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Confrontarsi con un capolavoro della Storia della letteratura come Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e con l’ononimo film di Luchino Visconti, pietra miliare del Cinema nostrano e non solo, è un’operazione che a priori richiede coraggio.
Ci ha provato Netflix con un budget esorbitante - 40 milioni di euro - 5000 comparse, un centinaio di animali e un cast stellare.
Ci sono riusciti? Dipende dalla prospettiva.
Prima di proseguire faccio un paio di premesse: ogni opinione espressa è soggettiva e l’utilizzo di molti inglesismi è una scelta linguistica consapevole.
[Il trailer de Il Gattopardo]
Se la domanda si attiene alle views, all’hype, alle logiche dell’algoritmo, la risposta è affermativa.
Tutto ne Il Gattopardo targato Netflix è infatti un occhiolino ai trend: è Gen Z friendly, nel modo più glamour possibile.
Se la domanda è relativa alla godibilità del prodotto, anche: i sei episodi de Il Gattopardo, dalla durata di un’ora l’uno, scorrono piacevoli e risultano a tratti appassionanti, il comparto tecnico è minuzioso, con una particolare nota di merito per la colonna sonora di Paolo Buonvino, in pratica l’unico siciliano tra i principali fautori del successo mediatico della serie.
Se la domanda invece verte su longevità e confronto artistico con i modelli di riferimento, la risposta è negativa.
La storia è quella che noi italiani studiamo a scuola, un accenno per completezza: il principe Fabrizio Corbera di Solina (Kim Rossi Stuart) assiste al declino dell’aristocrazia siciliana durante il Risorgimento.
Suo nipote Tancredi (Saul Nanni) incarna lo spirito ribelle giovanile, ma anche una bruciante ambizione ed è scosso dai suoi sentimenti per Angelica (Deva Cassel), simbolo della borghesia in ascesa.
[Kim Rossi Stuart è Il Gattopardo, come Burt Lancaster nel 1963]
Proprio dal romanzo è stato coniato l’emblematico termine "gattopardismo": l’atteggiamento di chi finge di cambiare per confermare lo status quo; un particolare tipo di trasformismo, in sintesi, che vede nella Storia d’Italia tanti illustri rappresentanti.
Se nella trasposizione cinematografica di Luchino Visconti del 1963 la saga familiare e gli intrecci amorosi erano messi in scena come metafora del terremoto politico e culturale successivo allo sbarco dei Mille in Sicilia, nella serie TV del 2025 c’è un ribaltamento delle priorità: i mutamenti politici fanno da sfondo alla soap opera, in cui gli spettatori - soprattutto i più giovani - possono identificarsi.
È facile, o quanto meno comodo, giustificare con le logiche di mercato questa illuminazione accecante di tutte le ombre che fanno de Il Gattopardo un capolavoro letterario prima e cinematografico poi. Affermare invece che l’offerta e la domanda sono in cortocircuito è un terreno più scivoloso.
Se da un lato è vero che i giovanissimi sono il target più succulento, non si può negare che qualcuno deve pur prendersi le responsabilità dei prodotti di cui si cibano.
Non è una questione meramente didattica: nel momento in cui Netflix distribuisce l’adattamento seriale di un prodotto di tale spessore, per forza di cose ci sono ottime probabilità che nell’immaginario collettivo internazionale quell’adattamento sostituirà l’originale.
In un momento storico in cui il mezzo audiovisivo, in varie forme, non è solo filtro e rappresentazione della realtà, ma ne è anche il prolungamento, in sostanza un’esistenza che coesiste, i prodotti pop sono il primo manuale di istruzioni con cui leggere ogni formato video a cui ci approcciamo giorno dopo giorno.
Accorpare le stratificazioni e appiattire le ambiguità di un’opera complessa come Il Gattopardo - basti pensare alla rappresentazione dei Salina quasi come dei villain - vuol dire privarla del potere sovversivo e della trasversalità.
[Deva Cassel e Saul Nanni, coppia dentro e fuori dal set de Il Gattopardo]
La scenografia sontuosa e la fotografia da cartolina de Il Gattopardo restituiscono un lavoro minuzioso ma stantio, gradevole alla vista ma senza un guizzo artistico riconoscibile che possa esprimere a livello estetico i molteplici significati dell’opera.
In questa Sicilia da cartolina si muovono attori che, seppur competenti, sono figurine ritagliate dalla città e incollate nella campagna risorgimentale, che non hanno la cadenza né le movenze per sembrare integrati nel contesto.
Luchino Visconti proveniva da una famiglia aristocratica lombarda, ma simpatizzava con le idee marxiste; Tom Shankland, regista di quattro dei sei episodi dell’epopea marcata Netflix, ha letto per la prima volta il romanzo - il preferito di suo padre, docente di letteratura italiana - durante un viaggio in Sicilia.
Questo antefatto in parte spiega l’approccio romantico e vagamente macchiettistico del territorio e dei personaggi che si muovono in esso.
[Deva Cassel è Angelica, ruolo che nella versione de Il Gattopardo di Visconti era interpretato da Claudia Cardinale]
Deva Cassel nel ruolo di Angelica è magnetica, quasi eterea, non così diversa dalla vera Deva nelle interviste, non necessariamente per incapacità, ma perché la scrittura del personaggio sembra essere cucita per essere assimilabile alla sua persona pubblica.
La figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel è una dei tanti nepo babies (quelli che un tempo, in senso dispregiativo, si chiamavano “figli di papà”) che spopolano negli ultimi anni, una passione contemporanea tutta giovanile, che rivela una certa fascinazione verso il mantenimento dello status quo.
Degno di nota è il focus sul personaggio di Concetta (Benedetta Porcaroli) che da personaggio marginale, illusa e abbandonata, assume un ruolo centrale: gli sceneggiatori Richard Warlow e Benji Walters la trasformano nella traghettatrice che trasporta gli spettatori nella storia.
Seppur questa variazione del punto di vista sia interessante, sia per la rappresentazione del femminile sia per il suo ruolo nella descrizione dello scontro generazionale, non si può non vedere quanto si tratti di una scelta anche di comodo, che asseconda le dinamiche di mercato, il trend di eroine depoliticizzate, paladine dei diritti civili senza diritti sociali.
Visto e considerato quanto Il Gattopardo seriale si presenta apolitico è immediato riportarlo a questa dinamica.
[Benedetta Porcaroli è Concetta ne Il Gattopardo]
Il Gattopardo è a mio avviso un prodotto di intrattenimento ben confezionato, consigliato se si conosce il materiale di partenza o l’adattamento di Visconti, oppure se si cerca una versione più raffinata di Bridgerton: qualche moderno recensore anglofono potrebbe usare l'aggettivo gentrified.
Se cercate però un prodotto universale che racconti con arguzia le ambiguità e il trasformismo che emergono durante i periodi di grandi cambiamenti politici, allora forse è il caso di rivolgere altrove la vostra attenzione.
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