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Ho immaginato Il gladiatore II come il ritorno a un passatempo giovanile da parte di Sir Ridley Scott: quel misto di attaccamento, nostalgia e una leggera mancanza di buonsenso che non ti permette di cogliere l’insensatezza del ritornare a un passatempo giovanile. Una minestra confortevole, ma riscaldata.
A scanso di equivoci chiarisco subito che Il gladiatore II mi è piaciuto, così come può piacermi un film di puro intrattenimento senza particolari velleità artistiche, ma che rispetta il proprio compito.
Un po’ come il film precedente, che forse negli anni è diventato nei nostri ricordi più grande di quanto non fosse.
[Il trailer de Il gladiatore II]
Mi preme aggiungere un disclaimer iniziale.
Ne sento l’urgenza dopo aver seguito a malincuore il livello di discussione molto basso che si è susseguito a ruota libera con l’uscita ravvicinata di una serie di film che personalmente ho apprezzato (pur riconoscendone i difetti laddove presenti) che si sono attirati commenti beceri e, a mio modesto avviso, esageratamente incarogniti, commenti che tutto contenevano tranne la voglia di parlare criticamente di un prodotto cinematografico che, nel bene o nel male, può lasciarci qualcosa.
Joker: Folie à Deux, Megalopolis e Parthenope sono tre film che sono stati subissati generalmente da critiche negative, estremamente polarizzanti, quasi si facesse a gara a chi ne parlava peggio.
"Critica" però non vuol dire "diffamazione", bensì "analisi" e un’analisi può anche portare a conclusioni negative, ma che necessitano sempre del rispetto e del mantenimento di toni civili nell’affermare la propria opinione. Cosa che, nel dibattito odierno di ogni tipo sembra essersi ormai perduta.
Che si parli di Cinema d’autore o di filmoni hollywoodiani, il discorso che ne nasce, dato anche da una profonda riflessione sulle dinamiche della narrazione, che sono poi ciò che ci trascina al cinema a seguire una storia per un paio d’ore, deve rimanere serio.
Non serioso, ovvero non carico di finta intellighenzia, ma rispettoso di ciò che, tutto sommato, amiamo fare insieme: parlare di Cinema tra pregi e difetti.
Questa mia paternale (che vi autorizzo anche a definire “pippone”) si applica anche a Il gladiatore II, del quale non voglio esaltare la bellezza e la bruttezza laddove non è presente né l’una né l’altra, ma che vorrei analizzare partendo proprio da Il gladiatore, tenendo conto dell’indulgente nostalgia che gli aleggia intorno e che porta molti spettatori a fare forse un confronto più emotivo che analitico.
Dico subito anche questo: per me Il gladiatore II è il degno figlio del primo, perché è uguale nella struttura, nel movente dei personaggi e nella squadra di lavoro alla base.
Mi rimane qualche perplessità sul finale, di cui discuteremo più avanti.
Forse solleverò un polverone, ma sarà la sabbia dell’arena più famosa del mondo.
[Il gladiatore II ci riporta nella Città Eterna]
Tutte le strade portano a Roma
Il caso, il destino, i meme su “quanto pensi all’Impero Romano”, l’età avanzata dei registi in questione - degli arzilli vecchietti che hanno fatto la Storia del Cinema - il rimuginare anni su un’idea prima di avere il modo di realizzarla, la voglia di fare creativamente ciò che si vuole senza rendere conto a nessuno.
Scegliete voi quale potrebbe essere la motivazione che ha portato Roma a essere presente in ben due film capitali di questo 2024: Megalopolis di Francis Ford Coppola e Il gladiatore II di Ridley Scott.
Il caso vuole (qui davvero) che prima de Il gladiatore II mi sia ritrovata a recensire proprio Megalopolis: direi che se prima non pensavo all’Impero Romano nemmeno una volta al mese, ho finito per avere Roma permeante da ogni mio metaforico poro e più ci rifletto più penso che la Città Eterna, nell’immaginario collettivo immaginifico e surreale, non morirà mai.
Roma quest’anno va di moda, ma a Hollywood lo è da sempre.
È quel mondo in cui tutto può succedere, talmente straripante che può accogliere narrazioni di ogni tipo, molte delle quali hanno spesso un fondo di attendibilità storica reale, ma che camminano a braccetto con altre che sono invece completamente inventate eppure plausibili nella loro stravaganza.
