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Gomorra rappresenta per il nostro Paese un autentico marchio esportato nel mondo, oltre che un tema di discussione sempre ardente sotto le ceneri dell'umore dell'opinione pubblica.
Il romanzo di Roberto Saviano, nel 2006, è stato un autentico caso letterario: un'opera pluripremiata e tuttora capace di squassare il dibattito sulla malavita e sul suo stesso autore.
L'omonimo film di Matteo Garrone, due anni dopo, aveva riscosso un unanime successo di pubblico e critica, ricevendo premi prestigiosi a ogni latitudine del pianeta, tra cui il Grand Prix al Festival del Cinema di Cannes, cinque European Film Awards (Miglior Film, Regia, Fotografia, Sceneggiatura e Interpretazione Maschile) e una nomination ai Golden Globes.
Nel 2014 Sky Italia, reduce dal successo di Romanzo Criminale - La Serie, annunciò un prodotto televisivo che avrebbe portato lo stesso - pesantissimo - nome, scritto a partire dalle testimonianze di Roberto Saviano.
Il tutto, però, sarebbe stato fondato su uno sviluppo di trama orizzontale che permettesse a ciascuna delle situazioni narrate di venire inglobate in una narrazione coinvolgente: la curiosità del pubblico fu immediatamente raggiunta e catturata.
La principale problematica della trasposizione seriale delle situazioni narrate in un romanzo iperrealista come Gomorra - ovverosia quella di riempire dei personaggi-simulacro con una caratterizzazione duratura e avvincente - è stata magistralmente risolta dalla produzione affidando a tre registi di ottimo livello la descrizione dei tre membri della famiglia protagonista, i Savastano.
[Anche gli approfondimenti di avvicinamento alla prima stagione di Gomorra da parte di Sky sono stati curati nel dettaglio]
Se la potenza del film di Garrone risiedeva nell'immergerci nella ferocia di quel mondo attraverso dei personaggi semplici, assoluti nella propria capacità di trasmettere un messaggio, per la riuscita di un prodotto che creasse affezione nel pubblico era necessario riempire quegli involucri di passioni e sentimenti.
A Stefano Sollima, ai tempi anche showrunner della serie, fu dunque affidato il cruciale compito di caratterizzare correttamente la figura di Don Pietro Savastano, interpretato da Fortunato Cerlino, e trasmettere all'opera la necessaria coerenza di tono; Francesca Comencini - per la prima volta nella sua carriera a contatto col genere - aveva invece il dovere di restituire al pubblico la pericolosità e l'ambivalenza di Donna Imma, moglie del boss interpretata da Maria Pia Calzone.
A Claudio Cupellini è capitata l'operazione più interessante dei tre: dovendo caratterizzare l'evoluzione dell'immaturo Genny Savastano fino alla sua presa di potere nel clan, si è trovato a tessere le fila del rapporto d'amore e odio tra lo stesso Genny e Ciro Di Marzio, figura chiave del successo planetario della serie.
A lui è stato, di fatto, affidato l'intero avvenire di Gomorra.
Ciro, che di fatto è una rappresentazione estremizzata dei "ragazzi di strada" che non godono di alcuna alternativa alla delinquenza, rappresentava infatti una sorta di "controcampo" trasversale a ciascuno dei tipi umani fin qui citati.
Genny e Ciro sono le forze emergenti di una prima stagione di Gomorra in cui il contrasto generazionale tra criminali è tema dominante, Don Pietro e Donna Imma sono invece rappresentazione della tradizione consolidata di un mondo dalle convenzioni granitiche.
[Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini, tre dei segreti "nascosti in bella vista" dietro il successo della prima stagione di Gomorra]
Non è un caso, dunque, che lo stesso Cupellini e i due attori principali, Salvatore Esposito e Marco D'Amore, siano i principali trait d'union tra la prima e l'ultima stagione di Gomorra.
Complice un lavoro dettagliatissimo compiuto sul casting, sulla lingua e l'estetica, la perfetta ricostruzione scenografica di Paki Meduri e l'iconico commento musicale dei Mokadelic, Gomorra - La serie è stata in grado di scuotere dalle fondamenta le logiche televisive nostrane e di generare ben quattro stagioni di seguito alla prima.
Proprio la season one è, a mio avviso - alla pari con The Young Pope di Paolo Sorrentino - la miglior singola stagione di una serie TV mai prodotta in Italia, un autentico capo d'opera.
