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Sono passati più di 30 anni da quando l’Agente Speciale Dale Cooper premeva, per la prima volta su uno schermo TV in 4:3, il pulsante REC del suo registratore tascabile,
“Diane, 11:30 di mattina del 24 febbraio, sono quasi arrivato a Twin Peaks…”.
Spiegare oggi come mai Twin Peaks, show ideato da David Lynch e Mark Frost, abbia cambiato e rivoluzionato la televisione, segnando una TV Avanti Twin Peaks e una TV Dopo Twin Peaks, è molto complesso.
L’errore più comune è proprio quello della contestualizzazione storica.
Il pubblico, come tanti critici o aspiranti tali, dimentica, non solo quando si parla di Cinema e TV, di inquadrare le cose nel proprio tempo e conseguentemente di utilizzare la storia come metro e misura di giudizio.
Ciò genera un vizio di forma, portando molti a considerare una TV d’avanguardia, stantia.
Vi sarà capitato di consigliare lo show a qualcuno e poi sentirvi dire “hanno copiato X”.
Sarà inutile fargli notare che X è stato scritto e prodotto circa un decennio più tardi, poiché tempo e spazio, nella mente di uno spettatore che vive solo ed esclusivamente nell’esaltazione dei fenomeni e nelle mode, si piegano e si deformano fino a cessare di esistere.
Quindi, amici e amiche, si rende necessario fare un passo indietro al 1988 e capire in quali condizioni è nato Twin Peaks.
Piccolo schermo in tutto
Twin Peaks, prima di tutto, ha avuto il vantaggio di anticipare e fungere da manuale di istruzioni non soltanto per la moderna serialità ma anche per quella contemporanea, quella che porta attori e personalità di Hollywood a migrare verso il piccolo schermo al fianco di grandi nomi del Cinema.
Sul finire degli anni '80 il concetto di televisione era indubbiamente svilito rispetto a quello che abbiamo oggi e Hollywood, con il suo star system, si spaccava tra i divi del grande schermo e i Maestri del Cinema e le celebrità, spesso meteore, di quello piccolo.
La televisione era un mezzo popolare massificato che mirava, solo e unicamente, anche per via dei metodi di fruizione - scordatevi on demand e decoder elettronici che registrano i vostri programmi preferiti - a intrattenere il pubblico ma, soprattutto, a rassicurarlo.
Gli show che andavano per la maggiore erano le situation comedy, oggi note a tutti con l'abbreviazione "sitcom": Pappa e Ciccia, I Robinson, Genitori in Blue Jeans, Seinfeld e molti altri, dominano i palinsesti polarizzando il pubblico.
Il loro compito era quello di costruire storie semplici, fruibili a un pubblico vasto e di qualsiasi estrazione sociale, abbattendo ogni forma di divisione, sintonizzando un paese enorme come quello degli Stati Uniti d’America di fronte a un programma sul quale il pubblico poteva contare, come si fa con un vecchio amico.
Show come quelli sopracitati proponevano situazioni familiari scritte per essere nei tempi e inquadrate in una struttura che cristallizzava personaggi e situazioni nel tempo.
Non c’era evoluzione, se non quella necessaria a giustificare la crescita degli attori o dei baby attori, non vi era alcuna continuity e il tutto era costruito per garantire allo spettatore che, qualora si fosse perso una puntata del suo show, nulla sarebbe davvero cambiato, poiché il prossimo episodio avrebbe ripreso la sua ciclica esistenza.
Insomma, anche in show come MacGyver o l’A-Team, era perfettamente possibile perdersi un episodio, anche due, e non era certo come oggi dove ogni serie è un unico plot tessuto attraverso le stagioni.
Provate voi a cominciare a guardare Game of Thrones saltando gli episodi e ditemi poi se siete ancora motivati a vedere come prosegue.
L’unico format televisivo dotato di una continuity, per quanto semplicistica e quasi offensiva per l’intelligenza dello spettatore, era la soap opera: il genere più basso, la serie Z della D, del racconto per immagini.
