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The Light è il nuovo film di Tom Tykwer che ha avuto l'onore di aprire la 75ª edizione della Berlinale: una scelta di continuità, dato che è la terza volta che un film di Tykwer apre la kermesse ma anche simbolica, in quanto il film è una produzione tedesca realizzata proprio a Berlino, nella casa del festival.
In The Light Tykwer ritrova alcuni dei temi già trattati in un'opera ambiziosa come Cloud Atlas (co-diretto insieme alle sorelle Lana e Lily Wachowski): l'interconnessione profonda tra le persone, il Tempo e il suo potere, il ruolo del Caso.
Tali temi vengono ridimensionati in scala intima e familiare, con un racconto apparentemente semplice, ma ricco di suggestioni e trovate visive inventive.
[Il trailer di The Light]
Gli Engels sono una (a)tipica famiglia disfunzionale di Berlino: genitori liberali e disillusi dal matrimonio in crisi, figli adolescenti alle prese con la crescita in un ambiente indifferente.
Se ci avviciniamo con la lente d'ingrandimento vediamo le peculiarità: Milena è una donna che, a forza di voler dimostrare al mondo di potercela fare da sola, vive in uno stato di grande stress; Tim è un copywriter cinico e disinteressato, che maschera dietro la propria aria da intellettuale una grande insicurezza; Jon è totalmente assorbito nel mondo virtuale di un gioco, mentre Frieda preferisce passare il proprio tempo con gli amici attivisti in lunghe maratone di ballo e droga.
A complicare ulteriormente la situazione c'è Dio, bambino appassionato dei Queen e dotato di grande fantasia, nato da una relazione coltivata da Tim durante uno dei suoi frequenti viaggi in Africa.
La morte improvvisa della domestica di famiglia innesca una serie di eventi che porteranno gli Engels ad assumere Farrah, una donna siriana che, armata di uno strumento capace di portare il cervello a produrre DMT tramite la produzione di luce a intermittenza, finirà per stravolgere le loro vite e a dare un nuovo significato al termine "connessione".
[Una scena di The Light]
Tykwer conferma tutta la sua giocosità stilistica in The Light, un film che spesso flirta col rischio del ridicolo ma che spesso convince nei suoi incoscienti voli di fantasia.
Già dalle prime battute il regista tedesco permea il suo particolare ritratto di famiglia di mistero, introducendo i personaggi in modo peculiare e secondo la filosofia junghiana dell'autore che vede il mondo come una serie di profonde interconnessioni.
A ogni personaggio viene dedicato un momento di libertà, uno squarcio sulle possibilità offerte al di là delle gabbie del reale che gli stessi membri della famiglia si sono costruiti attorno: Tim vendendo l'anima al Capitale (il cognome Engels non è esattamente un sottotesto), Milena costruendo una fatica dietro l'altra con il solo obiettivo di dimostrare la sua forza nell'affrontarle, Jon rifugiandosi nella realtà virtuale e Frieda fuggendo il più possibile da casa, liberandosi dal fardello di dover crescere.
A fare da collante alla famiglia è Dio, che nella sua innocenza e libertà di usare la fantasia per ridipingere il mondo secondo le sue regole, svela agli Engels la prospettiva di un cambiamento; ma chi lo mette in moto è Farrah, visitatrice "pasoliniana" che nel suo essere esotica risveglia gli Engels dal torpore di una vita inautentica.
[Lars Eidinger è Tim in The Light]
Proprio il personaggio di Farrah rappresenta a mio avviso il punto debole di un film che, a forza di mettere carne sul fuoco, salva le polpette facendo abbrustolire i tagli più pregiati: quello del personaggio orientale dotato di "poteri magici" è un trope narrativo abusato che rivela uno sguardo europeo paternalistico sull'Altro.
A peggiorare le cose a mio avviso c'è l'utilizzo della tragedia siriana e del problema dell'immigrazione come chiave di volta ed elemento risolutore della crisi borghese: una leggerezza di presa di posizione politica che, seppur dettata indubbiamente da buone intenzioni, si rivela sin troppo ingenua e pericolosamente vicina a riaffermare il tema colonialista del white savior.
Il che è un peccato, visto che il messaggio progressista che Tom Tykwer vuole veicolare si perde nella traduzione.
C'è però comunque molto da apprezzare in The Light, che ha i suoi momenti più alti nella rappresentazione del rapporto tra uomo e tecnologia: Tykwer utilizza un'estetica di pastiche digitale gustosamente anacronistico per rappresentare la viralità dell'advertising diffuso e il mondo della realtà virtuale.
Come in altri suoi film, il regista di Lola corre si dimostra affascinato più che intimorito dalle nuove tecnologie che, anzi, vengono messe in dialogo con il mondo spirituale.
[La luce di The Light]
In The Light tutto è connesso, l'umano e il virtuale, il regno dei vivi e quello dei morti.
Per questo motivo Tykwer ci chiede: che senso ha disunirsi di fronte alla magia sotterranea che tiene insieme il gomitolo delle nostre vite?
Alla domanda risponde Dio - il personaggio del film, non quello del piano di sopra - riformulando la onnipresente canzone Bohemian Rhapsody dei Queen: non più "nothing really matters" bensì "everything matters".
In The Light tutte le domande sono poste in maniera creativa e sincera, ma le risposte sono a volte semplicistiche e confuse.
Il film di Tykwer rimane un film piacevole nonostante l'eccessiva durata di 162 minuti e un apprezzabile esempio di Cinema autoriale che va per la sua strada, senza guardare alle mode o a cosa sarebbe meglio dire e a come dirlo.
In The Light tutto ciò è un grosso pregio, ma anche un enorme difetto.
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