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La vita accanto - Recensione: il segreto è una macchia

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Mariapia Veladiano, La vita accanto scorre lenta e profonda nella storia cupa della famiglia Macola, dandoci un esempio di narrazione cinematografica forse ancora legata a stilemi ormai classici, ma forte dell’eleganza della regia e della bravura di tutti gli interpreti

La vita accanto è il nuovo film di Marco Tullio Giordana, regista italiano che più di altri ha saputo spesso guardare dentro l’istituzione della famiglia restituendoci un racconto e una visione da punti di vista singolari, senza mai adombrare un personaggio a vantaggio di un altro.

 

Basti pensare all’affresco nutrito de La meglio gioventù e al ritratto agrodolce de I cento passi.

La famiglia, primo nucleo della nostra società, è un vero e proprio mondo, se solo vi si guarda dentro attentamente.

La vita accanto è la trasposizione cinematografica del romanzo omonimo, ma ciò non le impedisce di trasmettere la firma e lo stile di Giordana e del suo co-sceneggiatore, il grande Marco Bellocchio, che ha anche contribuito con un apporto curioso al film, che vedremo più avanti.

 

L’eleganza della messa in scena è memore della perizia di un regista che ha fatto la Storia del nostro Cinema contemporaneo e pur risultando a tratti ieratico nell’incedere della narrazione, lascia lo spazio ai suoi attori per esprimere il grande talento apportato da ognuno di loro.

 

[Il trailer ufficiale de La vita accanto]

 

 

La casa

 

Vicenza, 1980.

Maria, interpretata da una straordinaria Valentina Bellè - attrice dallo sguardo magnetico che richiama le interpreti di altri tempi - scopre di essere incinta e comunica felice la notizia al marito Osvaldo (un grandissimo Paolo Pierobon) e alla cognata Erminia (una Sonia Bergamasco incisiva e potente).

I tre vivono quasi in simbiosi nel palazzo di famiglia affacciato sul fiume, nel centro storico della città veneta.

 

Erminia è una pianista di fama internazionale, Osvaldo è un rinomato ginecologo, di Maria invece non si sa molto, solo che alla nascita della piccola Rebecca comincerà a richiudersi dentro sé stessa per quella che inizialmente sembra essere la motivazione principale: la bambina è nata con una grossa macchia rossa che le copre la guancia destra e una parte del collo, un angioma benigno che non compromette la sua salute ma solo il suo aspetto.

Da quel momento Maria rinuncerà a tutti i colori della vita, non uscirà più di casa, quasi non uscirà dalla sua stanza, ma la cosa peggiore di tutte è che non avrà il coraggio né la voglia di prendere in braccio sua figlia, di coccolarla e di darle il suo amore che, in una maniera alquanto strana, c’è ma non riesce a essere espresso.

La vita accanto a quella macchia le sarà insopportabile. 

 

L’unica costante della propria esistenza sarà tenere un diario, uno strano miscuglio di frasi, disegni e collage in cui riversa tutta sé stessa, i lati positivi e quelli negativi:

“Si può amare e respingere assieme?”, si chiede Maria in una di quelle pagine.

 

Il curioso apporto di Marco Bellocchio a La vita accanto si nasconde proprio nel diario di Maria: è infatti il regista ad aver disegnato a mano quelle pagine, dando libero sfogo al disegno, una delle sue passioni che spesso lo accompagnano sui set dei film. 

 

Maria scivola sempre di più nel proprio mondo sofferente, mentre il marito Osvaldo si dimostra amorevole nei suoi confronti e in quelli della bambina, che cresce amata da tutti tranne che dalla propria madre. La zia Erminia, donna libera e indipendente, prenderà sempre di più il posto di figura materna, tentando di fare da contrappeso a Maria per amore della nipote e del fratello, ma anche della stessa cognata.

Eppure c’è qualcosa che aleggia dentro quella grande casa, qualcosa che non riusciamo a percepire e che Maria sembra l’unica a sentire e a somatizzare con sofferenza.

