep, di Liane Moriarty - l'autrice delle opere da cui la serie è tratta - in veste di co-sceneggiatrice - e di Andrea Arnold, regista capace di vincere per ben tre volte il Premio della Giuria al Festival del Cinema di Cannes.

 

[Un piccolo ripasso di ciò che abbiamo visto e ciò che ancora ci aspetta in Big Little Lies]

 

 

Malgrado le premesse, però, continuare a proporre un prodotto di qualità comparabile a quello della stagione diretta da Jean-Marc Vallée era tutto meno che scontato: l'arco narrativo attorno alle Monterey's five sembrava essersi per certi versi chiuso con il climax finale della prima stagione e, proprio per questo, Big Little Lies aveva bisogno di restare coerente e al contempo di evolvere per mantenere il proprio elevato standard. 

 

 

[Come potete notare la prima stagione di Big Little Lies non era andata malissimo]

 

 

In questo, la seconda stagione di Big Little Lies riesce perfettamente.

 

Dopo aver scandagliato le ipocrisie, le tensioni e i segreti di un'apparentemente tranquilla e opulenta piccola comunità statunitense come Monterey (microcosmo in proporzione degli interi USA), la serie passa a puntare con naturalezza la propria lente di ingrandimento sulle crepe strutturali presenti sulla colonna fondante della società americana: la famiglia.

 

Se nella prima stagione le protagoniste della serie avevano il compito di rappresentare in che modo il dualismo marcato tra un'apparenza serena e un'interiorità tormentata agisse nella collettività della comunità, nella seconda stagione a ciascuna delle attrici del cast è assegnata una propria storyline quasi completamente slegata dalle altre: deviazioni molto differenti del medesimo percorso chiamato "famiglia".

 

 

 [Una delle immagini iconiche diffuse da HBO per sponsorizzare il suo Big Little Lies]

 

 

Dopo gli eventi conclusivi della prima stagione, dunque, Nicole Kidman, Shailene Woodley, Laura Dern, Reese Witherspoon e Zöe Kravitz si ritrovano a sommare la pressione derivante dalle indagini in corso con cinque piccole-grandi battaglie familiari: archi narrativi ben distinguibili che si sovrappongono poco e che svariano completamente tra le problematiche in cui i nuclei familiari possono imbattersi, dalle meno gravi alle più estreme.

 

In questo scenario si inserisce in Big Little Lies anche Mary Louise Wright, interpretata da Meryl Streep, la quale rappresenta perfettamente l'aspetto più conservatore, fintamente accomodante, tirannico e per certi versi contraddittorio della famiglia tradizionale statunitense: un personaggio che lascia trasparire un - tutt'altro che velato - messaggio politico, che spiega il motivo per cui la schieratissima Streep abbia deciso di tornare a recitare sul piccolo schermo.

 

La sua interpretazione rappresenta anche una delle migliori prove recenti della prolifica e sempre bravissima attrice, che fonda il proprio approfondimento psicologico sull'ambivalenza del suo personaggio e lo colloca perfettamente nel clima di una stagione in cui gli eventi di impatto sono molti di più che nella prededente.

 

 

[La famiglia nella famiglia: Big Little Lies evolve ma resta coerente] 

 


In un contesto simile, anche quella continua attenzione all'apparire che caratterizzava le protagoniste nella prima stagione viene messa a dura prova. 

 

L'evoluzione narrativa, carica di logorante tensione sottesa, porta le interazioni tra i singoli personaggi a essere più rarefatte e meno profonde: il tutto in perfetto contrasto con l'apparenza delle Monterey's five, che in pubblico si presentano sempre compatte.

 

L'ennesima menzogna di una serie che, in una delle sue battute-chiave, non ha paura di rivelare che

"L'amicizia è la bugia".

 

Proprio la volontà - già esplicitata nel titolo - di continuare a mostrare le bugie come unico elemento collante nelle interazioni sociali dei propri personaggi è il trait d'union tra la prima e la seconda stagione di Big Little Lies.

 

La scrittura dell'intera serie, a cura della già citata Moriarty e di David E. Kelley, è inevitabilmente imperniata sulla dicotomia fra verità-bugia e si serve della vasta gamma di emozioni che da questa discende, senza mai eccedere.

 

 

Solo un paio di espedienti narrativi, entrambi presenti nella seconda metà della serie, sembrano un po' forzati rispetto allo svolgimento della trama ma nel complesso sono l'apparente equilibrio e la tensione sommersa a dominare una sceneggiatura solida e coerente con la prima stagione malgrado le evidenti differenze strutturali.

 

 

[Le Monterey's Five di Big Little Lies] 

 


Di questo materiale la regista Andrea Arnold fa un uso sapiente: la messa in scena curatissima, ma priva di virtuosismi fuori luogo, rappresenta perfettamente il dualismo tra apparenza patinata e tormenti sottesi che caratterizza la serie sin dal primo episodio. 

 

Il ricorrente uso del flashback ci permette di percepire le inquietudini delle protagoniste e la continua riproposizione dell'evento culminante della prima stagione - osservato attraverso ciascuno dei loro punti di vista - ci ricorda costantemente cosa realmente le renda così unite all'apparenza, ma poco capaci di sostenersi nella realtà dei fatti.

 

Tutto il cast, dunque, è chiamato a una prova di spessore, anche alla luce del cambiamento dell'equilibrio tra i personaggi: se la Celeste Wright di Nicole Kidman resta il primus inter pares dei personaggi della serie e la Renata Klein di Laura Dern ha lo spazio di cui necessita per mostrarci un po' del suo riconoscibilissimo overacting, le altre protagoniste sono chiamate a inserirsi senza sbavature in questo puzzle di storyline parallele.

 

 

[Zöe Kravitz immersa in uno dei monologhi più importanti di Big Little Lies: una prova maiuscola che la consacra definitivamente tra le giovani attrici hollywodiane in rampa di lancio]

 

 

Da un lato Madeline Mackenzie (Reese Witherspoon) e Jane Chapman (Shailene Woodley) si ritrovano a essere un po' meno centrali rispetto a quanto lo fossero nella prima stagione, riuscendo comunque a mantenere standard molto convincenti; dall'altra parte a Zöe Kravitz viene fatto dono di un personaggio notevolmente più colmo di emozioni e segreti come quello di una Bonnie Carlson che in questa stagione subisce una serie di importanti svolte narrative capaci di cambiare completamente la percezione che si ha di lei.

 

Big Little Lies, sin dalla prima stagione, ci è apparsa come uno specchio in frantumi, capace di restituirci il riflesso di tante immagini differenti nello stesso istante.

 

Big Little Lies 2 riesce a riflettere le figure apparentemente curate delle proprie protagoniste, ma anche di mostrarci le menzogne e le imperfezioni che contraddistinguono le loro vite.

I frammenti dello specchio rifrangono anche i nostri punti di vista sui rapporti sociali, sull'amicizia e sulla famiglia, svelandoci gli aspetti più sommersi di istituzioni e relazioni che, all'apparenza, si presentano pure e perfette. 

 

[Potrebbero non essersi chiusi tutti gli spiragli su Big Little Lies] 

 

 

Ogni frammento rappresenta un dettaglio che, sommato a tutti gli altri, inevitabilmente porterà a un crollo strutturale.

 

Il finale aperto è proprio una finestra spalancata sull'apparente crollo di alcune di queste menzogne, lasciandoci presagire che potrebbe non essere finita qui.

 

In Big Little Lies 3 l'America potrebbe veder smascherate le proprie bugie, ancora una volta, attraverso uno specchio esploso in pezzi.

 

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