close

NUOVO LIVELLO

COMPLIMENTI !

nuovo livello

Hai raggiunto il livello:

livello

#CineFacts. Curiosità, recensioni, news sul cinema e serie tv

#articoli

The Whale e la 'Brenaissance': ma dov’è l’anima di Aronofsky?

Una riflessione su The Whale di Darren Aronofsky, al di là della straordinaria prova del suo protagonista e della cosiddetta Brenaissance

Fin dal principio su The Whale e sulla partecipazione inaspettata di Brendan Fraser nel ruolo di protagonista si è creato un vortice di folli e morbose aspettative. 

 

Inutile negarlo: la prova di Fraser trafigge persino il cuore del più insensibile degli esseri umani. 

 

Forse per quella sua dolcezza, così tenera e repellente al tempo stesso, forse per quell’eleganza fuori dal comune che caratterizza il tono della sua voce e la profondità della sua mimica facciale. 

Non contenti, a questa partecipazione abbiamo deciso anche di attribuire un’etichetta: si chiama Brenaissance e indica la rivincita dell’attore in declino e la rinascita dell’uomo dal doloroso passato. 

Immerso in una simile retorica, dilagata ancor prima dell’uscita del film, lo spettatore si è così trovato chiuso tra due fuochi.

 

Da un lato il desiderio di vedere di nuovo all’opera Darren Aronofsky, che con madre! non era forse riuscito a convincere proprio tutti; dall’altro la speranza di ritrovare Fraser in un contesto che finalmente avrebbe reso giustizia al suo grande talento.

 

 

[Ma è davvero il caso di parlare di rinascita con Brendan Fraser?]

 The Whale

 

Com’è giusto che sia, in questi giorni si stanno spendendo non poche lodi verso il grande lavoro svolto da Brendan Fraser nell’interpretare Charlie, un insegnante di letteratura affetto da una grave forma di obesità, sviluppata di conseguenza alla perdita improvvisa del compagno. 

 

Il plauso si estende poi alle altre prove recitative, in particolare a quella di Hong Chau (The Menu) nel ruolo dell’infermiera Liz e a quella di Sadie Sink (Stranger Things), attrice rivelazione nei panni della figlia di Charlie.

 

Si parla poco invece - lo si fa certamente con sentenze lapidarie che lasciano il tempo che trovano - di un’importante assenza, forse dovuta proprio all’ingombranza (non fisica, stavolta) di Fraser e all’impatto che questo ruolo ha e avrà nella sua intera carriera.

 

Dov’è l’anima di Darren Aronofsky?

 

Questa domanda continua a perdersi nel flusso di informazioni che gravitano intorno all’uscita del film nelle sale, dopo il debutto a Mostra di Venezia e la commovente standing ovation tributata a Brendan Fraser.

 

Nel frattempo qualcuno ha persino criticato l’utilizzo della fat suit da parte dell’attore, accusando il regista e la produzione di aver compiuto una scelta discriminatoria che ha imposto l’esclusione al ruolo di persone più adatte in quanto realmente obese. 

Su tale aspetto, poi, si è ribadito quanto il film non sia stato in grado di rappresentare efficacemente la sofferenza di una persona condannata a questa patologia, confinando il malato in una condizione di obbligatoria sottomissione.

 

A ben vedere, tra le scelte possibili quella di Brendan Fraser appare oggi come la più scontata, considerando le dichiarazioni fatte dall’attore nel 2018 relative all’accusa di molestie sessuali a Philip Berk e il suo successivo allontanamento dalla vita pubblica e dai set.

 

[Il discorso di Brendan Fraser dopo aver ricevuto il premio come Migliore Attore per la sua interpretazione in The Whale ai SAG Awards di quest'anno]

 

 

Non è certo anomalo per Aronofsky sfruttare la storia personale degli attori, attraverso operazioni metacinematografiche, per dare forza al linguaggio delle proprie opere. 

 

A partire da The Wrestler con la scelta di Mickey Rourke, il regista aveva già dimostrato di saper furbescamente costruire una narrazione in grado di far presa su uno spettatore consapevole.