Non stupisce dunque che anche molti spettatori italiani, abituati all’eccesso delle produzioni hollywoodiane, abbiano finito per considerare pura invenzione le battaglie navali all’interno del Colosseo - le famose naumachie, messe in scena ne Il gladiatore II - salvo poi (ri)scoprire che sono accadute davvero e che forse i cari vecchi romani sono stati i primi statunitensi della Storia, in termini di eccessi spettacolari.
Tutto ciò al netto di inesattezze e invenzioni storiche che sono comunque presenti; non credo però che siano una grande sorpresa che debba sconvolgerci più di tanto.
Parlando di un Maestro come Ridley Scott non riesco a non vedere ne Il gladiatore II la voglia di divertirsi rispolverando un immaginario e una storia che nel 2001 gli valse ben 6 Premi Oscar® - tra cui Miglior Film - su 12 nomination e di ritentare (forse incurante dell’anacronismo e di quanto siano cambiati i tempi) l’operazione che nel 2000 fu un successo, ovvero quella di creare un peplum e renderlo di nuovo un blockbuster dopo che il genere in questione era stato abbandonato a seguito del declino della vecchia Hollywood, di cui Ben-Hur e Spartacus sono solo alcuni dei titoli più famosi.
Ne Il gladiatore il protagonista cade dalla sua posizione di privilegio, subisce perdite e soprusi, attraversa ogni difficoltà per risorgere sotto mentite spoglie nella capitale dell’Impero grazie al suo carceriere, tornare a essere un eroe e compiere la sua vendetta agendo nel frattempo come strumento per riportare Roma ai suoi fasti repubblicani. A capo di Roma, un imperatore macchietta.
Ne Il gladiatore II il protagonista perde la sua posizione di serenità, subisce perdite e soprusi, attraversa ogni difficoltà per risorgere sotto mentite spoglie (qui non intenzionali) nella capitale dell’Impero grazie al suo carceriere, compiere la sua vendetta e farsi più o meno volontariamente strumento per riportare Roma ai suoi fasti repubblicani. A capo di Roma, due imperatori gemelli macchiette.
Vi suona familiare?
[La ricostruzione di una naumachia ne Il gladiatore II]
Panem et circenses
Prima di andare al cinema a vedere Il gladiatore II ho voluto fare un bel ripasso del primo, per non lasciarmi sfuggire nulla.
Ha giovato molto, sebbene questo abbia significato passare sei ore immersa nella mente creativa di Ridley Scott. Poco male.
Mi soffermerò più avanti sulla trama, ma molto rapidamente perché è tutto molto prevedibile e non direi niente di nuovo anche a causa di quanto già ampiamente svelato nel trailer.
Mentre guardavo Il gladiatore non riuscivo a non pensare a quanto l’estetica di una delle più belle serie TV degli ultimi anni, Game of Thrones, sia debitrice del film di Scott; dopo essere uscita dalla sala de Il gladiatore II non riuscivo a non pensare a quanto questo film sia debitore di Game of Thrones per la stessa ragione, sebbene in maniera depotenziata rispetto alla profondità narrativa del Trono di Spade.
Estetica, caratterizzazione dei personaggi e spettacolarità delle battaglie credo che richiameranno, soprattutto a un pubblico più giovane, più Il trono di spade che Il gladiatore, ma credo che in realtà sia un meccanismo che si autoalimenta.
In ogni caso, questo permette a Il gladiatore II di avere terreno fertile nella manifestazione di un certo mondo pseudo-storico agli occhi del pubblico contemporaneo, rimanendo però sulla superficie senza sfruttare al meglio le potenzialità tridimensionali dei personaggi e della storia, aspetto in cui invece Game of Thrones è stata a lungo Maestra prima della débâcle finale.
Azzarderei quindi un paragone per cui sento già i tumulti: se Il gladiatore sta tra la sesta e settima stagione de Il trono di spade, Il gladiatore II è l’ottava, spettacolare a livello visivo ma con più di qualche problema di sviluppo di trama, che ti lascia l’amaro in bocca ma che ringrazi comunque per l’intrattenimento regalato (per quanto, secondo me, Il gladiatore II sia migliore dell’ultima stagione di Game of Thrones, ma questa è un’opinione personale).
Vediamo adesso cosa succede ne Il gladiatore II.
[Paul Mescal insieme a Peter Mensah ne Il gladiatore II]
Sono passati sedici anni dalla fine de Il gladiatore, dalla morte di Massimo Decimo Meridio e di Commodo.