Un trionfo tanto artistico quanto produttivo, esportato in oltre 190 paesi.
Un successo certificato dall'enorme quantità di parodie riservate alla serie e alle sue frasi cult, che lo stesso Roberto Saviano ha più volte accolto con favore per la propria capacità di diffondere una chiave di demistificazione del fenomeno mafioso.
[Genny e Ciro sono i principali volti di Gomorra: era inevitabile che l'ultima stagione della serie vertesse ancora attorno al loro rapporto]
Nei seguenti sette anni, dunque, una platea internazionale sempre più ampia ha fatto la conoscenza delle logiche di un mondo nel quale hanno continuato a confluire professionisti di alto livello e a venirne lanciati altri, attinti dal grande e prolifico bacino recitativo partenopeo che ha messo a disposizione della produzione attori cinematografici già consolidati, figuranti teatrali e volti letteralmente provenienti dal territorio.
Gomorra ha quindi rappresentato un'ottima vetrina per nomi noti come quello di registi come Claudio Giovannesi e attori come Andrea Renzi, Gianni Parisi, Gianfranco Gallo, Cristina Donadio e Nello Mascia, ma si è contraddistinta anche come perfetto trampolino di lancio tanti giovani interpreti come Pina Turco, Arturo Muselli, Marco Palvetti, Antonio Folletto, Ivana Lotito, Cristiana Dell'Anna, Andrea Di Maria e Lino Musella.
Ancora una volta sono i due attori principali le figure su cui il concetto di Gomorra come autentica palestra formativa può essere meglio espresso.
[Quanto è cambiato dalla prima, storica, stagione di Gomorra?]
Salvatore Esposito - che è l'unico volto comune a ciascuna delle cinque stagioni - è stato scelto per interpretare Gennaro Savastano dopo esser stato presente sul set per aiutare gli addetti al casting come spalla.
Solo in un secondo momento i registi si sono resi conto di quanto fosse perfetto per incarnare il giovane protagonista.
Marco D'Amore ha avuto, grazie alla sua partecipazione alla serie, la possibilità di consolidarsi come volto noto del nostro Cinema e, soprattutto, di debuttare alla regia con due episodi della quarta stagione, poi con L'immortale - spin-off dedicato al suo personaggio e vincitore del Nastro d'Argento al Miglior Regista Esordiente - e infine con ben cinque puntate nella stagione conclusiva.
Una carriera registica che lo stesso D'Amore definisce sua passione primigenia e che terremo sicuramente d'occhio: oltre alla capacità di spaziare tra toni ben diversi per le tre esperienze appena citate, il talentuoso casertano ha mostrato anche un'ottima cultura cinematografica.
Ad esempio, più che lasciar emergere il suo ben noto amore per Pablo Larraín, ne L'immortale è stato in grado di riecheggiare la stessa Napoli anni '80 de L'uomo in più, film esplicitamente omaggiato in una scena dello spin-off.
[Il trailer internazionale dello spin-off di Gomorra, L'immortale]
Anche sul piano editoriale e crossmediale, dunque, Gomorra si è rivelata all'assoluta avanguardia.
Alla luce di tutto quanto fin qui esposto la quinta stagione della serie portava sulle proprie spalle un peso non indifferente: quello di chiudere il cerchio con linearità, senza tralasciare gli elementi avvincenti e spettacolari ormai riconosciuti al prodotto.
Per rimediare a eventuali sbavature, almeno in televisione, non ci sarebbero poi state ulteriori occasioni: la scelta di un titolo dal sapore definitivo come Stagione finale (e non "Stagione 5") su questo aspetto è sufficientemente rivelatrice.
Ci è riuscita?
Scopriamolo insieme.
[Il trailer di Gomorra - Stagione finale]
Senza soffermarci troppo sulla ricostruzione degli eventi che hanno portato alla genesi della quinta stagione, che invece saranno trattati più nel dettaglio nell'appendice spoilerosa di questo articolo, partiamo dallo sciogliere i dubbi con i quali la medesima si apprestava a partire.
Innanzitutto è necessario specificare che la stessa si incastra tanto con il finale dell'ultima stagione andata di Gomorra - La serie andata in onda in TV quanto con L'immortale, il cui finale ri-spalancava dinnanzi agli occhi degli spettatori la possibilità di un ricongiungimento tra i due protagonisti della stagione.