 

Anche The Whale punta al retroscena, secondo una volontà che è anzitutto autoriale, per spingere il pubblico a lavorare per associazioni in un processo di empatizzazione forzata, dove non esistono confini tra persona e personaggio. È così che Aronofsky, scegliendo Brendan Fraser come protagonista dopo ben dieci anni di ricerca, dà vita al film oltre i titoli di coda: è proprio in questa chiacchiera continua che si afferma l’intensità di un coinvolgimento altrimenti insipido. 

Il pubblico vuole bene all'attore e si compiace nel vederlo sullo schermo in stato di grazia a somatizzare un dolore subito nella realtà e rielaborato per la finzione cinematografica.

 

Rientrando perfettamente nelle logiche produttive del Cinema hollywoodiano, non è certo il caso di scagliarsi ferocemente contro una simile operazione.

 

È ovvio però che un discorso di questo tenore sul film finisca per minacciare l’analisi necessaria di un’opera nella sua integrità, soprattutto per quello che può rappresentare all’interno della filmografia di un regista come Darren Aronofsky.

 

 

[Mickey Rourke non ha mai negato il debito nei confronti di Aronofsky e della produzione di The Wrestler per avergli regalato una seconda chance nel mondo del Cinema, oltre che una candidatura come Migliore Attore Protagonista agli Oscar 2009]

 

 

The Whale è l’adattamento cinematografico dell’omonima pièce di Samuel D. Hunter, portata al debutto a Denver e riproposta nell’Off Broadway al Playwrights Horizons dal 5 novembre 2012 per un mese intero.

 

La genialità di Hunter, premiata da numerosi riconoscimenti, è stata notata al tempo da Aronofsky che, per il suo personale adattamento, ha scelto di coinvolgere il drammaturgo statunitense nella scrittura della sceneggiatura; il film ha un’attinenza sconcertante con l’allestimento teatrale originale: è infatti un film semplicissimo, caratterizzato da una struttura piuttosto lineare in cui poche figure circondano un protagonista statico, in un periodo di tempo limitato e all’interno di un ambiente unico.

 

Persino il movimento dei personaggi, meteore impazzite nel loro inspiegabile eccesso - in particolare la figlia di Charlie talmente caricata da risultare inverosimile - è costruito secondo un modello teatrale. 

L’equilibrio delle pose, gli sguardi sfuggenti, le lunghe pause che danno valore al silenzio: sono tutti elementi tipici dell’azione da palcoscenico. 

 

Aronofsky propende perciò a una regia che valorizzi questo aspetto insieme alle performance degli attori, muovendosi con carrelli all’interno di un set minimalista e claustrofobico, giocando con lo zoom per sottolineare l’energia di alcune sequenze.

 The Whale

 

[La fotografia tetra di Matthew Libatique rende complicata allo spettatore l’indagine dello spazio scenografico in The Whale]

 

 

The Whale si apre con Charlie che, dopo essersi masturbato di fronte a un porno gay, viene colpito da un arresto cardiaco e salvato da Thomas (Ty Simpkins), giovane membro di una presunta setta religiosa che casualmente aveva bussato alla porta per diffondere la parola di Dio.

 

Quel senso di mortificazione, scatenato dalla visione di un uomo condannato a se stesso che rischia di perdere la vita per essersi regalato un po’ di piacere, è una costante in The Whale, ma si fa sempre più lieve nel corso della narrazione per fare spazio a dialoghi che mettono in luce relazioni sociali complesse e intricate.

 

Allo stesso tempo la prima sequenza evidenzia immediatamente l’elemento religioso, contrapponendo la blasfemia dell’azione masturbatoria all’irruzione di un fantomatico destino.

 

 

[Il personaggio di Thomas in The Whale rappresenta la dimensione religiosa e spirituale che il film approccia timidamente nella costruzione di una morale che giustamente rimane incerta]

 

 

Se c’è un elogio da fare nei confronti di Aronofsky è sicuramente la capacità di rappresentare l’orrore corporeo come metafora della morte imminente.

 

Praticamente tutta la sua filmografia mette in scena la disumanizzazione e la deformazione dello sguardo, tanto del protagonista quanto dello spettatore, applicate attraverso la scelta di inquadrature distorte e perlopiù dal basso. 

