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Biancaneve e i sette nani: l'inizio della rivoluzione Disney

Il 4 febbraio 1937 esce al cinema Biancaneve e i sette nani, il capostipite dei Classici Disney, rivoluzionando il concetto di cinema d’animazione 

Il 4 febbraio 1938 esce al cinema Biancaneve e i sette nani, il capostipite dei Classici Disney, rivoluzionando il concetto di Cinema di animazione.

 

Che Disney, almeno all’inizio della carriera, fosse un genio è una cosa acclarata, e la discriminante che distingue uno bravo da un genio è l’ossessione.

 

Walt Disney è uno che si è ipotecato casa per portare a termine questo film. 

 

Molti suoi collaboratori, durante i tre anni di produzione, dal 1934 al 1937, se ne sono andati perché pensavano che fosse pazzo. Era un maniaco dei dettagli, ma soprattutto era totalmente ossessionato dal rapporto tra immagine e suono. 

 

[Il trailer di Biancaneve e i sette nani]

 

 

Si potrebbe discutere sul fatto che in Biancaneve e i sette nani ci siano troppe canzoni che rendono la narrazione a tratti poco scorrevole, ma il fatto che sia stata compiuta una rivoluzione a livello tecnico e creativo è un dato oggettivo.

 

Al di là del sincronizzare ventiquattro disegni al secondo con un nastro audio negli anni ‘30, quello che stupisce è come ogni movimento, ogni animazione, siano sempre accompagnati da un suono: dal piccolo uccellino che vola fino alla complessa scena dove otto personaggi ballano e cantano perfettamente a tempo di musica.

 

E a seconda del movimento, o della gag, viene associato un suono adatto: se c’è una gag che coinvolge le chiappe di un nano, il suono che viene usato è grave, se c’è un animaletto del bosco che si muove viene usato un suono dolce.

 

Queste cose oggi ci sembrano scontate, ma lo sono perché Walt Disney ottanta anni fa le ha codificate.

 

Biancaneve

 

A questo si aggiunge una rivoluzione dell’animazione tout court.

 

Prima di Biancaneve si prendevano i disegni dei fondali, degli oggetti in secondo piano e dei personaggi, li si appoggiavano su un tavolo da disegno e li si filmava.

In questo processo Walt Disney ha introdotto il Cinema, aggiungendo la profondità di campo.

 

Ha inventato la multiplane camera, cioè una torre in cui sulla cima c’era la macchina da presa e al di sotto venivano posizionati i vari disegni di cui è composta la scena, ma sfalsati in profondità su lastre trasparenti e non appiccicati uno sopra l’altro come veniva fatto prima.

In questo modo gli oggetti in secondo piano risultano sfocati e, quando la macchina da presa si muove, tutto si muove in modo coerente come una vera carrellata cinematografica, dando l’illusione della profondità.

 

Questa è stata la pietra miliare del cinema d’animazione. 

Anzi, è proprio qui che la parola Cinema si è cominciata ad accostare alla parola animazione.

 

Da qui in poi tutto sarebbe cambiato, chiunque si fosse cimentato nel cinema d’animazione dopo Biancaneve e i sette nani avrebbe dovuto fare i conti con un livello tecnico e creativo del genere.

 

 



Tutto questo però ha un prezzo, sia in termini puramente economici sia creativi.

 

Quando il budget si alza a dismisura, il bacino di pubblico a cui è rivolto il film deve essere il più ampio possibile per rientrare dei costi. 

 

Biancaneve ha richiesto tre anni di produzione e centinaia di persone al lavoro, facendo così lievitare il budget, inizialmente stimato da Disney in 250.000 dollari (che era comunque dieci volte tanto quello di un normale corto d’animazione), fino a un milione e mezzo, facendo guadagnare al film il soprannome di “La Follia di Disney”.

 

Con questi numeri non si poteva certo pensare di creare un film d’avanguardia puro, infatti la storia è tratta da una favola dei fratelli Grimm e portata a un grado zero di narrazione: una trama pura e semplice in modo da poter essere compresa da tutti, senza sottotesti o sottotrame.

 

La necessità di fare un film d’intrattenimento senza fronzoli era data anche dal contesto storico dell’epoca.

L’America era nel pieno della crisi iniziata nel 1929 dopo i famosi venerdì e martedì neri, quando la borsa crollò e causò, tra il ‘29 e il ’33, il fallimento di circa 5000 banche e 100.000 imprese, la diminuzione della produzione del 50% e l’impennata della disoccupazione al 25%.

 

C’è da dire, in realtà, che i poveri erano già poveri prima del ‘29.

La distribuzione della ricchezza era spaventosamente a vantaggio di chi gestiva le grandi corporazioni e a discapito dei lavoratori.

Incapaci di assorbire tutte le merci che venivano offerte dal mercato, questi si indebitarono a causa della politica di rateizzazione delle vendite sui beni di consumo con garanzia sul salario.

 

La differenza è che, da dopo il ‘29, molti, soprattutto gli afroamericani (i primi a essere licenziati), non avevano più un salario.

 

Per questo motivo è probabile che chi andava al cinema non aveva molta voglia di vedere film impegnativi, ma avesse voglia di evadere completamente da questa realtà disastrosa.    

 

 

 

 

Non a caso Sergej Ejzenstejn, insospettabile estimatore di Disney tanto da definirlo “Il più grande contributo all’arte americana”, definiva i suoi film una rivolta lirica.

 

Una rivolta condotta attraverso la fantasticheria e i colori, in contrapposizione alla vita grigia e incasellata vita degli operai americani, infelici, offesi e defraudati dal capitalismo.