Genny, al termine di una quarta stagione vissuta all'insegna di un tentativo di affrancarsi dalle logiche criminali e ripulire il suo nome, aveva scelto la via più sanguinosa possibile per risolvere i suoi problemi con gli altri clan della città e con la giustizia, facendosi aiutare dalla misteriosa figura di 'O Maestrale e dandosi alla latitanza.
[L'iconica inquadratura con cui si chiude la Stagione 4 di Gomorra]
Ciro, invece, dopo aver intrapreso un'autentica discesa all'inferno e una vita nuova in Lettonia - i riferimenti danteschi ne L'immortale sono tanti e lampanti - non era riuscito ad astrarsi dagli ambienti malavitosi neanche nel Nord Europa, come peraltro gli era già successo con la sua esperienza bulgara all'inizio della terza stagione.
Se il primo - quasi fosse un Thanos in chiave malavitosa - arrivava a questa stagione ammantato da un'aura di ineluttabilità e onniscienza, risultando sempre un passo avanti ai propri nemici e in grado di rinunciare ai propri affetti più cari pur di controllare al meglio gli equilibri della criminalità dopo gli errori commessi nelle prime stagioni, il secondo risultava gravato dalle stimmati del martirio.
Nel frattempo, il PM Walter Ruggieri - personaggio che rappresenta la prima vera incursione della giustizia non rappresentata dalle forze dell'ordine all'interno della serie - stringeva il proprio cerchio d'indagine attorno a Genny e i restanti clan napoletani, mutilati di diversi membri, vedevano il proprio odio verso la famiglia Savastano crescere incontrollabilmente.
['O Maestrale, una delle più grandi incognite della penultima stagione di Gomorra, ha il volto di Mimmo Borrelli, già protagonista di uno dei più interessanti film sulla lotta alla mafia prodotti nel nostro paese negli ultimi anni, L'equilibrio di Vincenzo Marra]
L'incipit della stagione aveva pertanto il compito gravoso di sbrogliare la matassa attorno alla situazione tra i clan napoletani e alla latitanza del protagonista, favorita da 'O Maestrale.
Il sanguinario boss ha un solo obiettivo: quello di uscire dal quartiere di Ponticelli assieme a sua moglie Luciana e migliorare la propria vita dopo una reclusione durata 20 anni.
Pertanto sceglie di allearsi con i Savastano stringendovi un legame profondissimo.
La latitanza di Genny e la violenza tra i clan comportano una maggiore vigilanza delle forze dell'ordine, le quali impediscono alle piazze di spaccio di operare: in questo contesto ci viene presentato 'O Munaciello, viscido capopiazza di Secondigliano pronto a tutto pur di accumulare posizioni nella gerarchia malavitosa, il quale giocherà un ruolo chiave nella chiusura dei conti nella guerra tra clan e negli equilibri interni dei suoi alleati.
['O Munaciello, personaggio dichiaratamente ispirato allo Iago dell'Otello di Shakespeare, è interpretato da Carmine Paternoster, già protagonista del Gomorra firmato da Matteo Garrone]
Altro personaggio chiave introdotto in questa stagione è quello di Donna Nunzia, moglie del mafioso di vecchio stampo 'O Galantommo, che presto si ritroverà a essere nemica della famiglia Savastano a causa del gravissimi torti subiti.
Su questo rinnovato scacchiere si gioca la partita finale tra Gennaro e Ciro, personaggi sul cui rapporto è fondata l'intera serie.
Una partita costellata, al solito, di tradimenti, frasi ad effetto e set piece di notevole difficoltà.
I due, lasciatisi come amici fraterni al termine della terza stagione, si riabbracciano a Riga ma si ritrovano ben presto, una volta per tutte, da parti contrapposte della barricata.
[Un piccolo recap dei nuovi personaggi apparsi in Gomorra - Stagione Finale, raccontati attraverso le voci degli attori]
Se il primo, attratto dal richiamo delle sue orgini, si ritrova distante da quella famiglia per cui aveva immaginato un futuro diverso e perde via via quella chiara sensazione di infallibilità accumulata nella stagione precedente, commettendo in serie una quantità di errori spropositata, il secondo diventa un personaggio quasi mistico.
Sempre meno loquace e mosso da un sentimento di vendetta, L'immortale diventa un'autentica figura cristologica: è risorto dalla morte e in grado di generare proseliti e venerazione.