Il sogno di Roma, l’idea del compianto Marco Aurelio, ciò per cui Massimo, Lucilla e i senatori avevano tramato e combattuto, si è perduto nella memoria e a capo di Roma ci sono adesso non uno ma ben due imperatori ai limiti della psicopatia, i gemelli Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger).
L’esercito romano guidato dal generale Marco Acacio (Pedro Pascal), si accinge a conquistare la Numidia, il cui popolo oppone invano resistenza. In Numidia troviamo tale Annone (Paul Mescal), pacifico agricoltore con doti da combattente, che proprio in battaglia perderà l’amata moglie Arishat (Yuval Gonen) e sarà catturato come schiavo dai romani.
Da schiavo Annone diverrà gladiatore nelle abili e inanellate mani di Macrino (Denzel Washington), raggiungendo l’arena più prestigiosa del mondo.
Nel frattempo Acacio, nuovo marito di Lucilla (Connie Nielsen è l'unica attrice del cast principale de Il gladiatore a fare ritorno nel sequel), viene riaccolto in patria come un eroe per la conquista della Numidia, mentre sogna di terminare il tempo delle battaglie e ritirarsi in pace con la moglie nella sua villa romana.
Annone lo schiavo mostra le sue abili doti di fronte ai gemelli imperatori, cominciando a conquistare il favore del suo padrone e del pubblico, ma si mostra subito troppo colto per essere un semplice agricoltore: cita infatti Virgilio, guadagnandosi il soprannome di scherno di “poeta”.
Nel Colosseo vince tutte le battaglie e attira l’attenzione di Lucilla, che nei suoi gesti e nel suo soprannome rivedrà qualcuno perso da tempo: Annone altro non è che suo figlio, Lucio Vero, che sedici anni prima lei mandò in Numidia per proteggerlo in quanto erede al trono e, dunque, in pericolo.
Numerose naumachie con squali e rinoceronti infuriati dopo, Lucilla incontrerà suo figlio: lui non la accoglie nel migliore dei modi, perché si è sempre considerato abbandonato da lei e dunque l’ha disconosciuta.
Mamma Lucilla ha però un asso nella manica: gli rivela che il grande Massimo Decimo Meridio, il gladiatore che Lucio bambino ammirava tanto, altri non è che suo padre.
Rigettare un’eredità così grande sarebbe da sciocchi e lentamente Lucio comincia a vestire (letteralmente) i panni del defunto padre, rimanendo anche invischiato nell’ennesima congiura del Senato contro gli imperatori, che, ahimè, oggi come ieri viene scoperta appena in tempo.
Per dare iterazione a quella del primo film, perché non richiamare Derek Jacobi nei panni di Gracco e poi dargli solo due scene?
Acacio, partecipe della congiura, verrà punito e messo nell’arena a combattere contro - sorpresa! - Lucio/Annone: Lucio desiderava la sua testa perché lo riteneva responsabile della morte della moglie, ma appena scopre che Acacio è non solo marito di sua madre ma anche un uomo d’onore decide di risparmiarlo.
Peccato che Acacio sarà giustiziato lo stesso per volere di Geta.
In tutto questo, l’abile Macrino tesse fili intrecciati e agisce solo per sé, riuscendo non solo a usare l’instabilità mentale di Caracalla per mettere zizzania tra i due fratelli, ma uccidendo insieme a lui proprio Geta e convincendo il rimanente imperatore a nominarlo console numero due.
Il numero uno è una simpatica scimmietta, Dondo, che Caracalla porta sempre con sé (e con sempre intendo solo nell'ultima parte del film. Prima dov’era? Non ci è dato saperlo, tranne per una fulminea inquadratura introduttiva).
Macrino sembra ormai invincibile e spietato ma Lucio, forte della filosofia di suo padre, decide di sfidarlo fino alla fine, soprattutto dopo che la madre Lucilla è stata giustiziata nell’arena perché colpevole di cospirazione.
Macrino e Lucio arrivano allo scontro finale, due eserciti si fronteggiano: Lucio avrà la meglio e con un discorso a effetto inviterà le due parti a deporre le armi, perché l’esercito di Roma è uno e uno soltanto e lo scopo condiviso è quello di proteggere la città e riportarla alla sua grandezza.
Stacco su Lucio nell’arena al tramonto mentre scava nella sabbia, ne prende in mano una manciata e come ultima dolorosa invocazione si rivolge allo spirito del padre Massimo, chiedendogli consiglio.
Fine.