 

Allo stesso modo, anche in The Whale la morte è una presenza minacciosa: si manifesta nelle abbuffate, nelle urla improvvise e nelle risate fragorose troncate dal soffocamento, come a sottolineare ancora una volta l’impossibilità di abbandonarsi al piacere di una bella battuta. 

Tuttavia, pur lavorando sull’impressionante, Aronofsky non sembra troppo interessato a far sentire scomodo il pubblico sulla poltrona.

 

Quell’unico binge eating che ci viene mostrato è infatti sopportabile perché in scena non va una vera e propria pornografia del dolore, ma un degrado che è esclusivamente fisico. Non a caso, durante tutto il film, Charlie conserva intatta una moralità, unita a un invidiabile e rilassato ottimismo, su cui fonda la consapevolezza della propria condizione.

 

A differenza di altre opere del regista dunque, in The Whale non c’è alcuna ossessione nella patologia, piuttosto la volontà di portare a termine un processo di eutanasia, senza mai dimenticare di esprimere amore alle persone più care.

 

Inoltre, in quanto personaggio omosessuale e nel contrasto tra la sua delicatezza e la volgarità del suo enorme corpo, Charlie in The Whale appare come un reietto, martire di un mondo giudicante e ingiusto all’interno del quale egli riesce comunque a trovare del buono.

 

Parliamo perciò, com’è citata nel film evocando il Canto di me stesso di Walt Whitman, di un'esplosione del sé eccessivamente controllata, tesa alla mera celebrazione di un’umanità straordinaria capace di amare al di là di tutto.

 

 

[L’impressionante differenza fisica tra Charlie e sua figlia Ellie in The Whale]

 

 

L’aspetto paradossalmente messianico di Charlie si lega a una delle critiche più gettonate che hanno travolto il film in questi giorni.

 

Si accusa Aronofsky di pietismo, avendo spinto eccessivamente sul pedale della commozione attraverso la costruzione di una struttura narrativa tesa a un finale melodrammatico sterile e amputato.

 

In The Whale manca, in effetti, una vera e propria catarsi, elemento tipico del Cinema del regista. 

Nondimeno, il finale ampolloso, plateale nel suo onirismo angelico e spirituale, è piuttosto bilanciato dalla durata insolita di alcune scene madre.

 

Per esempio, una delle sequenze più importanti è quella in cui Charlie, con gli occhi colmi di lacrime, urla all’ex moglie Mary (Samantha Morton) di volere la certezza di aver fatto almeno una cosa giusta nella vita. 

Il picco drammatico della sequenza è talmente repentino che non ci rendiamo nemmeno conto di essere all’interno di un momento importante a livello narrativo.

 

Scelte come questa assicurano al film una stabilità rasserenante, rendendo The Whale un film tutto sommato insolito nella carriera di Darren Aronofsky.

 

 

[Una delle scene madri di The Whale]

 

 

In modo assolutamente volontario, The Whale ha dovuto far fronte a una serie di aspettative fondamentali per il suo giudizio finale, sia esso positivo o negativo. 

 

Per questo motivo il nuovo film di Darren Aronofsky può risultare a primo impatto deludente, specialmente se vincolati al desiderio di ritrovare sullo schermo quella poetica inquieta e soffocante propria al regista statunitense.

 

Tuttavia, nonostante alcune mancanze e indipendentemente dalla storia di Fraser, a mio avviso The Whale resta comunque un’opera solida e ben strutturata, fondata sul protagonismo attorico e sulla volontà irrefrenabile di commuovere lo spettatore.

 

Become a Patreon!

 

Tutto ciò che riguarda il Cinema e le serie TV è discusso con cura e passione da CineFacts.it e la sua redazione. 

Se ti piace il nostro modo di fare le cose, vieni dare un'occhiata a Gli Amici di CineFacts.it!

Chi lo ha scritto

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE

Articoli

Articoli

Articoli

Lascia un commento



close

LIVELLO

NOME LIVELLO

livello
  • Ecco cosa puoi fare:
  • levelCommentare gli articoli
  • levelScegliere un'immagine per il tuo profilo
  • levelMettere "like" alle recensioni