Non è un caso che tutti si interroghino sulla sua natura umana, che spesso i suoi nuovi (o vecchi?) alleati ne parlino come di "Lui" e che siano pronti al martirio.
[Enzo Sangueblu è il personaggio maggiormente soggetto all'aura cristologica di Ciro di Marzio nella stagione finale di Gomorra]
Giunti a questo punto sarà emerso preponderante il più grande deficit nello sviluppo della serie: malgrado i parallelismi crossmediali siano un interessante approccio nella scrittura, il fatto che i due protagonisti siano paragonabili a un cattivo di fumettistica memoria e a una figura messianica mal si sposa con l'iperrealismo connaturato all'opera.
Tale poetica, perfettamente perseguita nella prima stagione di Gomorra, è stata via via accantonata nella sostanza, lasciando il passo a una vena maggiormente tendente alla battuta memorabile, a una dilatazione temporale di stampo teatrale e alla ricerca di un effetto domino nelle concause sin troppo perfetto negli effetti.
Un po' come nel Canto notturno di un pastore errante dell'asia di Giacomo Leopardi, i personaggi talvolta fuoriescono dal proprio statuto ontologico e tendono all'esistenzialismo filosofico.
Anche se - chiaramente - con una declinazione perversa, contaminata da pulsioni di morte e tendente alla concretezza nei fini.
Il tutto mentre, a livello formale, l'intento realistico risulta costantemente ricercato e perseguito.
Ma pur mettendo da parte la ricerca tout court del crudo realismo, anche la verisimiglianza sostanziale talvolta sembra vacillare, come avremo modo di esprimere in chiusura di questo articolo.
[Il tema del linguaggio tipico di Gomorra è così importante da aver portato alla nascita di un personaggio che, in controtendenza con gli altri, parla perfettamente italiano: Valerio 'O Vocabula']
Sembra, pertanto, che la natura pura di Gomorra sia stata via via contaminata da modelli pop di ispirazione internazionale, guadagnando in spettacolo ma perdendo un po' della propria integrità.
Di detto cortocircuito non si può che far menzione, pur sottolineando come la costante migrazione dal proprio statuto originario non possa inficiare in toto l'indiscutibile elevatezza del livello complessivo della serie, che ancora una volta presenta un'accuratezza nella costruzione del proprio mondo mai raggiunta nel nostro Paese.
Claudio Cupellini e Marco D'Amore maneggiano perfettamente gli strumenti e le regole di riferimento e danno vita a dieci puntate tesissime e immersive, in cui l'elevatissima mole di nodi da sciogliere conferisce alla narrazione un ritmo incessante, quasi asfissiante.
[Nel percorso produttivo di Gomorra c'è stato anche lo spazio per la realizzazione di divertenti backstage]
Il tutto senza che la messa in scena ricerchi mai un ipercinetismo che mal si sarebbe sposato con l'incedere dell'opera.
E questo è un assoluto merito.
A gravare sul cuore degli spettatori è infatti il peso degli eventi, oltre che il loro numero (forse fin troppo elevato).
Non una messa in scena martellante e incoerente coi propri epigoni.
L'intento di rappresentare le meschinità della malavita è ben rappresentato anche in questa stagione, seppur attraverso dei personaggi passionali, che portano il pubblico all'empatia.
Tale affermazione non deve, però, essere confusa con il discorso - più volte esposto e rimasticato dall'opinione pubblica - secondo cui questo genere di prodotti crei una mitizzazione della criminalità.
[Il mito di Scarface - nella versione di Brian De Palma - è costantemente citato all'interno delle varie promanazioni di Gomorra]
L'affezione ai personaggi è un elemento che dev'essere necessariamente curato da una serie così lunga e di successo, ma l'automatica sovrapposizione di questo aspetto con una prospettiva positiva sugli stessi e sulla conseguente emulazione è da rigettare alla base.
Come lo Scarface più volte citato da Roberto Saviano quale modello dei giovani camorristi, anche i personaggi di Gomorra portano la propria vita alla distruzione in nome della criminalità e del potere, vero filo conduttore della serie: il fatto che le loro parabole li abbiano portati a toccare dei punti di grande fulgore, opulenza o carisma impallidisce dinnanzi al peso della perdita dei propri affetti, della propria libertà e della propria vita.
Non a caso numerosi degli espedienti ed episodi criminali mostrati all'interno della serie hanno attinto da eventi reali e su racconti di Saviano non confluiti nel film: la realtà diventa una sorta di telaio su cui intessere la finzione.
