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Green Book è il diminutivo che veniva dato al The Negro Motorist Green-Book, una pubblicazione nata per le persone di colore che vivevano negli Stati Uniti dove venivano indicati gli alberghi, i ristoranti, le aree di servizio a loro dedicate e dove non avrebbero trovato cartelli tipo "Si servono solo clienti bianchi" o "Non si servono cani, negri, messicani".
Non era il medioevo e neppure l'epoca della schiavitù: il Green Book venne pubblicato dal 1936 fino al 1966, due anni dopo l'entrata in vigore del Civil Rights Act, la dichiarazione dei diritti civili che nel 1964 poneva fine alla discriminazione e alla segregazione razziale negli USA.
Dando eguali diritti alle persone senza distinzione di colore, razza, religione, sesso o nazionalità.
Le leggi Jim Crow nacquero a partire dal 1865, dalla fine quindi del periodo legale della schiavitù negli Stati Uniti: erano leggi statali e federali che di fatto mantenevano l'uomo bianco in una posizione privilegiata e tenevano a distanza l'ex schiavo che era di fatto impossibilitato ad integrarsi nella società ed era quindi liberato, ma non certo libero.
Se la società statunitense soffre ancora oggi di casi di razzismo estremo e di frange violente, che sostengono la superiorità di una razza sull'altra o che covano vendetta, se i casi di poliziotti bianchi che sparano a giovanotti neri sospettati solo perché neri, se gli scontri nati dalle manifestazioni dove si grida ad alta voce che le Black Lives Matter portano a dei morti, se tutto questo fa ancora parte della quotidianità di quella a cui piace definirsi da sola "la democrazia più bella del mondo", beh...
Le cause sono da ricercare in una legislazione che ha cambiato le cose poco più di 50 anni fa.
Che nella Storia di una nazione che ha scritto la sua dichiarazione di indipendenza nel 1776, equivale a dire l'altroieri.
Green Book è anche, ovviamente, il titolo del nuovo film di Peter Farrelly, con Viggo Mortensen e Mahershala Ali.
Leggere la premessa e accostarvi il nome del regista e sceneggiatore di film come Scemo & + Scemo, Tutti Pazzi per Mary o Io, Me e Irene potrebbe far alzare qualche sopracciglio.
Così come leggere che uno dei tre sceneggiatori è Brian Hayes Currie, già "penna" su film come Armageddon e Con Air.
E avrebbe fatto alzare anche entrambe le mie sopracciglia, se solo avessi saputo tutto ciò prima di entrare in sala a vedere il film.
Invece l'ho saputo sui titoli di coda, per colpa di una fretta che mi ha fatto andare a vedere l'anteprima stampa del film senza minimamente informarmi in merito e consapevole della sola e unica presenza di Mortensen nel cast.
Non sapevo quale fosse la storia.
Il periodo storico.
Il co-protagonista, il regista.
Nulla.
E probabilmente è stata anche questa sorta di ignoranza totale e di sorpresa continua durante la visione a farmi apprezzare davvero tantissimo il film.
Green Book si potrebbe definire come un road movie e allo stesso tempo un buddy movie.
La storia è tratta da un evento successo nella realtà: Don Shirley (Mahershala Ali) è un musicista, un pianista raffinato, elegante e colto che decide di fare un tour con il suo trio nel profondo Sud degli Stati Uniti.
Sa a cosa va incontro facendolo negli stati più razzisti d'America, ma scopriremo presto che ha uno scopo.
Dopo un rapidissimo e alquanto anomalo colloquio di lavoro, trova l'autista che sta cercando in Tony "Lip" Vallelonga (Viggo Mortensen), un uomo che sta praticamente ai suoi antipodi: italoamericano, razzista, sboccato, ignorantello e manesco, sciatto e con una sfrenata passione per l'atto di cibarsi delle cose più grasse e unte sulle quali ha occasione di mettere le mani.
Tony deve trovare lavoro perché ha appena perso quello di buttafuori in un night e, nonostante le iniziali ritrosie di entrambi, il viaggio avrà inizio.
A prima vista sembrerebbe un A Spasso con Daisy a ruoli invertiti, ed è facile fin da subito presumere che strada prenderà il film: non credo di spoilerare niente a nessuno se dico che il percorso dei due personaggi così diversi all'inizio li vedrà poi trasformarsi e imparare ognuno qualcosa dall'altro.
Un classico.
Ma come spesso accade - in fondo, stringendo, le storie che si possono raccontare non sono poi così tante - non è il cosa che importa, ma il come.
Currie, il regista Farrelly e Nick Vallelonga - vero figlio del Vallelonga del film - riescono a scrivere una sceneggiatura che tratteggia innanzitutto due protagonisti strepitosi, interpretati perfettamente da Ali e Mortensen con una chimica tra i due che è percepibile fin dalla prima inquadratura in coppia e che è in grado di coinvolgere anche la sala cinematografica accanto migliorando qualunque film stiano dando altrove nel multisala.
