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Se vi chiedessero di pensare a un solo film in grado di incarnare la definizione di kolossal, a quale pensereste?
Io non dovrei pensarci molto: la mia risposta sarebbe Lawrence d'Arabia.
[Lawrence d'Arabia: l'epitome del kolossal]
Il capolavoro di David Lean rappresenta la quintessenza dell'opera colossale, costruita su una storia larger than life, interpretata da stelle splendenti e sorretta da un impianto produttivo grande quasi quanto le gesta leggendarie che il film narra.
Si tratta, senza mezzi termini, di uno dei motivi per cui è nato il Cinema: raccontare grandi storie, far sognare gli spettatori, sovrastarli con la magnificenza delle immagini e creare un'eredità immune al tempo.
La vita di Thomas Edward Lawrence, la sua figura controversa e tetragona al contempo, il suo contributo alla Storia araba, il suo rapporto magico con il deserto e tutto ciò che lo ha portato ad essere conosciuto in tutto il mondo semplicemente come Lawrence d'Arabia sembravano elementi nati per finire sul grande schermo, questo è certo, ma la grandezza del film del 1962 non risiede solo nella potenza del suo soggetto.
Oltre sessant'anni, 7 Oscar e un'infinità di riconoscimenti dopo - tra i quali il 5° posto nella classifica dell'American Film Institute sul miglior film di sempre stilata nel 1998, il 7° posto nell'aggiornamento della stessa nel 2007 e il 3° posto tra le migliori regie di sempre secondo una classifica stilata dalla Directors Guild of America nel 2016 - possiamo tranquillamente affermare che Lawrence d'Arabia sia l'epitome del kolossal.
Perché racchiude in sé tutto il meglio di ciò che ha reso il Cinema l'industria dei sogni.
[Il vero T. E. Lawrence, noto in tutto il mondo come Lawrence d'Arabia]
Attraverso una narrazione in flashback l'opera racconta la storia di T. E. Lawrence, la sua evoluzione da semplice cartografo a figura di spicco per la rivoluzione araba del 1916, il suo ruolo politico di intermediazione con le tribù che abitano il deserto del Nefud: una versione romanzata della parabola che l'ha portato a diventare Lawrence d'Arabia, che muove a ritroso dal momento della sua morte.
Una storia di ambizione - resa ancor più ostica dall'ambiguità del personaggio su cui è basata - che si interseca con la grande Storia dell'umanità e del ventesimo secolo, che ha cominciato a flirtare con il mondo dell'arte già mentre si stava svolgendo.
Fu lo stesso Lawrence d'Arabia a raccogliere le proprie esperienze in libri, memorie, lettere e articoli: una serie di pubblicazioni tra cui spicca I sette pilastri della saggezza, il testo che per primo raccolse l'interesse delle produzioni cinematografiche.
Nel 1934 fu sempre il colonnello T. E. Lawrence in persona a rifiutarsi di vedere la propria storia adattata sul grande schermo: stando a una lettera registrata nel public record office di Londra solo nel 2002, pare che il regista ungherese naturalizzato britannico Alexander Korda - uno dei pionieri del Cinema d'oltremanica - gli avesse proposto di adattare le sue memorie in un'opera che avrebbe dovuto chiamarsi proprio Lawrence d'Arabia.
Sembra che avesse anche trovato un protagonista di un certo qual talento per interpretarlo: Sir Laurence Olivier.
La lettera, rivolta a Sir Phillip Sassoon, ai tempi Sottosegretario di Stato all'aviazione, riportava quanto segue:
"Un mercante di film chiamato Korda ha annunciato la sua volontà di propormi di fare una pellicola chiamata "Lawrence d'Arabia".
Probabilmente si riferisce a me e io ho posizioni forti riguardo l'indesiderabilità di qualsivoglia film del genere.
Così gli ho fatto sapere che forse dovrebbe discutere le sue intenzioni con me prima di aprire di nuovo la sua sciocca bocca."
Insomma: fosse stato per Lawrence, nessun film sulla sua vita sarebbe mai stato realizzato.