Su queste basi, dunque, la mitizzazione non può che passare attraverso il travisamento del messaggio più che per gli intenti originari della produzione.
Il finale della serie possiede in effetti tutta la forza dissacrante che si confà a chi non è dotato di alcuna mistica, ci riconcilia con il senso più puro di realismo che permea i giochi di potere criminali.
Ci dice che, al di là di ogni affezione, in Gomorra c'è il Male.
Se volete leggere di più sugli eventi conclusivi di quest'epopea senza eroei, potete proseguire la lettura.
Perché, ne siamo certi, un finale così è nella mente di chi ha ideato Gomorra - La serie sin dal frame che ha aperto il pilota.
- Considerazioni sparse su un viaggio durato cinque stagioni: una puntigliosa appendice spoilerosa -
[Non rappresenta uno spoiler sapere che questa stagione di Gomorra intendesse chiudere i conti tra Ciro e Genny. Quanto segue invece sì! Fate attenzione, dunque: se proseguite lo fate a vostro rischio e pericolo!]
Quell'ultimo frame con cui si è chiusa Gomorra, con Ciro e Genny morti sul bagnasciuga, con le pistole ancora in mano, uno accanto all'altro, è probabilmente un'immagine nata assieme alla stessa Gomorra.
Troppo perfetta, simbolica ed evocativa per non chiudere perfettamente una narrazione così torrenziale.
Era stato lo stesso Ciro a profetizzarla poco prima, nella stessa puntata conclusiva.
In molti, compreso chi vi scrive, avevano ipotizzato che i due potessero uccidersi a vicenda, morendo insieme come conseguenza delle loro azioni durante la serie. E invece, il finale messo in scena è ancor più crudele e potente.
Perché anche ciò che ha portato alla loro morte è ammantato di un potente significato: i due vengono colpiti e uccisi dai proiettili esplosi da due "signor nessuno", lontano dal clamore, colti all'apice delle proprie emozioni, nel pieno della loro debolezza.
Non c'è mitizzazione - interna o esterna alla serie - che tenga: la crudeltà di quel mondo ti divora senza via di scampo e senza cerimonie.
[Sky ha pubblicizzato il finale di Gomorra attraverso due mini trailer recanti i ricordi dei protagonisti]
Il finale di Gomorra rappresenta al meglio il messaggio alla base dell'intera opera: che tu sia figlio mortale del re o l'immortale figlio di nessuno, se scegli una certa vita perisci nell'ignominia.
Su questo forte basamento si inserisce poi la finzione. I due muoiono dopo l'ultima battaglia insieme, in seguito a un nuovo momento di catarsi di Ciro che, travolto dal loro vissuto comune, apre per Genny gli spiragli per scappare con la sua famiglia, finge di voler sparare al piccolo Pietro e poi li lascia andare.
E dopo che Genny sceglie ancora una volta di rimanere, prediligendo le sue origini e il suo nemico fraterno a un futuro con sua moglie e suo figlio, per poi morire per primo, perché meno esperto in battaglia. Così facendo porta Ciro ad abbassare la guardia dopo aver pianto sul suo corpo.
Condannandolo a morte.
Quella famiglia scappata grazie al loro sacrificio, però, al contrario di quanto affermato dai protagonisti, non è innocente: una via di scampo è arrivata solo grazie alla forza dei soldi sporchi e alla scia di sangue che madre e figlio si sono lasciati dietro.
E questo, come fatto intendere da una sagace battuta di Donna Nunzia, li rende tutt'altro che innocenti.
[Siamo certi del fatto che i fan più hardcore di Gomorra avranno intuito parte dello svolgimento degli ultimi due episodi, ivi incluso il finale, dal momento in cui Ciro e Genny si sono dichiarati guerra per l'ultima volta]
Un finale preparato con cura e composto attraverso un paziente gioco di attese, reso possibile dall'ennesimo doppio gioco di Ciro.
Una soluzione che agli appassionati di vecchia data sarà sicuramente apparsa plausibile sin dalla chiusura della nona puntata.
Proprio per giocare con la nostra memoria collettiva sulla serie, dunque, abbiamo deciso di ripercorrere insieme alcuni momenti chiave di Gomorra, interrogandoci su alcune zone d'ombra che di tanto in tanto la scrittura della serie ha proiettato.
Come per ogni prodotto in grado di generare affezione, per Gomorra - La serie il tasso di puntiglio dei suoi spettatori è piuttosto elevato.