 

Il titolo stesso, La vita accanto, fa presagire qualcosa di misterioso per il suo essere incompleto e suscitando varie domande: accanto a chi?

Dove?

 

 

[Il diario di Maria ne La vita accanto, disegnato da Marco Bellocchio]

 

 

Gli occhi possono uccidere

 

1986: la piccola Rebecca (Viola Basso) ha sei anni ed è una bambina sveglia, gentile e innamorata della musica.

 

Scivola di nascosto all’ultimo piano del palazzo, l’appartamento della zia, per sedersi a uno dei suoi pianoforti, inanellando note su note e mostrando già un talento in nuce.

Ha l’età per andare a scuola, ma Maria non vuole mandarla, per paura che il mondo si prenderà gioco della figlia e della sua macchia: "gli occhi possono uccidere", dirà al marito piangendo. 

Sarà Erminia a convincere il fratello della giustezza della loro decisione: Rebecca non può crescere isolata dal mondo, ha invece bisogno di uscire e conoscerlo. 

Proprio a scuola Rebecca incontra Lucilla, che dopo averle fatto delle innocenti domande sulla macchia che ha in faccia, prende un pennarello rosso e si colora la faccia per non farla più sentire sola.

Questa apertura al mondo farà bene alla bambina, che comincerà dunque ad avere una vita propria al di fuori delle mura di quel palazzo triste.

 

Se Lucilla si tinge di rosso, però, in una delle sue notti allucinate Maria cerca di coprire forzatamente la macchia della figlia con del fondotinta, per cancellarla, per zittirla, per rimediare a ciò che lei ritiene irreparabile: un segno indelebile del proprio fallimento.

Se la bambina riesce pian piano a convivere con la propria particolarità, l’unica a ricordarle di essere diversa è proprio la madre, che dietro a questa ossessione sembra nascondere molto di più.

 

Per farsi perdonare, compra a Rebecca un pianoforte tutto suo, come disperato gesto d’amore che la bambina ricambia felice, speranzosa di aver conquistato finalmente l’attenzione materna. 

 

 

[Viola Basso e Sonia Bergamasco sono Rebecca e la zia Erminia ne La vita accanto]

 

 

La madre

 

1990: Rebecca (interpretata da Sara Ciocca, un giovane talento del nostro Cinema) ha dieci anni ed è una bambina studiosa e una pianista precoce.

Maria però è sempre più insofferente anche nei suoi confronti e non sopporta sentirla studiare al piano, con tutti quegli esercizi così ripetitivi.  

 

"Senza le scale non si va da nessuna parte", le dice Rebecca tentando un approccio razionale alla mente ormai labile della madre, verso la quale, poco dopo, irromperà con rabbia e insulti, sfogando la propria insoddisfazione di ragazzina costretta a crescere senza l’amore materno.

Rebecca ama sua madre ma in maniera speculare a Maria non riesce a far emergere quell’amore dalla frustrazione che la attanaglia.

Il padre Osvaldo sembra essere sempre più evanescente, la zia Erminia è una presenza sicura ma troppo rigida. 

Solo l’amicizia di Lucilla sembra salvarla, ma anche questa è destinata a svanire: Lucilla, figlia di genitori separati, verrà coinvolta nella morte del padre, caduto da una finestra di casa, e lascerà la città per aspettare che si calmino le acque. 

 

Una notte, vestita di bianco come una presenza ormai ultraterrena, Maria si getta nel fiume sottostante sparendo per sempre dalla vita della propria famiglia.

 

La piccola Rebecca accuserà sé stessa e la sua esistenza prima per la malattia e poi per la morte della madre, nonostante il padre la rassicuri che lei non ha alcuna colpa.

La vita di Rebecca procede dunque come un pendolo tra la realtà esteriore di ragazzina studiosa e la realtà interna a quelle mura, in cui giorno per giorno tenterà di capire qualcosa in più su chi era sua madre, su che cosa agitava la sua mente e sul perché aveva condotto quella misera e vita da reclusa.

 

Scoprirà il diario, nascosto nel fondo di uno scrittoio, e ne farà la guida nei meandri della donna che era sua madre, cominciando a capire che la macchia che porta sul volto era solo un pretesto per le sofferenze di Maria.

