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Squid Game, serie TV sudcoreana scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, è diventata ufficialmente la serie TV più vista di sempre su Netflix.
La piattaforma streaming ha raccolto intorno a sé giudizi polarizzati: c'è chi la odia come se la sua sola esistenza sancisse la definitiva caduta del prodotto audiovisivo e chi la idolatra come un'antica divinità.
Ovviamente la questione è più stratificata, lo scontro tra tifoserie lascia il tempo che trova ed è indubbio, a prescindere da quanto si voglia chiudere gli occhi davanti alla realtà dei fatti, che Netflix sia penetrata nel substrato culturale, influenzando la cultura pop in modo immediato.
Il fenomeno Squid Game è la dimostrazione di questa complessità.
[Il trailer di Squid Game]
Il successo della serie è sorprendente, ma non totalmente imprevedibile: negli ultimi anni si è assistito a una progressiva e inesorabile riscoperta della Corea del Sud da parte del mondo occidentale.
Dal successo internazionale della musica k-pop agli stilisti coreani che hanno colonizzato le fashion week di tutte le capitali della moda: il terreno su cui è cresciuto il successo commerciale di Squid Game era già più che fertile.
Passando ai prodotti audio-visivi non si può non citare Parasite (2019) e, in generale, Bong Joon-ho: la vittoria agli Oscar di un film in lingua sud-coreana è un vero spartiacque nella Storia del Cinema.
Per gli Oscar si può fare un discorso non dissimile a quello di Netflix: c'è chi storce il naso di fronte all'Academy Award, vantandosi di una conoscenza ben più solida dei prestigiosi Festival europei, che guardano a registi del calibro di Hong Sang-soo e Kim Ki-duk decisamente da molto più tempo.
Ciò che però il cinefilo più rodato ignora - o decide volontariamente di ignorare - è che le vittorie agli Oscar innescano una serie di meccanismi distributivi, economici e sociali ad ampio respiro che trascendono dalla qualità intrinseca delle opere presentate.
Parasite di Bong Joon-ho, portando avanti una riscoperta del Cinema sud-coreano iniziata con la vittoria di Oldboy (2003) di Park Chan-wook nel 2004 del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, è entrato a pieno diritto non solo nelle collezioni dei cinefili di tutto il mondo, ma nella cultura pop.
[Lee Jung-jae è Seong Gi-hun, protagonista di Squid Game: in questa scena non vi ha ricordato il sorriso disperato di Dae-su in Oldboy?]
Uno dei temi più cari del Cinema sud-coreano degli ultimi anni è sicuramente quello delle disparità sociali ed economiche e dell'inettitudine di istituzioni e forze dell'ordine: possiamo citare il raffinato Burning (2019) di Lee Chang-dong, l'horror The wailing (2016) di Na Hong-jin, Memorie di un assassino (2003) del già citato Bong Joon-ho, distribuito in sala in Italia soltanto lo scorso anno in seguito al successo di Parasite.
È da qualche mese che Netflix si sta occupando della distribuzione di k-drama, un formato televisivo sud-coreano che rispetto al Cinema dello stesso Paese ha toni diametralmente opposti, rappresentando una forma di escapismo più che di analisi della società: principalmente si tratta di drammi storici o epici oppure incentrati su intrecci amorosi ai nostri giorni.
Abbiamo anche esempi antecedenti a Squid Game di k-drama distribuiti da Netflix che cercavano di discostarsi un po' dallo stereotipo del genere, come Sweet Home (2020) o Kingdom (2019), a dimostrazione del fatto che non solo l'Occidente si sta avvicinando alla Corea, ma che anche la Corea guarda alle ambizioni televisive occidentali.
Quello che è certo però è che Netflix, prima di Squid Game, si era già preoccupata di fidelizzare gli appassionati di k-drama che ormai sono una fetta di mercato non più trascurabile.
Squid Game riprende i temi della cinematografia sud-coreana in modo molto esplicito - a volte fin troppo - utilizzando un'estetica pastello, giocosa, zuccherina: il target a cui si riferisce dunque comprende un'ampia fetta di popolazione, dal cinefilo orientalista a chi orbita attorno al mondo dei k-drama, della musica e della moda.
[Sangue e pastelli: le scale di M.C. Escher in Squid Game]
Emblematico in tal senso anche il cast della serie: Gong Yoo e Wi Ha-joon, rispettivamente il reclutatore e il poliziotto, sono due star e sex symbol della TV coreana, Jung Ho-yeon nel ruolo di Kang Sae-byeok è una famosa modella e Lee Byung-hun, nel ruolo del misterioso front-man, è un attore che non ha bisogno di presentazioni: protagonista di pellicole di spessore come Bittersweet life (2005) e I saw the Devil (2010), entrambi diretti da Kim Ji-woon, ha lavorato più volte anche in produzioni occidentali.