L'obiettivo di questa appendice è quindi quello di fotografare alcuni dei dubbi diffusi fra gli appassionati su certi snodi cruciali susseguitisi lungo l'arco narrativo, non di certo quello di smontare l'impianto complessivo di scrittura di un prodotto che, si torna a ribadire, ha prodotto fulgidi apici drammaturgici.
Una disamina che voglia ritenersi integra tanto sul finale della quinta stagione quanto sugli eventi che l'hanno preceduta, non può infatti che fondarsi sulla necessaria analisi di alcuni eventi chiave.
Per farlo, urge fare un importante passo indietro, fino all'episodio 3 della seconda stagione: quello al termine del quale il pubblico saluta un personaggio che sembrava intoccabile come Salvatore Conte, fino a quel momento autentico antagonista della famiglia Savastano.
Un colpo di scena arrivato al termine di una puntata pressoché monografica dedicata al personaggio, riuscitissimo per la sua capacità di trasmettere la precarietà delle esistenze di quegli uomini di malavita e il perenne senso di pericolo che doveva ammantare l'intero prodotto.
[Ci stiamo avventurando nei dettagli della serie: ecco un recap delle prime quattro stagioni di Gomorra per rinfrescarvi la memoria]
Da quel momento in poi, però, questa tecnica di narrazione verticale costruita su un personaggio che sarebbe morto a fine puntata ha preso piede in maniera dilagante all'interno della serie, inficiando soprattutto seconda e quarta stagione.
Lo stesso schema, seguito allo sfinimento, porta alla fine di 'O Principe, 'O Nano e tanti altri personaggi importanti, le cui morti hanno portato a un effetto domino leggibile e un po' stantio a livello drammaturgico.
La scelta di portare il pubblico a una maggiore affezione verso un personaggio sospeso sul filo ha gravemente danneggiato la suspense e permesso di leggere in anticipo gli eventi imminenti, ivi inclusi gli agguati e i tradimenti.
[Giunti al momento della morte di 'O Principe, gli spettatori di Gomorra avevano già appreso chiaramente lo schema narrativo proposto]
Il risultato è stato un'impennata nel kill count ma un depotenziamento terrificante di alcuni personaggi interessanti e funzionali
Il caso più lampante in questo senso, è quali Valerio 'O Vocabula', morto e precocemente estromesso dalla quarta stagione di Gomorra a causa del tradimento di un suo compagno di clan, 'O Golia.
Un evento come questo, capitato a un personaggio fondamentale per portarci alla morte apparente di Ciro di Marzio, ha prodotto l'effetto di trascinare definitivamente il suo fraterno amico Enzo Sangueblu in uno stato di simil-abbandono; il risultato è però depotenziato, immolato sull'altare di uno scaglionamento predefinito di eventi più che conseguente alle frizioni interne al clan.
Frizioni, comunque, anch'esse mal rappresentate e sbrigative.
[La figura di Valerio, ragazzo di buona famiglia sedotto dalla criminalità, in Gomorra è stata accantonata in fretta senza sfruttarne le piene potenzialità]
Non è un caso che a cavallo tra queste due stagioni incardinatesi su questo schema, si sia scelto di riportare in auge l'amicizia tra Genny e Ciro, portandoli a dimenticare i reciproci torti al fine di smuovere la narrazione e conferire al duo quella sensazione di coesione contro il mondo che ben funziona con l'intento di creare affezione duratura nell'audience.
Una scelta originariamente pensata per dire addio al personaggio più amato della serie, Ciro, che però si è rivelata completamente incoerente con la trovata centralità del personaggio di Patrizia nel prosieguo di Gomorra.
Dopo essersi presentata come fortemente determinata a vendicare Don Pietro, quest'ultima mai avrebbe potuto, accettare senza un fiato di spalleggiare l'assassino del suo amante e di suo zio, l'uomo che aveva torturato la sua famiglia portandola a venirne ripudiata.
La fedeltà riposa fino alla morte nei Savastano è una risposta certamente plausibile, ma rappresentare un minimo del contrasto interiore di un personaggio si sarebbe ben prestato anche al successivo sviluppo dello stesso.
Patrizia è, infatti, poi divenuta uno dei cardini della Stagione 4, nella quale ha dovuto fronteggiare con maggior forza il medesimo interrogativo.