Contestualmente la televisione, a fronte dei propri intenti, utilizza standard produttivi molto più dozzinali rispetto a quelli del Cinema e il sogno di ogni attore americano non era certo quello di comparire in TV, quanto più di sfruttarla per arrivare a qualche audizione migliore - in fondo proprio il nostro amico Leonardo DiCaprio ha cominciato recitando in Genitori in Blue Jeans.
Quando sul finire degli anni '80 la ABC inizia a cercare qualcosa di rivoluzionario da mandare in onda entra in contatto con David Lynch, genio emergente del grande schermo, e Mark Frost, penna giovane e ambiziosa di quello piccolo.
Per Lynch la televisione era solo un mezzo come un altro, non aveva nessuna spocchia rispetto a molti altri colleghi che non avevano sul groppone Eraserhead, le ricche nomination agli Oscar di The Elephant Man, il fiasco di Dune e l'ottimo - criticato - Velluto Blu, e quando pensava alla serialità cercava solo un approccio differente a un sistema di storytelling limitato dalla durata di un film.
Mark Frost lo seguiva a ruota e i due, partendo dal genere più svilito di tutti - la soap opera, che non a caso diventa componente di Twin Peaks stesso - iniziarono a buttare giù il soggetto per una storia seriale, accantonando completamente l’idea di rimanere negli stilemi del tempo.
Il progetto, il cui working title era “Passaggio a Nordovest”, viene presentato alla ABC nel marzo del 1988.
L’idea, che la ABC abbraccia entusiasta, si basa sull’omicidio di una reginetta del ballo, il cui cadavere viene ritrovato avvolto nella plastica sulla riva di un lago.
Scrivendo il pilot della durata di due ore, Lynch e Frost vomitano idee, focalizzandosi prima di tutto su una moltitudine di intuizioni visive che ossessionano il regista americano.
David Lynch è rimasto fortemente ancorato a quel concetto di studio di piccole comunità che è stato Velluto Blu, un lavoro profondamente interconnesso alla sua crescita nella provincia americana, caratterizzando prima di tutti i luoghi, le maschere e arrivando persino a disegnare una mappa, delineando la geografia di Twin Peaks.
Mark Frost, invece, è una sorta di tecnico della sceneggiatura, conosce i tempi e gli ingranaggi della comunicazione per il piccolo schermo e si preoccupa di dare forma alle idee e alla narrativa che Lynch sta fagocitando con tanto entusiasmo rendendole fruibili al pubblico massificato; cercate di comprendere, o forse ricordare, come Velluto Blu sia stato massacrato da tanti spettatori per via dei suoi contenuti, e come sarebbe stato impossibile rendere digeribile allo spettatore una serie, per quanto splendida si possa delineare l’idea all’interno del nostro immaginario, improntata su quella narrativa.
Nell’arco di un mese i due partoriscono la sceneggiatura del pilot di Twin Peaks.
Con un budget di 4 milioni di dollari e 22 giorni di riprese, David Lynch gira il pilot di Twin Peaks, trovando addirittura spazio per alcune intuizioni, come ad esempio l’utilizzo della signora Ceppo, che inizialmente avrebbe solo dovuto fare una comparsa, o l’accidentale creazione di BOB, interpretato da Frank Silva, scenografo sul set divenuto attore senza volerlo.
ABC, dopo aver visto il pilot, rimane esterrefatta e ordina immediatamente altri sette episodi, incaricando Frost e Lynch di supervisionare il progetto.
Da tenere fortemente in considerazione come Lynch, in quel periodo, avrebbe iniziato la lavorazione di Cuore Selvaggio, dando comunque il suo contributo attraverso delle dettagliate registrazioni audio che inviava agli autori del serial.
Twin Peaks va in onda negli Stati Uniti l’8 aprile del 1990 e il successo è istantaneo.
Welcome to Twin Peaks
A questo punto, dopo una piccola analisi storica e tecnica, vi starete forse ancora chiedendo perché Twin Peaks abbia avuto tanto successo.