[Denzel Washington è Macrino ne Il gladiatore II]
Fasti
Usando la bilancia di pregi e difetti, direi che Il gladiatore II mantiene la sua promessa nel presentarci uno spettacolo d’intrattenimento.
La fotografia, la regia e il montaggio ricalcano in pieno quelli del primo film e se per qualcuno ciò è un difetto poiché potrebbe indicare mancanza di progresso ed eccessivo confronto con quello che viene (esageratamente, a mio parere) considerato un capolavoro, è invece un pregio, perché mantiene inalterata la forma della narrazione e rimane all’interno del suo cosiddetto Cinematic Universe.
Il rischio di citazionismo al primo film qui non è nemmeno un rischio, ma un’intenzione chiara e semplice.
Non troverete frasi destinate a diventare dei meme come fu per Il gladiatore, ma è innegabile che tutta la narrazione de Il gladiatore II ruoti attorno a quelle. Ciò che però ho apprezzato è stato il tentativo (leggerissimo, ma ci accontentiamo lo stesso) di inserire più riferimenti alla letteratura romana, citando autori come Virgilio e Cicerone per voler dare così un’aria meno rozza ai personaggi di Lucio e Macrino.
Siamo ben lungi dall’uso delle citazioni e dallo stile di Francis Ford Coppola nel suo Megalopolis, ma ci ho trovato un senso logico nel voler dare forse un tocco microscopico di cultura.
I personaggi sono secondo me un altro punto a favore de Il gladiatore II: se il primo film aveva le figure polarizzanti di Massimo e Commodo, questo secondo è più popolato e ci regala delle performance interessanti e dei personaggi anche secondari destinati a rimanere nell’immaginario collettivo.
Primo fra tutti Macrino, interpretato da un Denzel Washington come sempre brillante e che, probabilmente, è il personaggio scritto meglio.
Parlavo prima di Game of Thrones e permettetemi di utilizzarlo ancora come esempio sperando di non farvi rabbrividire troppo: Macrino mi ha ricordato Ditocorto nel suo essere non doppio né triplo, ma quadruplo-giochista, mi sembra però superfluo aggiungere che la stratificazione del personaggio di Ditocorto qui non è affatto presente (come non lo è in tutti gli altri).
È più che altro un accenno, quanto basta per darvi un’idea. Laddove pecca la scrittura del personaggio sopperisce l'immensa esperienza di un attore come Denzel Washington.
Sfruttando ancora questa visione ho rivisto nel Geta di Joseph Quinn (presente effettivamente in Game of Thrones come una delle guardie di Grande Inverno) la stravaganza malata di Joffrey Baratheon e la ferocia folle di Ramsey Bolton, caratteristiche che condivide con il gemello Caracalla al quale Fred Hechinger ha saputo rendere giustizia con la sua interpretazione sopra le righe, ma perfettamente in parte.
Quinn e Hechinger sono giovani attori che hanno brillato nei loro ruoli precedenti: Quinn come un meraviglioso Eddie Munson nella quarta stagione di Stranger Things e Hechinger nei panni di un ragazzo emarginato dalla sua stessa famiglia nella prima stagione di The White Lotus; anche qui i due apportano la loro appena sbocciata bravura.
[I gemelli imperatori Geta e Caracalla ne Il gladiatore II]
Un plauso va anche all'ormai mitico Pedro Pascal nei panni di Acacio, il personaggio forse più coerente con sé stesso e che mi ha ricordato il compianto Ned Stark.
Curioso come proprio Pascal sia il collegamento perfetto con Game of Thrones, avendo indossato le tuniche di Oberyn Martell, la cui fama ha superato di gran lunga il suo screen time proprio grazie alla sua interpretazione ammaliante.
Pascal, a suo agio in produzioni action (è un Joel Miller magnifico in The Last of Us e sarà presto Mister Fantastic in The Fantastic Four: First Steps, dove ritroverà Joseph Quinn nel ruolo di Johnny Storm) affronta bene le scene d’azione senza spogliare Acacio della sua dimensione drammatica.
Come il povero Oberyn anche Acacio trova la sua fine in un’arena, in maniera meno cruenta ma non meno dolorosa.
Nonostante la bravura intrinseca degli interpreti, la differenza di scrittura dei vari personaggi è una cosa che si nota sin da subito, soprattutto in quelli che dovrebbero avere un approfondimento psicologico maggiore.
Se le direttive per interpretare un folle (gli imperatori gemelli) possono essere tanto ampie quanto valide in ogni sfumatura, dovrebbero essere più puntuali e specifiche per un personaggio che è un doppio, una figura dal passato segreto e che scopre la sua vera identità lungo il cammino dell’eroe.