[Patrizia è una colonna delle stagioni centrali di Gomorra, ma talvolta la sua caratterizzazione risulta perfettibile]
Restando focalizzati sui difetti di caratterizzazione attorno a Patrizia, sarebbe stato lecito attendersi una fine meno improvvisa e sbrigativa - a cavallo tra le due stagioni conclusive - della rivalità tra Savastano e Levante.
Questi ultimi avevano i crismi per poter raccogliere, nella quarta stagione di Gomorra, l'eredità e il mistero di Salvatore Conte e invece hanno ottenuto una caratterizzazione complessiva relativamente poco edificante.
Le potenzialità di questa famiglia dell'entroterra campano, tanto potente da poter eliminare un sindaco da loro fatto eleggere, religiosa e tradizionalista fino alla nausea avrebbero potuto essere decisamente meglio sfruttate.
Tra tutti gli episodi, basti pensare l'incoerenza di Don Gerlando Levante nel trattare il fidanzamento tra l'ex ambasciatrice dei Savastano e suo figlio Mickey.
[Il trailer della quarta stagione di Gomorra restituisce la chiara importanza dei Levante e di Patrizia]
Giunti a questo punto è obbligatorio spendere qualche parola per la resurrezione di Ciro Di Marzio avvenuta tra terza e quinta stagione di Gomorra.
La scelta di presentarlo, malgrado avesse subodorato la trappola del clan di Forcella, volutamente indifeso e pronto a morire in nome della sua amicizia con Genny per espiare le sue colpe passate è una trovata molto riuscita per chiudere il sipario sul personaggio.
Ciro, esaurito quel "tratto di strada" con Genny, aveva perso ogni spinta a vivere: questa perversa forma di catarsi criminale, giunta dopo un climax (auto)distruttivo, avrebbe chiuso il cerchio senza sbavature.
E invece.
Pur ammettendo che si possa non morire dopo un colpo di pistola sparato in petto a bruciapelo e ci si possa riprendere dopo essere stati recuperati dalle gelide acque del Golfo di Napoli, tocca ammettere che le spiegazioni fornite sul fatto risultano carenti e mal poste.
Innanzitutto è possibile che dei pescatori mandati da Don Aniello abbiano recuperato, senza esser visti da nessuno dei presenti sullo yacht del clan di Forcella, il corpo prima che il protagonista non si dissanguasse? E poi, per un colpo del genere, va almeno abbozzata una qualche spiegazione di natura medica, o almeno circostanziale.
Quel colpo si è fermato lì, non verrà mai estratto, ma al contempo non farà mutare nemmeno di una virgola lo stile di vita di Ciro, che resterà fino al finale di Gomorra la macchina da guerra che abbiamo sempre conosciuto.
[La scena più famosa di Gomorra - La serie? Probabilmente sì]
Al suo risveglio, inoltre, Ciro si ritrova a interagire in Lettonia con una serie di personaggi sin troppo debolmente caratterizzati per lasciarci indifferenti, soprattutto in un quadro ben delineato come quello a cui ci ha abituati Gomorra.
I criminali locali si fanno buggerare per due volte con lo stesso metodo, il boss russo di fatto si autodistrugge chiudendosi in un vicolo cieco, il suo mentore Bruno è il personaggio mosso dalle motivazioni più deboli dell'intero franchise di Gomorra e Vera, la prima donna affiancata a Ciro dai tempi di sua moglie, è in grado di architettare un attentato mezza giornata dopo aver perso suo marito.
Con un esplosivo preso dove non si sa, peraltro.
Ma questo è un problema un po' ricorrente in tutta Gomorra, che in quest'occasione si estremizza per le tempistiche ristrette e il fatto che il protagonista "non gioca in casa".
Insomma, la parentesi lettone del personaggio è tutt'altro che esente da critiche, soprattutto se si considera il ricongiungimento finale con Genny.
[L'immortale porta in scena il debolissimo personaggio di Bruno - il mentore di Ciro prima degli eventi ritratti in Gomorra - che tradisce due volte il protagonista perché "ha vissuto la vita che sarebbe spettata a lui" (sic!)]
Quest'ultimo, sentendosi tradito e abbandonato, lo vende al suo broker e lo fa imprigionare, portandolo a un'evasione pressoché immediata e di irrisoria facilità.
Un'occasione che avrebbe potuto essere colta con maggiore calma in fase di scrittura, che invece viene seguita immediatamente dal ritorno in cerca di vendetta de L'Immortale.