Come anticipato in apertura, gli show televisivi erano chiusi in un circolo produttivo piuttosto limitato, utile a intrattenere quell’enorme massa di gente che usava la TV come distrazione utile a consumare il proprio pasto - nei supermercati li vendevano davvero, insieme a tavolini pieghevoli da piazzare di fronte al divano.
Twin Peaks, invece, portava lo spettatore in un luogo vivo, caratterizzato da posti riconoscibili, resi immediatamente iconici dai personaggi che li popolano, gettando le basi per un immaginario coinvolgente e così pregno di dettagli da fondare una mitologia unica e riconoscibile: il Double RR gestito da Norma e le sue torte deliziose servite dalla bella Shelly Johnson, moglie del pericoloso Leo Johnson; la stazione di Big Ed, innamorato di Norma e sposato con Nadine, una stramba rossa con una benda sull’occhio.
E ancora il Great Northern Hotel, gestito da Jerry e Benjamin Horne, due uomini d’affari folli e spietati; la stazione di polizia di Twin Peaks, bonaria rappresentazione dei poliziotti di provincia golosi di ciambelle e caffè nero, ammantati di maniere e codici d’onore, gestita dall’integerrimo e paziente sceriffo Harry Truman, seguito dalla svampita segretaria Lucy e dal goffo Andy.
Insomma, l’elenco è davvero lungo e i personaggi sono una miriade.
Spaziando dal distratto Peter Martell - interpretato da Jack Nance, attore feticcio di Lynch nonché protagonista di Eraserhead - passando per le misteriose dark lady Josie Packard e Audrey Horne, fino a toccare gli psicotici coniugi Palmer, genitori di Laura, lo strambo dottor Jacoby e i soprannaturali membri delle due logge.
Twin Peaks era dotato di una potente mitologia insita già nella struttura narrativa e che non era solo lore, ma componente funzionale all’ecosistema dello storytelling della serie.
Non esiste un personaggio che sia sprecato, inutile o trascurabile.
Tutti hanno un senso, tutti hanno uno scopo, tutti fanno parte di quella cittadina, replica della ruralità americana vera che è Twin Peaks, orbitando attorno al mistero centrale: chi ha ucciso Laura Palmer?
Lynch e Frost, nel caratterizzare la serie TV, sono tremendamente avanguardisti, ingaggiando lo spettatore non soltanto grazie alla continuity ma offrendo un intrattenimento variegato, che spazia dalla commedia leggera al thriller, immergendosi nel soprannaturale, nel grottesco e nel teen drama.
Twin Peaks copre un range di generi e pubblico incredibilmente vasto e lo fa splendidamente, prendendo la TV seriamente e raccontando al pubblico una storia intrigante, creando un legame tra il pubblico e i personaggi, evitando di mentire allo spettatore e descrivendo una ruralità leggera tanto quanto oscura e pericolosa.
La descrizione che fa Twin Peaks dell’America è tanto rassicurante quanto terrificante, soddisfacendo una certa morbosità insita nell’animo umano.
Nel 1990 Lynch e Frost mandano in prima serata sugli schermi televisivi mondiali uno show con un protagonista lontano dagli action man del grande schermo, legato fortemente a pratiche spirituali, non cristiane, e culturali, molto alte.
In Twin Peaks ci sono sesso, droga, prostituzione, tortura, omicidio, amori liceali, visioni e situazioni surreali, miti terreni ed eterei e guardando oggi al 1990, sembra incredibile che qualcuno ci sia riuscito.
David Lynch ha avuto successo portando la logica di un autore in televisione: dimostrando che, in quanto tale, a discapito del mezzo, gli sarebbe comunque stato possibile raccontare una storia memorabile.
Twin Peaks ha anticipato di 20 anni la televisione moderna, dimostrando come il mezzo poteva aprire gli orizzonti per espandere una storia che, per ovvi motivi, al cinema non avrebbe potuto trovare respiro.
