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Le donne al balcone - Recensione: femminismo urlato e ribelle

Il nuovo film di Noémie Merlant si compone di generi e registri differenti per raccontare il femminismo di oggi, peccando di eccesso

Le donne al balcone è l’opera seconda di Noémie Merlant alla regia, presentata fuori concorso al 77º Festival del Cinema di Cannes.

 

In una Marsiglia terribilmente calda si dispiegano le bizzarre vicende di tre amiche: Élise (Noémie Merlant), attrice in fuga dal set in cui sta lavorando, Ruby (Souheila Yacoub) una disinibita camgirl che vive liberamente la propria sessualità e Nicole (Sanda Codreanu), un’aspirante scrittrice in cerca di idee per il suo romanzo.

All’interno dell’appartamento che fa da sfondo alla vicenda, le tre donne compiranno un processo di scoperta di sé stesse; tra risate, urla e lacrime, si appoggeranno l’una all’altra per cercare di rimanere a galla mentre il corso degli eventi le scuoterà.

 

L’incipit che apre il racconto è perfettamente calzante, si fa elemento premonitore di quella che sarà la storia: una donna che cerca di sfuggire allo sguardo del proprio marito, una donna che tenta di resistere. 

 

[Il trailer de Le donne al balcone]

 

 

Proprio di sguardo si parla ne Le donne al balcone.

 

Sguardi che indagano le vite altrui da una finestra all’altra in una cornice à la Finestra sul cortile, sguardi fuggevoli che si incontrano: nonostante le protagoniste siano costantemente sotto gli occhi del pubblico, sotto gli occhi dei vicini che le spiano dalle loro finestre, sembrano non far minimamente caso al fatto di essere osservate.

Non sfuggono allo sguardo, semplicemente lo ignorano volontariamente. Consapevoli di essere feticci, oggetti di sguardi, ribaltano la situazione diventano loro stesse voyeurs.

 

Tale spinta voyeuristica si percepirà al massimo livello quando le tre donne cominceranno a osservare, sempre meno fugacemente, la finestra di fronte a loro. 

 

La figura del vicino Magnani (Lucas Bravo), oltre a diventare focus di interesse, sconvolgerà la quotidianità delle tre protagoniste.

La comparsa dell’elemento maschile porterà a un cambio di registro nel film; Magnani sarà reso espediente per aprire tutta una serie di tematiche legate alla cultura dello stupro e al dilagare del patriarcato. 

Temi che la regista affronta, per gran parte della narrazione, con estremo coraggio, forza e lucidità.

La necessaria crudezza di alcune sequenze veicola un significato potente, una rottura delle logiche maschiliste, una rivendicazione dei diritti che le donne dovrebbero poter esercitare sul proprio corpo e sulle proprie identità.

 

Questo approccio, che si fa a volte estremo, porta con sé anche degli svantaggi: ogni singolo essere maschile che compare nella storia viene dipinto come una figura negativa che va a minare le libertà femminili.

Questo cosa vuole dirci esattamente? Che tutti gli uomini, nessuno escluso, sono colpevoli?

La tendenza a ostracizzare quella che poi, in effetti, costituisce una consistente fetta di pubblico contribuisce a mio avviso a togliere forza al messaggio generale.

A causa di ciò, Le donne al balcone rischia a tratti di sfociare in un femminismo delirante che si colloca fin troppo in una porzione di realtà astratta. 

 

Da metà film in poi la percezione è che Merlant metta in atto una sorta di sfida con lo spettatore. Una sfida volta a spingerlo a riflettere sulla realtà di oggi, sorprendendolo, offrendogli costantemente ciò che non si aspetta.

Intento lodevole e indubbiamente intrepido, ma forse estremamente ostentato. 

 

La sensazione generale è che, disseminati nel film, ci siano fin troppi punti su cui riflettere e che questa eccessiva abbondanza abbia portato a una sommarietà degli stessi.

 

 

[Una scena de Le donne al balcone]

 

Ciò che alimenta la confusione generale è una regia che si fa decisamente notare, forse troppo.

 

Lo sguardo che Merlant rivolge a sé stessa e alle altre protagoniste in Le donne al balcone è costantemente presente; zoom, fuori fuoco, macchina a mano che ispeziona: tutto appare finalizzato alla restituzione di un personale punto di vista.

Alcune sequenze, infatti, sembrano guidate da un vezzo registico piuttosto che da una reale necessità narrativa. 

 

Registri e generi diversi si intersecano: commedia, ghost story, splatter. Il fatto che Le donne al balcone non sia facilmente collocabile e ascrivibile a un’identità definita può essere, da una parte, un suo forte punto di forza, dall’altra un tallone di Achille. 

Chiediamoci: l’impossibilità di catalogarlo lo renderà un prodotto facilmente dimenticabile o, al contrario, indimenticabile?

 

Uno dei punti a favore de Le donne al balcone l'ho trovato nelle modalità di restituzione del corpo femminile, protagonista assoluto del film.

La regista lo riconsegna in tutte le sue forme, lo cattura con estremo realismo e lo rende oggetto di emancipazione personale e collettiva; il corpo viene posto quindi al centro anche di un commovente senso di sorellanza tra le donne che, scoprendosi simili e vittime degli stessi soprusi, si uniscono in un corteo ribelle, necessario, estremamente suggestivo. 

 

Il nuovo film di Noemi Merlant, scritto in collaborazione con Céline Sciamma, si rende portatore di una finalità ammirevole, ma lo fa secondo me scivolando nel troppo, nella volontà di strafare e a volte in soluzioni semplicistiche.

 

L’urgenza che la regista ha dimostrato, la spinta a voler dire la propria e a far sentire la propria voce, unite a tutta una serie di idee stravaganti e originali, sembrano ottime premesse per una terza prova alla regia che mi auguro sarà più convincente.

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