Ma da chi va Ciro per cercare vendetta?
Da Enzo Sangueblu, l'uomo che di fatto ha ordinato il suo omicidio e che, peraltro, aveva già tradito nella terza stagione, servendosene per permettere a Genny di riacquistare il proprio potere.
Ciò che più stupisce, però, di questo malsano ricongiungimento tra allievo e maestro è la narrazione secondo cui Ciro, che aveva manipolato Enzo e portato alla decimazione del suo clan, torna da lui perché si sente "suo fratello". Lo stesso fratello che ha ordinato la morte di sua sorella e l'ha candidamente ammesso in punto di morte, ovviamente.
Lo stesso Enzo di cui, però, si dimenticherà in fretta per permetterci di godere di quel finale perfetto per Gomorra di cui vi abbiamo già parlato.
[Enzo Sangueblu è, per distacco, il personaggio più sfortunato nelle amicizie dell'intera Gomorra]
Non appena i due si ricongiungono, poi, tendono un agguato nel cuore di Secondigliano a due uomini di Genny: perché anzichè griffare un annuncio sui muri del quartiere (vero, l'effetto scenico è senz'altro una dote intrinseca a Gomorra) non hanno continuato a muoversi nell'ombra mietendo vittime in relativa tranquillità?
Ma di incongruenze nei comportamenti dei personaggi la quinta stagione è costellata: per quale motivo Gennaro si limita a un irrispettoso gesto dimostrativo e non ordina l'uccisione di Donna Nunzia quando sua moglie Azzurra, appena sfuggita a un attentato, glielo chiede?
Questa leggerezza, però, possiamo perdonarla. Su di essa viene fondata l'intera catena di crudeli ricatti e vendette che permettono alla quinta stagione di Gomorra di prestare di un'attenzione così minuziosa alle famiglie di chi delinque.
Un aspetto che si erge tra le nuove prospettive trattate dalla serie e si caratterizza per lo strazio dilaniante che si insinua nella maternità, nel matrimonio e tra i rapporti più stretti di chi sceglie un percorso criminale.
[Il saluto di Salvatore Esposito al suo Gennaro, vero protagonista di Gomorra]
Meno comprensibile è come arrivi la vendicativa Nunzia a poter interagire direttamente con Ciro Di Marzio e i suoi alleati.
Dovremmo davvero credere che bastasse "un'ambasciata" di un soldato semplice per portare la vedova di un boss a usare i suoi uomini più importanti far uscire in sicurezza l'intero clan da Forcella?
E ancora: il passaggio dalla latitanza alla totale libertà di Genny per merito delle dichiarazioni di Azzurra risulta brusco, semplicistico e straniante; il PM Ruggieri - che nella quarta stagione aveva detto di non provare alcun sentimento verso il figlio - viene ricattato proprio attraverso il sequestro del bambino.
Infine, complice il posizionamento dell'evento a cavallo di due puntate, la facilità con cui si comprende che 'O Maestrale non ha davvero ucciso sua moglie Luciana dopo il tentato tradimento di quest'ultima al suo clan è davvero disarmante.
Insomma, ciascuna di queste imperfezioni, talvolta nei comportamenti, talaltra nei rapporti causa-effetto, contribuisce a restituirci la chiara sensazione di essere dinnanzi a una finzione, ben orchestrata e più che mai coinvolgente, ma impronata sempre più alla ricerca del colpo di scena più che alla giusta quadratura tra forma e sostanza.
Il conseguente gioco di incastri di tradimenti e controtradimenti è quasi troppo geometrico per essere reale, ma è conseguenza naturale di un gioco drammaturgico in cui non è possibile fare prigionieri e che, per trovare la propria definitiva e degna chiusura, non deve lasciare in vita nessun personaggio noto.
Un reset totale che, però, seppur con delle modalità fortemente permeate dalla finzione, porta a conseguenze realistiche: l'oblio per chi muore, il dolore per chi resta, una landa desolata da colonizzare per chi vuole avvelenarsi dello stesso male che ha ucciso i suoi predecessori.
Per questo, pur con delle direttrici ben diverse da quelle originariamente ipotizzabili, Gomorra ci porta all'unica conclusione ammissibile sin dalla sua genesi.
Ci porta a contemplare il male che divora sè stesso.
E lo fa dopo un percorso che, prima del suo avvento, nel nostro paese non era mai stato neanche ipotizzabile.
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