Il piccolo e sottovalutato schermo in 4:3 dava la possibilità a un autore di portare il suo segno, dando libero sfogo a quella che era la propria voglia di prendere i giusti tempi per poter dipanare una storia più complessa.
Il regista dà sfogo a tutti i suoi archetipi narrativi, mettendo l’idea assoluta di Bene e Male a fare da sfondo alla storia, esplorando il lato nascosto dietro l’America dei prati ordinati, scavando nel noir con personaggi che sono tipici del genere, pur rappresentandoli in momenti diversi, creando una pre-dark lady come Audrey Horne e una post come Josie Packard e una iconica come Laura Palmer - quasi Black Dahlia.
Twin Peaks è quasi un posto che fa piacere visitare, che sembra esistere, che rende lo spettatore attivo e non più passivo e quasi anestetizzato sullo schienale reclinabile della sua poltrona.
La serie ha una voce, un taglio autoriale e, soprattutto, le musiche di Angelo Badalamenti, che con il tema di Laura e sigla di Twin Peaks ha composto uno dei temi più memorabili e spaventosi della Storia della televisione.
Molti, come il sottoscritto, provano un certo mix di sensazioni ascoltando anche solo poche note della sigla e, nonostante una diversa coscienza e capacità di analisi del mezzo, continuo a nutrire un certo sgomento, sorprendendomi per quanto sia ben costruita la commistione tra quelle immagini così serafiche e una melodia che si muove dal tormento oscuro all’ascensione angelica.
Twin Peaks, nel 1990, è un successo mondiale senza precedenti e cambia per sempre la televisione: guardato oggi, anche se non inquadrato nel suo tempo, il serial non è poi così invecchiato, sempre che vi caliate nell’idea di stare guardando… beh, uno show girato e ambientato nel 1989.
La prima stagione mandata in onda da ABC fu un successo enorme e i guai cominciano con la seconda stagione che, con il senno di poi, sembra divisa in tre atti proprio come un film.
La ABC voleva una serie TV rivoluzionaria e con Twin Peaks aveva avuto esattamente ciò che stava chiedendo.
Al tempo stesso il network si trovava tra le mani un oggetto alieno che non riusciva a comprendere fino in fondo, e un produttore odia e odierà sempre non avere il controllo delle sue creature.
ABC, in un ragionamento completamente controintuitivo, aveva paura che la formula di fruizione che aveva avvicinato il pubblico alla serie, ovvero uno show dotato di una continuità e di un mistero così grande da polarizzare il pubblico, generando delle isterie di massa che teorizzavano qualunque cosa sul colpevole del terrificante omicidio, avrebbe causato la fine della serie.
Erano convinti che il pubblico si sarebbe scoraggiato nel doversi sintonizzarsi ogni settimana su ABC per scoprire nuovi indizi sull’omicidio di Laura Palmer.
La rete fece quindi pressioni sui due autori affinché svelassero l’assassino.
La richiesta, come fu fatto notare da Frost e Lynch, non aveva alcun senso.
Immaginate se HBO avesse preteso dagli showrunner di Game of Thrones di svelare il finale della serie all’inizio della seconda stagione, per paura di perdere pubblico.
Come se la famosa madre di How I Met Your Mother fosse comparsa alla puntata 2x07.
Seppur partita sotto i migliori auspici, la seconda stagione venne funestata da alcuni contrasti tra i due creatori e la poca voglia di Lynch di sottostare alla rete, completamente estranea alle logiche di quel tipo di televisione e incapace di qualsivoglia forma di lungimiranza: una sorta di capitano ubriaco ritrovatosi, dopo una tempesta, al timone di un incrociatore spaziale piuttosto che dietro a quello del proprio vascello.
Lynch e Frost sono costretti, nel corso del quindicesimo episodio, a svelare l’assassino di Laura Palmer.
Un episodio ben sceneggiato, diretto da Lynch senza sbavature, enfatico e maledetto, ma anche pietra tombale dello show.
