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Il 24 novembre grazie a Wanted Cinema arriverà nei cinema italiani Una mamma contro G.W. Bush, commedia diretta da Andreas Dresen, protagonista della Berlinale 2022 dove ha vinto ben due Orsi d’argento: uno per la sceneggiatura di Laila Stieler e l’altro per l'interpretazione della protagonista Meltem Kaptan.
Il film raccontra la storia di Rabiye, casalinga turco-tedesca di Brema che dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si trova a dover combattere per la libertà di suo figlio Murat.
Il ragazzo, appena diciannovenne, è stato accusato di terrorismo e si trova rinchiuso nel famigerato carcere di Guantanamo, costringendo Rabiye a utilizzare ogni mezzo per ottenere la liberazione del figlio in una battaglia legale internazionale in difesa dei diritti umani.
Titoli, adattamenti e quando stranamente funzionano
Una mamma contro G.W. Bush potrebbe suonare respingente, l’ennesimo caso di un titolo adattato sbadatamente e con poca considerazione rispetto al messaggio del film.
Per una volta sono felice di dissentire e rassicurarvi a riguardo.
Il titolo originale dell’opera di Andreas Dresen è Rabiye Kurnaz vs George W. Bush e sono piuttosto sicuro che sarebbe stato un discreto grattacapo per il grande pubblico, mentre Una mamma contro G.W. Bush non solo rende il film più facile da veicolare, ma lo porta a essere foriero di un punto importante utile a Laila Stieler, sceneggiatrice del film, per raccontare la storia.
Rabiye Kurnza è, in tutte le sue sfumature 1.0, una mamma.
Quella che ti riempie di cibo, che ti soffoca di attenzioni, che è sempre e comunque il motore della tua crescita e dei momenti importanti della tua vita, che dice cose imbarazzanti ogni volta che all’orizzonte se ne intravede la possibilità e che, paradossalmente, grazie alla precisione chirurgica nel dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato finisce per fare il giro e avere la sconsideratezza utile per ottenere quanto necessario per il bene dei propri figli, sbaragliando ogni ostacolo.
[Una mamma contro G.W. Bush non fa dei protagonisti molto più di quello che sono e fa molto bene]
Rabiye è una mamma di un tempo che sta sbiadendo, ma nel film siamo nei primi anni 2000: le Torri Gemelle sono crollate dopo un orribile attacco terroristico, il mondo fa molta paura e la cultura del sospetto si sparge a macchia d’olio, generando i mostri.
Perché fondamentalmente è questo che fa il terrorismo: spargere paura per incoraggiare le parti peggiori dell’uomo, obnubilando il pensiero e l’umanità che lo rende nobile.
Nel 2001 si è reagito alla paura e il governo statunitense guidato dal presidente George W. Bush ha deciso di cedere all’oscurantismo, alla vile applicazione di pratiche disumane e Rabiye, mamma senza giurisdizione e concezione del potere, è disposta a tutto pur di liberare il proprio figlio, la cui unica colpa è quella di rispondere all’identikit fornito dal terrorismo del nuovo uomo nero.
Quello che rende interessante Una mamma contro G.W. Bush è proprio la sua capacità di trattare una storia dedicata ai diritti umani sfruttando la forza travolgente della sua protagonista: una donna che tormenta il suo avvocato, un bravissimo Alexander Scheer, con torte e fiumi di parole, che rincorre uomini di potere, che non conosce timidezza e rassegnazione nonostante, in quanto turco-tedesca, sia già protagonista di una società che comunque non la riconosce pienamente.
[Il respiro di quotidiano di Una mamma contro G.W. Bush è utile a dare un forte appiglio al pubblico rispetto a una storia incredibile]
Nel raccontare la storia vera di Rabiye Kurnaz si sceglie di cedere al lato più leggero senza omettere le emotività della vicenda e i meccanismi politici che infangano il progresso del nostro vivere.
Una mamma contro G.W. Bush non è unilateralmente schierato contro i crimini dell’amministrazione Bush ma ricorda - anche grazie alla figura dell’avvocato, un convinto sostenitore dei principi costituzionali che danno dignità all’uomo - come i patetici giochi di propaganda e gli slogan da campagna elettorale dei quali siamo ampiamente complici finiscano spesso per compiere enormi ingiustizie verso tutti noi.
L’unica nota a margine che mi sento di fare a Una mamma contro G.W. Bush riguarda l’ultimo atto, che tende un po’ troppo a seguire pedissequamente il racconto cronologico di alcuni eventi, rendendo gli ultimi minuti antecedenti il finale forse troppo didascalici e poco sentiti, rispetto a un film la cui narrazione fino a quel punto è molto più accorata.
Una mamma contro G.W. Bush è un film che ha capito benissimo come portare una vicenda complessa e assurda al grande pubblico e che vi consiglio genuinamente di guardare, perché la vicenda della detenzione di Murat Kurnaz - raccontata anche dalla canzone di Patty Smith “Without Chains” - è utile a ricordarci quanto sia importante tenere fede ai principi morali che ci garantiscono una vita sana, libera, sicura e onesta.
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