E, continua il cineasta sovietico, allo spettatore piace questo spettacolo colorato e multiforme perché gli offre l’oblio, cioè un momento di assoluta negazione della sofferenza generata da uno stato classista.

 

Come se in quell’ora e mezza la lotta per la sopravvivenza venisse messa in pausa.

Purtroppo questa rivolta non comporta mai conseguenze perché non genera azione. È una ninnananna, un “sogno dorato”.

 

Nonostante questo, però, Disney non è mai propagandistico, non sta mai dalla parte dei magnati eludendo così le contraddizioni sociali.

 

Secondo Ejzenstejn, Walt Disney è al di là del bene e del male. È puro.

Per questo si può dire che la rappresentazione del personaggio di Biancaneve è sessismo involontario. Semplicemente Disney la caratterizza come una mamma degli anni ‘30 per far immedesimare meglio i bambini.

 

Se Biancaneve ci sembra una sguattera senza cervello che esiste solo in funzione dell’uomo è perché in quegli anni era così che veniva trattata la donna.

 

Non era Walt Disney ad essere un sessista: era tutta la società.

 

 

 

Biancaneve

 

Dal punto di vista narrativo, però, il problema è che nei libri di sceneggiatura, più o meno a pagina due, subito dopo la copertina, c’è scritto che non bisogna mai, per nessun motivo, creare un protagonista passivo, cioè un personaggio che non porta avanti la narrazione con le sue azioni. 

 

Biancaneve, invece, è esattamente questo.

 

Fa la sguattera nel castello della sua matrigna, se ne va, ma solo perché questa vuole ucciderla visto che non può accettare l’affronto mortale che Biancaneve sia più bella di lei.

Una volta persa nel bosco, dopo essersi fatta spaventare dai rami secchi, la povera ragazza trova la casa dei nani e, una volta compiuta la violazione di domicilio, si mette a fare quello che sa fare meglio: la sguattera, col benestare dei padroni di casa.

 

Lo fa fin quando un giorno bussa alla porta una vecchia che le offre una mela, e Biancaneve, non essendo in grado di intendere e di volere in quanto donna, la mangia e cade “come corpo morto cade”.

 

Per qualche ragione i nani la mettono in una bara di cristallo, ma a un certo punto spunta fuori il Principe Azzurro che quella mattina aveva deciso di andare in giro a baciare cadaveri.

 

Dopo un probabilmente non profumatissimo bacio a stampo, Biancaneve si sveglia e si avvinghia come un polpo all’uomo dei suoi sogni, e dei sogni delle mamme che hanno accompagnato i loro figli a vedere il film, che di peso la poggia su un cavallo bianco e la conduce verso il tramonto.

 

Dove l’aspetterà un enorme castello che dovrà pulire per tutta la vita mentre suo marito è in giro a perfezionare la tecnica Bill Cosby.

 

 

Biancaneve e il Principe

 

Oggi un film con una trama del genere verrebbe tacciato di maschilismo, necrofilia e incitamento alle molestie.

 

Ma se la storia è questa, perché il film funziona lo stesso?

La risposta è semplice: i nani. 

 

Disney fa con i nani quello che gli riesce meglio: gag a profusione una dietro l’altra.

Quando i nani sono sullo schermo tutto il resto non esiste, si ride senza sosta, hanno la comicità fisica di Buster Keaton e Charlie Chaplin unita a dei dialoghi esilaranti.

Fa ridere il contrasto creato dal fatto che sono dei vecchi, ma che si comportano come dei bambini in conflitto con la Biancaneve-madre.

 

Per cui il bambino che li vede si immedesima due volte: la prima perché ci vede se stesso, la seconda perché ci vede i nonni, la figura in assoluto più buona con cui i bambini hanno a che fare.

 

I tempi comici sono perfetti, le battute sono brillanti e i movimenti sono il risultato di anni di esperienza con le Silly Simphonies. I nani sono quelli che nel film fanno il lavoro sporco, non solo perché lavorano in miniera (dove estraggono pietre preziose che non hanno narrativamente nessun valore, riprendendo la tesi di Ejzenstejn per cui Disney non fa propaganda capitalista), ma anche perché si mettono in tasca il pubblico.

 

Non a caso i rari momenti di noia in Biancaneve subentrano proprio quando non ci sono loro. 

 

Insomma: chi odia i nani di Walt Disney o è senza cuore o è J.R.R. Tolkien

 

 



Nessuno odia i sette nani più di Tolkien, un professore dell’università di Oxford che diceva che il connubio fiabe-bambini era un incidente della Storia recente.

 

Uno che ha passato ore e ore nella biblioteca dell’università a studiare poemi epici finlandesi in lingua originale, che ha creato un universo da zero e ci ha messo dentro una razza di cui in letteratura non si parlava da secoli: i nani.

 

A settembre del 1937 esce la prima edizione de Lo Hobbit nel Regno Unito.

 

Due mesi dopo esce al cinema Biancaneve e i sette nani

 

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3 commenti

George Nadir

5 anni fa

Complimenti per l'estratto, aggiunge molto ad un articolo già di per sé entusiasmante. Grazie

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Enrico Tribuzio

5 anni fa

Un bellissimo arricchimento. Grazie mille.

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Enrico Tribuzio

5 anni fa

È molto giusto quello che dici. Difatti Walt per quelle scene della fuga nel bosco e il finale con la strega feces vedere ai suoi animatori i film espressionisti tedeschi, in particolar modo il Gabinetto del Dottor Caligari

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