 

 

[Rebecca e Lucilla in uno degli ultimi pomeriggi insieme ne La vita accanto]

 

 

La macchia

 

1997: la diciassettenne Rebecca (Beatrice Barison al suo esordio) è una ragazza sensibile, giudiziosa e talentuosa.

 

La macchia che porta in faccia non sembra più causarle fastidio, tranne quando incontra gli occhi di alcuni suoi coetanei che si aggrappano a quello per svilire la sua bravura e scagliarle addosso l’invidia per il suo talento.

Un episodio di molestie compiuto ai suoi danni proprio all’interno del conservatorio sembra mettere a repentaglio i suoi esami e il suo diploma, ma grazie al sostegno della zia Erminia non si lascia abbattere, non su quel fronte.

In casa, invece, diventa sempre più insofferente soprattutto nei confronti del padre, che accusa di inettitudine per non essersi mai accorto davvero, o per aver volutamente ignorato, per quali motivi la madre Maria stesse così male, incompresa da tutti e tacciata solo come una pazza.

Rebecca stringe il suo diario come una reliquia, si trasferisce a dormire nella stanza di Maria e, nelle notti in cui i dubbi la attanagliano, la vede anche comparire ai piedi del letto, amorevole, bella come forse non era mai stata, la madre che lei avrebbe sempre voluto.

 

Durante una di queste apparizioni il segreto che percepiamo aleggiare lungo tutto il film viene svelato, da Maria a Rebecca, in una sequenza onirica: Osvaldo ed Erminia sono fratelli gemelli e il loro legame è sempre stato molto più forte di quello tra due fratelli.

 

La loro era una relazione incestuosa che Maria ha sempre conosciuto e che, alla nascita della sua bambina, sembra essersi concretizzata sul suo viso con quella macchia così vistosa, quasi un simbolo lampante delle colpe del padre.

 

 

[Beatrice Barison e Valentina Bellè sono Rebecca e la madre Maria ne La vita accanto]

 

 

Capiamo in questo momento perché Maria aveva rifiutato il battesimo della bambina: "Lei pensa che Dio possa lavare via la macchia?", chiede al prete.

 

Tutti pensiamo alla macchia sul viso di Rebecca, ma non è forse ciò a cui Maria fa riferimento: è un’onta più profonda, indicibile, mostruosa - “la mostra” è il nomignolo che Maria riservava a Erminia nel suo diario - che per qualche strana ragione del destino ha deciso di manifestare la sua oscura presenza sul viso di una dolce e giudiziosa bambina, che non chiedeva altro che di essere amata.

Proprio per quello, allora, sua madre non è mai riuscita a guardarla in faccia con tenerezza?

Perché lei era, nella sua mente, il simbolo evidente di quell’onta?

È per questo che Maria si è uccisa?

 

In un finale che lascia spiazzati anche narrativamente, la macchia sul viso di Rebecca è improvvisamente sparita.

Dopo la notte della rivelazione, in cui il fantasma di Maria ha portato Rebecca a vedere l’origine della colpa - il padre e la zia a letto insieme nell’appartamento di lei - è come se quella traccia non avesse più motivo di esistere.

Una catarsi che però non si completa mai del tutto: c’è talmente tanto di non detto che il culmine emotivo non arriva.

Come può una figlia che scopre l’incesto del padre continuare tranquillamente la propria vita, tentando solo timidamente di aprire l’argomento chiedendo al genitore se avesse avuto altre donne oltre alla madre?  

Vediamo Rebecca emanciparsi dopo essersi brillantemente diplomata al conservatorio per poi partire per andare a trovare Lucilla, amica ritrovata da poco e ribelle com’era da bambina. 

 

È però un’emancipazione trattenuta, non liberatoria, perché il conflitto non esplode, la rottura non avviene e sebbene siamo consapevoli del fatto che in ogni famiglia i panni sporchi si lavino a proprio modo, sembra un po’ surreale che non accada qualcosa di più forte nella risoluzione di questa storia, in cui l’elemento di svolta sembra essere solamente la magica sparizione dell’angioma dal volto di Rebecca.

