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Woody Allen arriva con Un colpo di fortuna al suo 50° film mescolando i tòpoi del suo Cinema e regalando un altro racconto cinico e comico al suo pubblico di riferimento.
È banale dirlo, ma sempre importate ricordarlo: il regista newyorkese conosce i suoi fan e confeziona di volta in volta film che possano accontentarli, ma questa volta a mio avviso non centra in pieno il bersaglio.
[Il trailer italiano di Un colpo di fortuna]
Un colpo di fortuna è la storia di Jean e Fanny, ricchi benestanti che vivono in un appartamento da favola a Parigi, colmi di amore uno per l’altra: l’incontro casuale che farà Fanny con un amico dell’università farà vacillare le cose; non vado oltre nel racconto della trama, perché ci ritroviamo in una specie di thriller sui generis che gioca con lo spettatore facendo crescere col tempo l’attesa del finale a sorpresa.
Allen analizza e studia ancora una volta i rapporti di coppia e la borghesia arricchita, quasi sempre con mezzi poco “ortodossi”, e le dinamiche che nascono da tutto ciò: sospetto, infedeltà, mistero, morbosità e sentimenti estremi.
Un colpo di fortuna diventa anche, purtroppo, attuale quando Jean dimostra di voler controllare la vita della moglie senza sconti, diventando ossessivo e possessivo mano a mano che la storia diventa più scura.
Un colpo di fortuna è una commedia sulla morte intesa non come fine vita, ma come la soluzione ai problemi di tutti, una morte che diventa salvifica e risolutiva senza essere per forza una cosa negativa.
Qualcuno ha paragonato Un colpo di fortuna al ben più riuscito Match Point ma da esso, a mio parere, si discosta per molti motivi: uno su tutti è il fatto di essere privo di quella passione, anche sessuale, che fa la fortuna del film del 2005, e uno svolgimento più “elementare” rispetto al suo predecessore.
I protagonisti sono anche qui belli, ricchi ed erotici, ma sia il loro agire che la loro cattiveria, insita in quasi tutti i personaggi alleniani, risultano sterili e più ordinari.
In Un colpo di fortuna mi è mancata una vera immedesimazione, quasi come se il regista volesse raccontarci un mondo che non esiste o che, meglio, è solo frutto della fantasia della sua mente. Potrebbe essere il nostro, ma forse anche no.
Potremmo conoscerlo, ma in lui non ci riconosciamo.
Il caso e la fortuna diventano il pretesto per ragionare sulla loro applicazione nella vita di tutti i giorni, ma se ci fosse veramente un’attenta analisi di ciò che le due cose portano forse avremmo visto un altro lavoro.
Tutto succede per arrivare a un finale freddo, che sembra un escamotage per voler per forza punire il cattivo di turno.
In Un colpo di fortuna manca la meschinità vera e propria che invece oggi è alla base della nostra società.
Allen racconta un mondo che forse non c’è, rifiuta di dare soluzioni e non ama fino in fondo i suoi attori. Rischia poco sia con lo spettatore sia con i suoi personaggi e la cosa non può che sembrare un momento di stanca o di crisi creativa.
Fotografato splendidamente da Vittorio Storaro, che restituisce colori e “profumi” degli ambienti esterni e degli interni volutamente fatiscenti, a mio avviso per Un colpo di fortuna basta un aggettivo per essere descritto, uno dei più odiati dai cineasti: carino.
Peccato.
[articolo a cura di Andrea Moschioni Fioretti]
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