[Pedro Pascal ne Il gladiatore II]
Nefasti
Veniamo al personaggio di Lucio/Annone.
Paul Mescal, nonostante la giovane età, è un attore galattico che ha fatto della sua grandissima capacità di creare personaggi complessi, stratificati, tormentati, forti e fragili, robusti ma sensibili la sua principale cifra stilistica.
Cito solo Aftersun ed Estranei come esempi, ma potrei continuare e invito tutti coloro che scopriranno Mescal con questo film ad andare a recuperare gli altri suoi lavori.
Questa è la sua prima partecipazione a un blockbuster e se nelle scene d’azione è davvero molto convincente, forte anche del suo passato da sportivo, in quelle emotive lo è paradossalmente di meno, pur conservando quella profondità nello sguardo che lo caratterizza particolarmente.
Com’è possibile se abbiamo appena parlato della sua immensa versatilità?
Il problema, ancora una volta, sta nella sua scrittura e, azzardo a dire, in come è stato diretto.
Lucio/Annone è il Jon Snow delle due ultime stagioni: un personaggio dal passato oscuro e dal forte onore, che combatte per ciò che è giusto ma che diventa piatto e insensato man mano che la storia procede. Ci chiediamo perché agisca in un certo modo e non reagisca di più in altre circostanze.
Tu non sai niente, Lucio.
Nemmeno noi però ci stiamo capendo molto.
Il fatto che la bravura di Paul Mescal non sia stata sfruttata al massimo delle sue potenzialità mi stupisce ma nemmeno troppo, perché sembra essere una costante nel modo di dirigere gli attori da parte di Ridley Scott, soprattutto quelli che hanno il ruolo di protagonisti.
Questo è un problema che secondo me aveva già Il gladiatore del 2000.
Russell Crowe, amatissimo interprete di Massimo, era molto bravo nelle scene d’azione ma molto meno delle proprie capacità in quelle drammatiche: la sequenza di lui che piange dopo aver scoperto la propria famiglia trucidata mi ha particolarmente colpito in tal senso.
Anche il formidabile Joaquin Phoenix, nei panni dell’odioso Commodo, non ha spinto la sua interpretazione oltre a quella di un piagnucoloso ragazzone con due espressioni lacrimose; sono sicura che avrebbe potuto fare molto di più.
[Paul Mescal ne Il gladiatore II]
Mettendo da parte un momento il Gladiator Cinematic Universe, pensiamo ad alcune delle pellicole più recenti di Ridley Scott e ai loro interpreti.
Di nuovo Joaquin Phoenix in Napoleon, dove la sua interpretazione imbolsita e stanca non ha brillato, o Adam Driver, uno dei migliori attori della sua generazione, che diventa quasi una macchietta in House of Gucci (a mio avviso un piccolo disastro per tanti altri motivi) e non è nemmeno il peggiore del cast.
Mi sento dunque di difendere gli attori in questo caso, perché se le loro potenzialità non vengono utilizzate al massimo la colpa è da imputare a come sono stati diretti.
Immaginate un attore come dell’argilla di ottima qualità e il regista come colui che deve lavorarla: da quell’argilla può originare della ceramica di finissima fattura o della terracotta modellata da un bambino: quest'ultimo caso è ciò che è successo ne Il gladiatore II con alcuni personaggi in particolare e il fatto che uno di essi sia il protagonista pesa di più nell’economia generale.
Ciò che secondo me dobbiamo accettare come presupposto è che forse a Ridley Scott nemmeno interessa dare questo spessore ai suoi personaggi, ma preferisce creare delle figurine, altrettanto godibili, per farti trascorrere due ore e mezza in compagnia della sua visione.
Se così fosse, bisogna mettersi l'anima in pace e guardare i suoi film con questa consapevolezza.
Sono troppi gli esempi che mi portano a questa conclusione.
[Il gladiatore II: Geta dileggia Lucilla (Connie Nielsen) dopo aver scoperto la congiura da lei ordita]
Non sento la Repubblica, René
Tutto ciò che si vede ne Il gladiatore II è reale, ovvero ricostruito fisicamente: il Colosseo è reale, le navi da battaglia sono reali, il pubblico dell'arena è reale, il rinoceronte è un esemplare meccanico poi rielaborato in CGI, mentre i babbuini della prima parte sono attori catturati in motion.