Malgrado la morte del colonnello sia sopraggiunta improvvisa solo l'anno dopo lo scambio che vi ho appena riportato, Korda provò inutilmente per 5 anni a realizzare l'opera dei suoi sogni, ma poi dovette abdicare, complici alcune difficoltà economiche.
Come si vedrà, però, il suo sogno di partecipare alla realizzazione di Lawrence d'Arabia in qualche modo troverà compimento.
Parallelamente alla sua carriera registica, infatti, Korda si dedicò alla fase produttiva: i suoi Denham Film Studios, complici le cattive acque di cui si parlava poc'anzi, vennero fusi nel 1939 con i Pinewood Studios, confluendo nella leggendaria Rank Organisation, che per anni è stata l'unica casa di produzione britannica in grado di competere con gli studios hollywoodiani.
[Mentre sognava di produrre Lawrence d'Arabia, Alexander Korda si tolse una soddisfazione chiamata Il terzo uomo]
Dopo essersi tolto alcune soddisfazioni produttive, per tutti gli anni '50 Korda provò nuovamente a realizzare Lawrence d'Arabia fino al 1956, anno della sua morte.
A inizio decennio c'erano stati contatti con un regista che sembrava particolarmente adatto a dirigere l'opera: David Lean, che con la Rank aveva realizzato un film da Palma d'oro, Breve Incontro, e Grandi Speranze, ma non se ne fece niente proprio per via delle difficoltà economiche della casa di produzione.
Nel 1959, quindi, ad acquisire dal fratello di T. E. Arnold Walter Lawrence i diritti de I sette pilastri della saggezza fu il produttore statunitense Sam Spiegel, la mente produttiva illuminata dietro a Lo straniero, La regina d'Africa, Fronte del Porto, Il ponte sul fiume Kwai e Improvvisamente l'estate scorsa.
La diffidenza del fratello di Lawrence, esacerbatasi dopo la prima visione del film, impedì a Spiegel di usare il titolo dell'opera letteraria: oltre sei decenni dopo la notorietà del titolo cinematografico ha surclassato quella del suo soggetto.
Come sceneggiatore venne scelto Robert Bolt, con un contratto iniziale di tre mesi che diventarono presto quattordici in full immersion, vista la grandezza dell'impresa che gli venne richiesta. Alcune delle idee di Korda trovarono finalmente realizzazione nella riscrittura definitiva del nuovo Lawrence d'Arabia.
Il successo stratosferico appena avuto con Il ponte sul fiume Kwai, vincitore di ben 7 Premi Oscar, portò Spiegel a contattare il regista che aveva reso possibile quel grande successo, David Lean, che ancora una volta si trovò dinnanzi a quel progetto così ambizioso, eppure apparentemente impossibile.
A complicare l'assunto vi fu però un'altra intrusione artistica: il commediografo Terrence Rattigan aveva ultimato Ross, una commedia biografica su Lawrence d'Arabia, e la stessa stava per vedere la luce a Broadway.
Ironia del destino, protagonista della pièce era quell'Alec Guinness che diverrà poi co-protagonista del film del 1962.
Malgrado il focus delle opere fosse ben diverso - Ross è interamente incentrato sulla presunta omosessualità di Lawrence - Spiegel fermò momentaneamente la pre-produzione del suo film fino all'esaurimento nei cartelloni del lavoro di Rattigan, che non divenne mai un'opera cinematografica, malgrado si stesse lavorando a un suo adattamento per il grande schermo con Dirk Bogarde come protagonista: per quest'ultimo la mancata realizzazione di Ross restò per sempre una ferita aperta.
[Una rarissima immagine di Alec Guinness come Lawrence d'Arabia in Ross]
Quasi tutti i tasselli erano ormai a posto, ma mancava ancora il volto adatto a interpretare il controverso colonnello britannico.
Come al solito il turbinio di nomi valutati per la parte fu a dir poco vorticoso: Marlon Brando, Anthony Perkins, e Montgomery Clift furono tra i divi presi in maggiore considerazione.
Clift venne scartato da Spiegel che non aveva particolarmente apprezzato la loro collaborazione in Improvvisamente l'estate scorsa, mentre per motivi di età Alec Guinness, collaboratore di lunga data di David Lean e protagonista di Ross, venne scartato dopo iniziali valutazioni.
