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Roma - Recensione: non è facile diventare madri

Attendendo l'approdo del Leone d'oro 2018 su Netflix ecco in anteprima qualche impressione sul film

Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera, lo sottoscriverebbe anche Alfonso Cuarón

 

Che meritasse o meno il Leone d'oro alla scorsa Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia Roma è prima di tutto espressione di libertà espressiva. 

 

Cuarón ha vinto già molto; se lo consideriamo quale membro del gruppo dei Three amigos (affiancato da Guillermo del Toro e Alejandro G. Iñárritu) si può dire abbia vinto tutto in questa chiusura di decennio.

 

Meritatamente.

 

 

 

 

Si può raggiungere la fama, il successo, la libertà di azione e di espressione e addolorarsi per ciò che è trapassato, come faceva Charles Foster Kane nella visione di Orson WellesCuarón invece ci suggerisce un nuovo approccio: rispettoso, grato, tutto sommato sereno.

 

Ma sempre di ricerca di un tempo perduto si tratta: che sia per rischiarare le ragioni che abbiano portato a uno sconvolgimento nella propria vita, che sia per un virtuale ritorno a un'esistenza anonima e priva di aspettative sognate e subite o che sia per un commiato con una terra nei confronti della quale non è più pensabile restaurare lo sguardo di un tempo, spessissimo chi "ce l'ha fatta" dedica la sua opera più libera alle figure della propria infanzia.  


Ancora un riferimento ai Three amigos: mi piace pensare che questi professionisti si stimino armoniosamente a tal punto da omaggiare l'uno il Cinema dell'altro.

 

Ci hanno abituati a movimenti di macchina virtuosistici, a una commovente fedeltà al proprio orizzonte mentale quando anche fosse popolato di mostri ed esoterismi e più di tutto a una composizione fotografica da manuale (come non menzionare the fourth amigo: il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki). 

 

Non fa eccezione Roma, i cui titoli di testa si susseguono sovraimpressi su una splendida sequenza di riflessi e di sciabordii dove l'elemento acquatico ha il suo ruolo principe, come nel recentissimo La Forma dell'acqua.

 

Per chiudersi nuovamente con un'inquadratura fissa, ma questa volta statica anche negli elementi che la abitano, e nondimeno magistrale per quanto riguarda la composizione delle molteplici linee spezzate che tagliano il quadro filmico.

 

Un aereo si staglia e taglia lo spazio del profilmico in entrambe le occasioni e in altre ancora, l'aereo con cui i Three amigos hanno spiccato il volo, oltre il confine.

Fra queste due parentesi una città fantasma accuratamente ricostruita.

 

In questi termini si può comprendere la scelta del bianco e nero alla fotografia. 

Fantasma poiché spezzata dal terrificante evento sismico del 1985, mentre il film è ambientato nei primissimi anni '70, periodo in cui il padre del giovane regista abbandona la famiglia e viene cresciuto dalla madre, dalla nonna e in special modo dalla tata. 

 

 



In Europa si erano già consumate le più sentite rivolte giovanili, l'eco supera l'Atlantico e il Messico piangeva quell'anno la morte di una moltitudine di studenti massacrati durante una protesta contro la privatizzazione del sistema scolastico, evento passato alla storia come appunto il Massacro di Corpus Christi. 

 

Questo e altri eventi reali attraversano la vita tutto sommato placida che si consuma nel quartiere di Città del Messico chiamato Roma.


La Storia, sì, ma anche la storia personale di Alfonso Cuarón: le tragedie scampate e quelle scansate, e assieme a ciò le canzoni d'infanzia, la mobilia, le gestualità tipiche tutte splendidamente evocate.

 

Roma moltitudini di cani (e sembra di rivedere lo straordinario Amores Perros di Iñárritu) vivono in simbiosi con gli abitanti, il fischio degli arrotini risuona per le strade assolate ma mai aride, gli spari riecheggiano, ora per gioco, ora per odio.

 

 

 

In Roma è discolto il Nuovo Cinema Messicano, come si è visto, come pure la poetica tipica di Cuarón e su tutti il suo riferimento costante al tema della gravidanza: basti ricordarsi di Sandra Bullock quando in Gravity fluttuava in posizione fetale - una madre la cui missione è tornare con i piedi per Terra - e ovviamente al concept stesso su cui si struttura lo splendido I figli degli uomini.

 

Non è facile diventare madri nei film di Cuarón, né tantomeno restarlo; la sessualità è delizia ma spesso anche veicolo di viscerali timori e, sempre, di dolore (pensiamo a Paradiso Perduto e Y tu mamà tambièn). 


Il Messico è entrato fortemente nel comune parlare per ragioni politiche più o meno felici.

Meno di un anno fa la Pixar, provvidenzialmente, ci regalava Coco.

Una nazione che sta intercettando una nuova chance sul palcoscenico del mondo, Cuarón lo sa e lo sostiene con il suo amarcord.


Se si ha la pazienza di aspettare la conclusione dei titoli di coda si saprà che il regista decide di siglare la sua opera citando l'epilogo del capolavoro di T.S. Eliot proprio come aveva fatto per I figli degli uomini: il canto di pace Shantih Shantih Shantih per la sua personalissima Terra desolata.  

 

In chiusura una menzione alla tecnologia audio Dolby Atmos con cui il film è stato pensato, missato e, sperabilmente, distribuito.

 

Vedendo il film in una delle rare proiezioni in sala (la distribuzione è affidata a Netflix, in uscita a dicembre) dotate di impianto adatto alla riproduzione in Dolby Atmos posso confermare che si tratti di un sistema di riproduzione che acutizza il senso di immersività, dove gli effetti sonori aleggiano come posti sotto una cupola sugli spettatori.

 

I diffusori sono in numero superiore alla media e sono posizionati anche sul soffitto - piccolo inciso a questo proposito: il solo pensiero di assistere alla scena di apertura di Apocalypse Now in una riproduzione dove il suono delle eliche degli elicotteri sembri planare dall'alto mi mette i brividi.


Roma è per la verità piuttosto silente: non vi è alcuna colonna sonora extradiegetica, tuttavia sono molti e curati i rumori ambientali; esiste in ogni caso una sequenza sul mare dove la diffusione degli effetti sonori è a tal punto esaltata dal sistema Atmos da innestarsi indelebilmente nella memoria, riposta in stretta connessione con un'altra straordinaria scena dal film Silence di Martin Scorsese immediatamente evocata nelle menti degli spettatori.

 

Due film silenti, due film che dicono moltissimo dei loro creatori.

 
Riguardo alla sequenza in questione gli amanti del Nuovo Cinema Messicano potrebbero rievocare la drammatica ricerca nel deserto che avevamo visto in una delle tre storyline di Babel di Alejandro G. Iñárritu.

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5 commenti

Drugo

6 anni fa

grazie👍

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Sebastiano Miotti

6 anni fa

I ricordi sono sempre sbiaditi dopotutto. Grazie Andrea

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Sebastiano Miotti

6 anni fa

Confermo, e forse anche in qualche sala, ma ancora non ci sono conferme ufficiali

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Andrea Mazziotta

6 anni fa

Dovrebbe essere rilasciato su Netflix il giorno 14 dicembre.

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