C’è però una patina di finzione che non si riesce del tutto a sollevare, forse perché gli effetti visivi, per quanto poco presenti, quando ci sono purtroppo si vedono.
Eppure proprio le scene d’azione, tanto le battaglie quanto i combattimenti corpo a corpo, sono le scene riuscite meglio e dove si nota che Scott sa ancora molto bene come si mette in scena una battaglia: sono particolarmente coinvolgenti e mantengono il ritmo, finché ci sono.
Nonostante Il gladiatore II si apra con la battaglia in Numidia, poi continui con le lotte gladiatorie e prosegua con una naumachia e riprenda con il duello tra Lucio e Acacio, a un certo punto infatti si ferma.
Da film d’azione si stagna in un film di spionaggio, mettendo troppa carne al fuoco per poi risolverla in un tempo troppo ridotto rispetto a quello impiegato precedentemente: se dividiamo il film in tre atti notiamo come i primi due si sostengano degnamente grazie alla trama e al ritmo narrativo, che ricalcano in tutto e per tutto Il gladiatore, mentre il terzo sembra perdersi verso un orizzonte così aperto che fatichiamo a vederne una chiusura.
Che infatti non ci sarà.
[Un rinoceronte entra nell'arena, in una delle sequenze d'azione principali de Il gladiatore II]
Il finale de Il gladiatore II è più aperto del tetto del Colosseo: non c’è una risoluzione, non c’è una vera logica che porti ad agire i personaggi nel modo in cui lo fanno, non c’è un reale senso compiuto in alcune scelte di trama.
Trovare un motivo a tale confusione è difficile, ma mi sono fatta un’idea: quando esce un film verso il quale provo particolare interesse, mi piace seguire il press tour e le numerose interviste (spesso ripetitive allo sfinimento) di cast e regista.
In una di esse Ridley Scott avrebbe affermato di voler realizzare un terzo capitolo che, alla luce del finale del secondo avrebbe anche senso fare se si vuole concludere la storia, ma di cui forse si poteva evitare l’eventuale esistenza sfruttando meglio la narrazione del terzo atto de Il gladiatore II.
Lungi da me voler fare scuola a Sir Scott, ma se questo fantomatico progetto si realizzerà mi dà quasi l’idea di essere l’espediente utilizzato da molti franchise degli scorsi anni - Harry Potter, Hunger Games, Twilight, Mission: Impossible - che hanno suddiviso in due parti l’ultimo capitolo della saga, apparentemente per dare maggiore ampiezza alla storia ma in verità per allungare i tempi di affezione al franchise e guadagnare due volte con una storia sola.
Non mi dà affatto il senso di Kill Bill Vol. 1 e Vol. 2, in cui la suddivisione aveva perfettamente uno scopo nonostante non fosse una scelta del regista.
Mi dà invece la sensazione che il caro vecchio Ridley non abbia ancora smesso di giocare al soldatino romano e che si divertirà un mondo a prenderci di nuovo per le orecchie e portarci, ancora una volta, nella sua personale arena.
[Lo spettacolare duello tra Lucio e Acacio ne Il gladiatore II]
Tirando le somme ha senso scatenare l’inferno contro Il gladiatore II?
Personalmente non credo: è un film godibile anche solo per le performance attoriali - quella di Denzel Washington su tutte - per i camei in differita di Russell Crowe (per chi è aficionado) e per la sequenza dei titoli di testa, realizzata con una tecnica di animazione molto interessante.
Ora che ci penso, ci sono anche due o tre frasi che potrebbero diventare memorabili col passare del tempo.
"La miglior vendetta è essere diversi da chi ha compiuto l’ingiuria", dice Marino citando Marco Aurelio.
"Pregate che il vostro Dio sia con voi. Se non lo è, non è un Dio", dice Lucio.
"Dove c'è morte non ci siamo noi. Dove siamo noi non c'è morte", recita il motto dei numidi, poi fatto proprio da Lucio e dai suoi compagni gladiatori.
Ciò che Il gladiatore II fa riecheggerà nell’eternità?
Probabilmente sì, anche solo per la martellante e ingegnosa campagna di marketing che sta facendo ottenere ottimi risultati al botteghino finora internazionale ma non ancora statunitense (negli Stati Uniti il film uscirà il 22 novembre).
Prevedo anche che avrà buone possibilità di essere uno dei protagonisti della imminente Award Season, Premi Oscar® compresi.
Se c’è riuscito Top Gun: Maverick, perché non dovrebbe riuscirci Il gladiatore II?
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