Alla fine si arrivò al testa a testa meno atteso possibile tra due semi-sconosciuti: Lean avrebbe voluto Albert Finney - per il quale il film fu pensato e pre-prodotto fino al suo misterioso allontanamento dal progetto - ma quando l'autore si imbatté in Peter O'Toole fece immediatamente sapere ai presenti di aver trovato il suo Lawrence d'Arabia.
Si trattava di un attore di grande fama teatrale, che però aveva sotto la cintola solo tre film e che, peraltro, era notevolmente più alto del Lawrence originale.
Questo non fermò la casa di produzione che sottolineò la sua performance con dei crediti non proprio veritieri che recitavano "Introducing Peter O'Toole".
In un certo senso O'Toole venne effettivamente introdotto al grande Cinema: la sua prova come T. E. Lawrence gli fruttò, infatti, la prima di ben 8 nomination agli Oscar, tutte non vincenti.
Accanto a lui vennero scelti proprio Alec Guinness, Omar Sharif e Anthony Quinn.
Partì così il viaggio del nostro Lawrence d'Arabia, quello che avremmo conosciuto e amato, il kolossal per eccellenza, la cui produzione si sviluppò ovviamente tra enormi difficoltà: Marocco, Giordania, Spagna e Regno Unito furono i luoghi tra cui si svolsero i 14 mesi complessivi di produzione dell'opera.
Per capire l'enormità dell'impresa: il vero T. E. Lawrence ci mise meno tempo a venire promosso Colonnello e a incontrare le tribù arabe, convincendole a unirsi agli alleati contro i Turchi nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Una produzione cinematografica faticosa alla quale, peraltro, Re Hussein di Giordania fornì un'intera legione del proprio esercito come comparse: inizialmente sospinto dall'interesse turistico che il film avrebbe portato nella sua terra e dal fatto che quelle gesta si fossero avverate anche per volontà dei suoi antenati, la sua presenza sul set fu così assidua da far scaturire l'amore tra il re e una segretaria inglese, Antoinette Gardinier, che passerà alla storia come Muna Al-Husayn, principessa consorte di Giordania dal 1961 al 1971 e madre del futuro Re Abdullah II di Giordania.
Al contrario, in molte altre nazioni arabe la pellicola era mal vista perché si temeva una rappresentazione indegna da parte delle popolazioni non occidentali: per esempio, in Egitto servì l'intermediazione di un monumento nazionale come Omar Sharif, che riuscì a mostrarlo al presidente Gamad Abd el-Nasser, che lo adorò e ne permise il rilascio e il successo nella sua nazione.
[Per la scena della battaglia di Aqaba, in cui il vero Lawrence d'Arabia rischiò la vita, furono impiegati circa 450 cavalli e 150 cammelli e fu girata su un set composto da circa 300 edifici realizzato in quello che era il letto di un fiume in Spagna]
David Lean avrebbe voluto girare davvero a Petra e Aqaba, laddove il vero Lawrence d'Arabia aveva compiuto la Storia, ma le difficoltà furono tali da scoraggiare l'impresa.
Per abbeverarsi la troupe doveva ricevere acqua da un pozzo sito a circa 250 chilometri di distanza, in molti accusarono malesseri e colpi di sole, incluso il consulente militare del film che, in preda alle allucinazioni, cominciò a sparare veri colpi di pistola per aria dicendo di aver visto qualcuno avvicinarsi alle tende.
Le riprese furono massacranti per tutti, specialmente per Peter O'Toole, che dovette fronteggiare una serie tragicomica di infortuni: ustioni di terzo grado, distorsioni alle caviglie, un pollice rotto, lesioni a legamenti e muscoli in più punti delle gambe, una lussazione vertebrale, una frattura al cranio e anche un paio di commozioni cerebrali.
In più si ferì a una mano tirando un pugno a una finestra mentre era ubriaco e, nel più celebre episodio di tutta la produzione, fu sbalzato dal suo cammello e quasi calpestato durante le riprese di una scena della battaglia di Aqaba, proprio come successe al vero Lawrence ai tempi della stessa battaglia.