I due opposti che si respingono ma poi imparano a conoscersi, se sulla carta possono sembrare una delle cose più banali della drammaturgia, qui funzionano dall'inizio alla fine, si ride tantissimo a causa dei loro contrasti anche evidenziati da due diversissimi modi di recitare: se Ali interpreta il suo ruolo andando per sottrazione e restando il più possibile distante e distaccato, è Mortensen che con i suoi modi goffi e inopportuni deborda - anche fisicamente: una decina di chili presi da Viggo per il ruolo, tutti strategicamente piazzati sull'addome - e spinge alla risata, anche se spesso imbarazzata perché in fin dei conti sempre di italoamericano si tratta, e capita di riconoscersi in qualche stereotipo poco edificante.
Il tema, ovvio, della discriminazione razziale è presente nel film fin dall'inizio, quando vediamo Tony Lip buttare nella spazzatura due bicchieri da dove avevano semplicemente bevuto due idraulici di colore, in casa sua per dei lavori di riparazione della cucina.
Dal piccolo si passa sempre più al grande: i problemi incontrati sul viaggio che dovranno affrontare saranno sempre più complicati e dalle conseguenze sempre più pesanti, complice anche un altro tipo di discriminazione che si aggiunge a quella razziale e che si svela durante il film.
Green Book mescola abilmente la commedia e il dramma, e ripesca dagli anni '60 non solo l'atmosfera ma anche la comicità, con tante piccole running gag dedicate ai due protagonisti e alle - poche - situazioni esterne a loro: uno dei musicisti che suonano con Don Shirley è sovietico.
Vi lascio immaginare.
Non è secondo me un film perfetto, soprattutto a livello di resa visiva l'ho trovato finanche esageratamente pulito: la fotografia pastellosa e morbida è quella che abbiamo in testa pensando all'iconografia di quei tempi, l'epoca delle Cadillac e dei Drive-In, ma forse è poco coerente con ciò che si racconta, e l'atmosfera in generale a volte risulta stucchevole in qualche passaggio troppo carico di melassa.
Ma i due personaggi, e i loro due interpreti, valgono assolutamente la visione, lo sguardo su un'America malata col pensiero che ancora non sia guarita del tutto è ancora una volta necessario e senza dubbio in questo caso originale e diverso da film che recano in sé un discorso più smaccatamente antirazzista.
Un consiglio, che più che consiglio è un ordine: andatelo a vedere cercando e trovando una sala che lo proietti in lingua originale.
Viggo Mortensen riesce a essere un credibilissimo italoamericano, nei modi, nell'accento e anche nell'italiano parlato: un paio di snodi del film, tra cui uno abbastanza importante, sono costruiti proprio sulla questione linguistica.
Doppiati non avrebbero senso, e nel caso gli adattatori decidessero di battezzare un qualche dialetto meridionale per sottolineare quando Tony parla con "i suoi", la cosa non si reggerebbe in piedi perché... non si reggerebbe in piedi, fidatevi: per spiegarlo dovrei svelare una parte del film ed essendo questa una recensione spoiler free non posso farlo.
Non me ne vogliano i miei amici doppiatori, non me ne vogliano gli amanti del doppiaggio e non me ne voglia nemmeno Pino Insegno: ma sentire il trailer e ricordarsi il film con la voce di Viggo evidenzia che tra lingua originale e film doppiato parleremmo davvero di due opere diverse, proprio perché molto del film poggia sulle differenze tra i personaggi, e la lingua e gli accenti sono senza dubbio una parte importante.
E non si tratta di oltranzismo o di snobismo: è che, dopo aver parlato molto bene di un film, mi spiacerebbe se non vi dovesse piacere perché ne avete visto uno diverso.
Don Shirley/Mahershala Ali nel film dice una cosa meravigliosa, in un momento importante del film:
"Non si vince mai con la violenza, Tony: si vince soltanto quando mantieni la tua dignità".
Non violentate il film, mantenete la sua dignità.
Guardatelo e godetevelo come è stato pensato, e come chiunque lo stia riempiendo di riconoscimenti lo ha visto.
In poche parole: non discriminatelo solo perché diverso.
9 commenti
Francesco Alfi
5 anni fa
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Teo Youssoufian
5 anni fa
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ZERO
5 anni fa
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Davide Sciacca
5 anni fa
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ZERO
5 anni fa
Quindi diciamo che in teoria Don non avrebbe dovuto capire una mazza di quello che si dicevano Tony e i suoi amici perchè in originale parlavano proprio un'altra lingua. Capisco le esigenze di adattamento e doppiaggio ma anche se parlano quel simil dialetto, per me il loro dialogo rimaneva sempre piuttosto comprensibile (sarà che sono Siciliano quindi per me era semplice però comunque non credo di aver sentito niente che il personaggio di Alì non potesse capire o intuire). Alla fin fine la scelta di evitare una scena del tipo "ho capito tutto nonostante abbiate parlato nel vostro dialetto" come in originale forse è stata piuttosto sensata.
Peccato però in originale immagino che l'effetto sia stato di gran lunga più sorprendente... =/
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Davide Sciacca
5 anni fa
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Alessio Bottoni
5 anni fa
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Tiziano Perrini
5 anni fa
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Davide Sciacca
5 anni fa
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Cosa hanno usato per la parlata di Tony? Dialetto? E quindi Shirley gli rivela di sapere il dialetto meridionale quando cerca di non farsi abbandonare per l'offerta dell'amico? O banalmente l'han doppiato tutto in italiano e bona?
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