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The Girl With the Needle - Recensione: l'abisso che ci guarda - Cannes 2024

Lo svedese Magnus Van Horn approda in competizione al Festival di Cannes con un film tanto bello da guardare quanto cupo e disperato, ispirato a una terribile storia vera

The Girl With the Needle è il terzo film di Magnus Van Horn, quarantenne svedese che approda in competizione al Festival di Cannes a quattro anni di distanza da Sweat, sua opera seconda e selezionata nella sezione Newcomers dell'edizione cancellata dalla pandemia di COVID-19.

 

Magnus Van Horn firma forse il film più pessimista e cupo della competizione, un'autentica gioia per gli occhi messa al servizio del racconto dei più profondi abissi dell'animo umano, quasi come se Charles Dickens o Fëdor Dostoevskij avessero vissuto abbastanza da farsi ispirare da Freaks di Tod Browning.

 

[Una clip del film The Girl With the Needle di Magnus Van Horn, in competizione al 77° Festival di Cannes e distribuito internazionalmente da The Match Factory e MUBI]

 

 

La vita per Karoline (Vic Carmen Sonne), operaia di uno stabilimento tessile di Copenhagen, non è per niente facile: il marito Peter (Besir Zeciri) non è mai tornato dalla Prima Guerra Mondiale, il padrone di casa l'ha sfrattata e la donna riesce a malapena a guadagnarsi da vivere. 

 

Una relazione clandestina col padrone della fabbrica sembra diventare l'occasione per svoltare la propria vita, ma quando la donna rimane incinta l'uomo, temendo uno scandalo, la licenzia e abbandona al suo destino.

 

Disperata e senza risorse, Karoline incontra Dagmar (Trine Dyrholm), proprietaria di un negozio di dolciumi che fa da fronte a un giro di adozioni illegali di bambini abbandonati; legandosi sempre di più a Dagmar, Karoline scoprirà i più oscuri segreti della donna e toccherà con mano gli indicibili orrori di un Paese devastato.

 

 

[Un'inquietante inquadratura di Trine Dyrholm in The Girl With the Needle; il suo personaggio è ispirato alla serial killer danese Dagmar Overbye]

 

 

Tanto fresco, colorato e contemporaneo nei temi e nell'estetica era Sweat, quanto cupo e fuligginoso è The Girl With the Needle, con Van Horn che sposta l'orologio del suo Cinema di cento anni per raccontare una storia drammatica ispirato al caso di cronaca della serial killer di neonati Dagmar Overbye, condannata a morte nel 1921 e poi al carcere a vita, il cui processo ha cambiato la legislazione danese sulle adozioni.

 

In The Girl With the Needle Van Horn decide di lasciare la storia di Dagmar sullo sfondo, concentrandosi sulle difficoltà del personaggio di Karoline (la ragazza del titolo e il cui uso dell'ago è abbastanza da far venire i brividi) e del mondo in cui vive, fatto di luoghi insalubri, approfittatori, poveri e mutilati; tra questi vi è anche il marito Peter, sul cui corpo (e nella mente) vediamo i segni indelebili della guerra e che Van Horn rappresenta come un mostro del romanzo gotico, con tanto di maschera a coprire lo sfiguramento. 

The Girl With the Needle è un film tanto elegante nella messa in scena quanto perturbante nei temi trattati e nelle situazioni rappresentate; Van Horn sceglie di girare in bianco e nero e nel formato 1.5:1, il più vicino a quello della fotografia statica, prediligendo le inquadrature fisse ai movimenti di macchina e creando un montaggio interno ricco di dettagli mirati a immergere lo spettatore nella cornice storica dei quartieri poveri della Copenhagen del primo dopoguerra.

 

L'ouverture del film, con i volti dei personaggi che si fondono insieme in una maschera grottesca e indiscernibile, detta il tono di un'opera che fa della disperazione la propria bandiera, compiacendosi nel suo bieco pessimismo e trasformando la realtà in orrore.

 

Frederikke Hoffmeie crea un tappeto sonoro opprimente che guarda al lavoro di Mica Levi con Jonathan Glazer, uno dei tanti riferimenti che si possono cogliere in un film che, dopo una manciata di minuti, si permette il lusso di mettere in scena una replica al limite del plagio de L'uscita dalle fabbriche Lumière, primo film della Storia del Cinema.

 

 

[Vic Carmen Sonne in una scena di The Girl With the Needle]

 

Se la fattura di The Girl With the Needle è lodevole, la direzione che Van Horn vuole dare al film è a mio avviso poco chiara, spesso sembra che il regista "sguazzi" nella cinica disperazione della storia, senza però raggiungere la ricchezza artistica di autori come Michael Haneke e Lars Von Trier.

 

Capita spesso che Van Horne, coadiuvato dal direttore della fotografia Line Langebek Knudsen, si innamori un po' troppo di una bella immagine o di una situazione, distraendosi dalla storia per inseguire la perfezione estetica: il risultato è che il film appare poco concentrato, quasi un assemblamento di scene deprimenti consequenziali una all'altra, dove anche le motivazioni dei personaggi appaiono poco chiare.

 

The Girl With the Needle secondo me vuole essere troppe cose per diventarne una fatta bene: a volte pare prendere la direzione dell'horror psicologico, specie in seguito all'introduzione di Peter in scena, in altre sembra voler rappresentare la realtà delle classi povere nel primo dopoguerra come se fossero uscite da un grottesco freak show à la The Elephant Man, per poi tornare di colpo al dramma sociale o alla riflessione sulla maternità.

 

 

[La crew di The Girl With the Needle sul red carpet di Cannes all'anteprima mondiale del film]

 

Chi ne esce meglio sono gli attori, in particolare una Vic Carmen Sonne che porta sulle proprie spalle il peso di The Girl With the Needle: la performance della donna è coraggiosa e senza freni e il suo sguardo è quello di una donna che sembra sempre in punto di farsi una risata beffarda in barba alla disperazione. 

 

La Karoline di Sonne è uno dei tanti ritratti femminili visti quest'anno al festival, uno dei più drammatici e irrisolti; un po' come lo stesso film, che troppo spesso sacrifica la coerenza narrativa alla ricerca della bella immagine, ma che sa regalare un'atmosfera inquietante e prodiga di pugni nello stomaco. 

 

The Girl With the Needle "punge" con il suo cinismo e colpisce con immagini che sembrano colte dall'obiettivo di Joel Peter Witkin, rivelando in Van Horne un autore versatile con un certo gusto per il confezionamento degli shock. 

 

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