Dopo tutto ciò, però, divenne famoso tra le comparse prese tra gli abitanti delle tribù locali per aver chiesto di aggiungere uno strato di spugna sotto la sella per le sue scene in cammello.
Si trattò di uno stratagemma divenuto di uso comune dopo che il suo primo tentativo gli aveva prodotto un sanguinamento: O'Toole disse al suo istruttore "Questo qui è un culetto irlandese molto delicato".
Da quel momento in poi O'Toole divenne noto tra le tribù come "ab al-'Isfanjah" ("signore delle spugne").
Come se tutto ciò non fosse bastato, ci mise del proprio anche la costumista Phillys Dalton, che gli realizzò una serie di divise strette di proposito, proprio per enfatizzare le difficoltà del vero Lawrence d'Arabia nell'indossare i panni militari.
Chissà se fu questo il motivo che portò la produzione a dimenticare di sottoporre la sua candidatura all'Academy: sarebbe stata, probabilmente, l'undicesima - strameritata - nomination per il film.
[Lawrence d'Arabia contiene uno degli stacchi di montaggio più celebri della Storia del Cinema, frutto dell'apertura mentale del suo autore]
Solo un regista leggendario poteva padroneggiare un simile impianto produttivo, riuscendo a catalizzarne gli elementi in un Capolavoro senza tempo.
Ecco perché tutti, da oltre 10 anni, pensavano che quel regista dovesse essere David Lean.
Quest'ultimo, all'apice di una carriera a dir poco titanica, cesellò il suo opus magnum grazie a una visione al contempo limpida e inflessibile: i suoi collaboratori raccontano che lui avesse immaginato il film inquadratura per inquadratura, in maniera tale che l'opera potesse essere girata - e poi montata - in un solo modo.
Questo da un lato obbligava l'intera troupe a condensare l'intero sforzo in soli due o tre ciak per ogni scena, ma dall'altro gli permetteva di stare nei costi di produzione e impediva a chiunque di inquinarne la purezza.
Ecco perché gli fu concesso di supervisionare i tagli per il primo rilascio commerciale di Lawrence d'Arabia.
Prendete l'incipit dell'opera: una plongée su una figura che sistema accuratamente la sua motocicletta mentre scorrono i titoli di testa, uno stacco sulle gambe dell'uomo che fanno partire il motore che, con un leggero tilt verso l'alto diventa un campo lungo sul motociclista che si allontana, a cui fa seguito un mezzo busto su quello che fu Lawrence d'Arabia alla guida della sua moto a perdifiato, fino a quel salto spettacolare nella Storia.
A guardarla così, ci sembra proprio che quella sequenza non possa essere girata in nessun altro modo.
[Sin dal suo incipit a perdifiato, capiamo che Lawrence d'Arabia sarà un film che non dimenticheremo]
Questa impostazione portò a una delle "buona la prima" più leggendarie della Storia del Cinema: l'arrivo nel deserto dello sceriffo Ali, interpretato da Omar Sharif, ripreso come se fosse un miraggio.
Se c'era una cosa che Lean aveva capito durante le riprese era la spietatezza del deserto sul piano fotografico: le scene notturne del film erano state girate di giorno in effetto notte.
Il regista allora pretese di girare in piena mattinata per ottenere il massimo possibile della luce naturale necessaria per la sua inquadratura.
Il direttore della fotografia Freddie Young usò lenti da 482mm realizzate ad hoc per la scena, tutt'ora note come David Lean lenses e mai più utilizzate in nessun'altra occasione.
Inutile dire che anche Young vinse un Premio Oscar per Lawrence d'Arabia, il primo di tre, tutti vinti sotto la direzione di Lean.
Lo scenografo John Box, invece, dipinse delle linee di vernice bianca e sparse i minuscoli ciottoli neri che, formando una V rispetto al nostro punto di vista, ricongiungessero Lawrence e la sua apparizione: questo da un lato aiutava Sharif - posizionato a oltre 300 metri di distanza e vestito di nero sotto un sole cocente - a restare nel quadro e dall'altro creava un senso di ineluttabilità nello spettatore, che vedeva l'apparizione di Ali dietro una nuvola di sabbia, creata dalla crew guidando in cerchio i propri camion per far alzare la sabbia.