Twin Peaks lungo i successivi nove episodi prende una strada comoda e si siede su evoluzioni poco interessanti, privato dei segni autoriali, scivola in trovate da soap opera portando in scena la TV peggiore, costruita però con i soldi.
Gli ascolti vanno a picco e la ABC mette in atto una serie di terrificanti iniziative cercando di salvare il cadavere, sempre più freddo e rigido, di una creatura mitologica che loro stessi hanno ucciso in preda al panico più assoluto.
Alcuni caratteri diventano quasi antipatici, ridondanti, perdono se stessi e si appiattiscono, l’introduzione di Heather Graham e Billy Zane è forse una delle mosse più disperate mai viste in televisione e Twin Peaks diventa quasi una pallida imitazione di sé e, paradossalmente, verrà copiato per lungo tempo proprio nelle sue parti peggiori, considerato appunto che il piccolo schermo impiegherà circa un paio di decenni a metabolizzare le proprietà della serie.
Per questo e altri motivi Twin Peaks viene condannato alla chiusura e anche un estimatore come il sottoscritto, quando si cimenta in febbricitanti rewatch, trova davvero insostenibile il blocco centrale della seconda stagione.
David Lynch viene richiamato per tentare di salvare la sua creatura, dalla quale si era allontanato con un certo disgusto e irritazione, solo per l’episodio 29, quello finale, che diventa uno dei migliori della serie e regala al piccolo schermo un cliffhanger storico, ampliando il mito della loggia nera e riconnettendo, finalmente, Twin Peaks a se stesso.
Sfortunatamente lo show entra in coma, pur rimanendo un mito della televisione e uno di quegli show che ha fatto scuola a una generazione di sceneggiatori e senza il quale non avremmo avuto serie come The X-Files, Breaking Bad, True Detective e l’ondata di prodotti che ha generato il fenomeno della primavera delle serie TV.
Uno show che, come capita spesso con chi lascia il segno, è stato per molto tempo imitato maldestramente, senza capirne i pilastri portanti, e che anche oggi rimane quasi unico nel suo genere, poiché non esiste uno show originale, di pura fantasia e pensato per la televisione, dotato di quella potenza e così fortemente inquadrato in una propria iconografia.
Per chi scrive, concettualmente soltanto Breaking Bad è stato così forte da aver riempito le orme di Twin Peaks, imponendosi sul pubblico con personaggi, storia e un segno autoriale riconoscibile tanto nella narrazione quanto nella messa in scena e nell’intera caratterizzazione dei personaggi e nel mondo nel quale si muovono.
Twin Peaks è una serie che consiglio a tutti di vedere, con la premessa di aspettarsi una seconda stagione davvero poco brillante in molte parti.
Serve a capire come si crea da zero un mondo, come si sfrutta un mezzo limitato sfruttandone i confini, come si può dare un segno autoriale in qualsiasi tipo di creazione, lasciando a sedere i preconcetti e dimostrando come un mezzo popolare come la TV possa servire a creare un prodotto massificato memorabile e non obbligatoriamente svilito per paura di non essere compreso.
Guardate Twin Peaks.
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9 commenti
Alessandro Dioguardi
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
The Return l'ho vista e rivista e poi ne ho letto e poi l'ho rivista praticamente in una condizione di ritiro mistico totale ed assoluto.
E' davvero difficile parlarne, siamo davvero troppo nei tempi, eppure è importante farlo per comprendere dove è arrivato quell'uomo meraviglioso.
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
Immagina questa cosa mentre accarezzo un gatto che miagola al contrario.
Arriverà ma è tostissima.
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Benito Sgarlato
5 anni fa
"Quella che osserviamo non è l’essenza della natura, ma la natura sottoposta al nostro metodo inquisitivo"
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
Tu ti chiederai: lo hai compreso tu? Sei genio?
No. Assolutamente no ma l'ho studiata avidamente e non vedo l'ora di parlarne per condividere quanto ho compreso.
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