 

 

[La famiglia Macola festeggia il diploma di Rebecca ne La vita accanto]

 

 

La musica 

 

L’elemento della musica nella crescita e nella formazione di Rebecca è fondamentale: è quel talento innegabile che contrasta la macchia, è l’emergere in un modo diverso che non sia quello dovuto alla chiazza rossa che le lampeggia sul viso.

 

Lei stessa è nata la notte di un concerto della zia e ha sempre fatto del pianoforte il suo strumento di difesa.

È dunque chiaro il perché Giordana abbia scritturato tutte interpreti capaci di suonare il pianoforte: Sonia Bergamasco è una grande pianista oltre che una grande attrice e aveva già mostrato questa sua dote proprio ne La meglio gioventù.

 

Viola Basso e Sara Ciocca, le giovani interpreti di Rebecca, sanno suonare il pianoforte, e Beatrice Barison è una concertista che per la prima volta, proprio ne La vita accanto, esordisce come attrice.

 

 

[Sonia Bergamasco al pianoforte ne La vita accanto]

 

 

Quando al Cinema vediamo rappresentati dei musicisti il primo pensiero corre sempre alla capacità di un attore di mettere in scena un’abilità per la quale servono anni e anni di esercizio per essere mostrata nella sua pienezza e credibilità.

 

Il fatto che ne La vita accanto tutte le attrici chiamate a suonare lo facciano effettivamente in scena conferisce al film una verità secondo me necessaria: la potenza delle scene di Erminia al pianoforte non sarebbe stata la stessa senza Sonia Bergamasco; il giovane talento di Rebecca non sarebbe stato mostrato altrettanto efficacemente senza la bravura di Viola Basso e Sara Ciocca, che mettono perfettamente in mostra un’abilità ancora in formazione, com’è normale che sia per una bambina all’inizio dei propri studi. 

La profonda coscienza di sé e dell’importanza dello studio e dell’esercizio sono perfettamente ritratti da Beatrice Barison, che è pianista prima di essere attrice e lo si può osservare dalle espressioni che assume mentre suona, sia durante lo studio con la zia sia durante l’esame di diploma: sono proprio quelle espressioni a fare la differenza tra un attore che suona il piano e un pianista che recita.

Sono quegli sguardi a dare autenticità alla performance.

 

La colonna sonora, non certo secondaria in un film che parla anche di musica, è a firma di Dario Marianelli, stella internazionale del nostro Cinema e compositore Premio Oscar 2008 per Espiazione di Joe Wright

 

 

[Piazza dei Signori a Vicenza, presente in diverse scene de La vita accanto]

 

La città

 

Un'altra protagonista del film oltre alla musica è la città di Vicenza. 

 

I suoi panorami, a partire dalle case sul fiume Bacchiglione fino alla Piazza dei Signori, non sono solo uno sfondo al dramma della famiglia Macola ma guadagnano il proprio posto quasi come uno dei personaggi.

La Villa Valmarana ai Nani è presente in varie scene del film, come quella in cui la piccola Rebecca vede animarsi le statue mentre la zia le racconta l’origine di quelle strane decorazioni: ricorda molto la scena onirica in Baarìa di Giuseppe Tornatore sulla famosa Villa Palagonia, anche detta Villa dei Mostri, protagonista di varie leggende bagheresi.

Il maestoso Teatro Olimpico progettato da Andrea Palladio e tra i monumenti nazionali più famosi, fa sfoggio della sua bellezza nella scena del concerto di Erminia, nella stessa notte in cui Rebecca viene al mondo.

 

La vita accanto è a mio avviso un film classico, ben fatto, melodrammatico al punto giusto, che ha qualche debolezza soprattutto nel finale ma che vive delle interpretazioni dei suoi attori, che gli regalano forza e sostanza e che ha permesso a giovani talenti, come le tre attrici che impersonano Rebecca, di emergere e di mostrare tutta la loro bravura.

 

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