Lean voleva creare la massima enfasi possibile sulla scena: per questo prima di giungere al suo apice fece in modo di far calare l'attenzione dello spettatore con una serie di gesti apparentemente ordinari e insignificanti di Lawrence.
Un accorgimento adottato seguendo i consigli di William Wyler, che una volta gli aveva detto "Se vuoi scioccare al massimo gli spettatori, prima devi portarli quasi alla noia".
Il risultato, al riguardo, è piuttosto eloquente.
L'autore inglese disseminò l'opera di influenze classiche e iper-moderne: se com'è universalmente noto il modello per Lawrence d'Arabia e il suo epico viaggio dell'eroe fu Sentieri Selvaggi, Lean si lasciò anche convincere a inserire nel montaggio dell'opera delle transizioni tipiche della fiorente Nouvelle Vague, anziché usare delle più classiche dissolvenze.
Si ottenne così, su suggerimento della montatrice Anne V. Coates, il celebre match-cut del fiammifero che, spegnendosi, infiamma il tramonto nel deserto.
Infine, Lean attuò un semplice ma determinante stratagemma per estremizzare il concetto di viaggio dell'eroe sotteso all'intero film: quasi tutti i movimenti in campo dovevano svolgersi da sinistra a destra, in una continua progressione di storia e personaggi.
[La sequenza dell'arrivo di Ali: una delle sequenze più magiche di Lawrence d'Arabia]
Proprio i personaggi portati in scena e le loro ambiguità sconvolsero un giovanissimo Steven Spielberg, che grazie a Lawrence d'Arabia cominciò a pensare al Cinema in una maniera diversa, concentrandosi sui loro sentimenti e sulle loro parabole.
Pare che Spielberg fosse rimasto colpito dalla scena in cui Lawrence affermava di trovare il deserto "pulito", essendo cresciuto nell'Arizona e sentendosi così vicino a quella definizione: l'idea di un viaggio eroico di un personaggio così vicino alla sua sensibilità rende tutt'ora il film di David Lean la sua opera preferita.
Anche Martin Scorsese fu fortemente scosso dalla profondità di personaggi così mutevoli eppure così attivi: non era così comune che nel 1962 il protagonista di un'opera fosse una figura così controversa e umana.
Tutto ciò anche al netto delle inesattezze storiche e delle imprecisioni che sdegnarono A. W. Lawrence.
Lo stesso Spielberg, qualche anno dopo, affermò che al giorno d'oggi Lawrence d'Arabia sarebbe costato circa 285 milioni di dollari (a fronte dei 15 spesi all'epoca) e che sarebbe stato martoriato per via delle sue imperfezioni storiche, che sono invece - secondo l'opinione del regista dell'Arizona - ciò che permette al Cinema di attuare la sua magia.
Proprio Spielberg e Scorsese nel 1989 curarono il restauro dell'opera e l'inserimento di alcune parti tagliate nella stessa, riconducendola a tutto il suo splendore visivo e donandoci una versione inedita di Lawrence d'Arabia, lunga all'incirca 228 minuti nella sua versione home video.
[L'importanza di Lawrence d'Arabia nelle parole di uno dei più grandi registi della Storia del Cinema]
Il film uscì nelle sale italiane il 29 ottobre 1963: a sessant'anni dalla sua uscita Lawrence d'Arabia resta una leggenda dipinta con i colori del deserto e modellata dall'ambizione sfrenata di un personaggio come ne passano pochissimi nella Storia e nella Storia del Cinema.
L'epico e monumentale lascito dell'epoca d'oro di Hollywood, che proprio in quegli anni si accingeva a imboccare il viale del tramonto, ma lo faceva attorniata dai colori infuocati di un kolossal che ha spostato un po' più in là i confini di ciò che per il Cinema è impossibile.
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1 commento
Terry Miller
1 anno fa
Concordo anche con la visione di Spielberg sulle inesattezze storiche. Ritengo che il cinema abbia il diritto di scostarsi parzialmente dalla realtà alla ricerca di quel effetto magico e epico che ci tiene incollati allo schermo con la bocca aperta.
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