Non è un caso nemmeno che tra i rumor di un'ipotetica - e molto probabile - seconda stagione di Squid Game siano apparsi anche nomi di spicco della scena musicale k-pop.
Di cosa parla quindi Squid Game, la serie sud-coreana che ha fatto impazzire il mondo intero?
456 persone indebitate fino al collo per i motivi più disparati decidono di partecipare a un survival game, basato su giochi dell'infanzia, per guadagnare un'immensa somma di denaro, che diventa sempre più alta con l'aumentare delle vittime.
Ciò che distingue Squid Game da molti prodotti basati sugli stessi presupposti è il libero arbitrio, la possibilità dei partecipanti di scegliere se partecipare o meno a questo gioco al massacro.
Persino di ritirarsi se la maggioranza è d'accordo.
Senza svelare altri dettagli della trama è opportuno concentrarsi sugli sviluppi già intuibili da questi presupposti: la formazione di gerarchie tra i partecipanti, l'opportunismo, le amicizie di convenienza, il vacillamento dei principi morali quando lo spirito di conservazione prende il sopravvento, gli sprazzi di lucidità nei momenti in cui si gioca a "un, due, tre stella" con la morte.
[Sapete che dice l'inquientante bambola nel primo episodio di Squid Game? “Il fiore di ibisco è sbocciato“]
Assistiamo dunque a una sanguinosa e cruenta lotta tra poveri sotto lo sguardo vigile di uomini ricchi, che si sollazzano beatamente di fronte a centinaia di vite distrutte.
È una metafora nemmeno troppo sottile di un sistema fratricida che spinge a una lotta incessante tra poveri, abbandonati dal sistema previdenziale e spinti l'uno contro l'altro da una società competitiva.
Sull'isola dove si svolgono i giochi vige un sistema apparentemente egualitario, dove tutti hanno possibilità di emergere e diventare milionari; è solo un'illusione, la rappresentazione di una realtà in cui la fantomatica meritocrazia non è nient'altro che una gara di scaltrezza, in cui i migliori sono soltanto coloro che sono stati più cinici, che hanno stretto alleanze migliori.
Che hanno calpestato cadaveri.
[In Squid Game Jung Ho-yeon interpreta una ragazza nord-coreana]
È il modo in cui ci accapigliamo per accaparrarci qualche spicciolo, mentre i ricchi del mondo diventano sempre più ricchi: del resto Squid Game arriva anche dopo la pandemia, situazione in cui la forbice sociale sembra essersi allargata in modo irrimediabile.
Anche il libero arbitrio non è che un miraggio: rinunciare al gioco vuol dire tornare di nuovo ad essere vessati all'esterno, morire soli, poveri, magari fatti fuori dalla malavita o schiavizzati dai datori di lavoro.
Per la maggior parte dei partecipanti rischiare il tutto per tutto è l'unica soluzione sensata, di fronte a un mondo che li ha abbandonati e non è pronto a perdonarli per i propri errori e reintegrarli nella società.
Il gigantesco montepremi è un vagheggiamento utopistico, il miraggio di una ricchezza possibile, ma che in realtà non è nient'altro che un premietto, il contentino da propinare a qualche poveraccio per coltivare l'illusione che tutti, nella vita, possano farcela.
Squid Game riesce a costruire una metafora sociale puntuale, precisa e interessantissima seppur molto meno elegante e stratificata rispetto ai suoi cugini cinematografici citati in precedenza.
Il limite di Squid Game sta probabilmente nella scrittura dei personaggi, a volte fin troppo stereotipati per essere credibili in situazioni simili.
La moralità granitica o, all'opposto, l'inspiegabile sadismo di alcuni personaggi spingono a un tifo spicciolo e ad un'empatia destinata a non persistere di fronte al giudice più implacabile: il tempo.
Io che scrivo, ad esempio, credo di essere tra le poche estimatrici al mondo di Song-woo (Park Hae-soo), il personaggio più odiato di Squid Game: trovo che la scala di grigi che presenta durante tutto il suo percorso in Squid Game sia quella descritta con più cura e realismo.
[Song-woo e Gi-hun in Squid Game]
Attenzione: se i sapori decisi non vi aggradano Squid Game non è la pietanza che fa per voi.
La serie infatti non si esime dal presentare sangue e pile di cadaveri; se il vostro modello di survival game è Hunger Games procedete nella visione a tentoni.
Se invece siete abituati alla carne cruda e alle teste esplose di Battle Royale potete andare avanti a testa alta e non rimanere affatto sorpresi.
A proposito di Squid Game e Battle Royale (2000): a chi bazzica un po' le aspre lande animate e cinematografiche del Sol Levante saranno venuti in mente diversi paragoni.
Il più popolare e recente è sicuramente Alice in Borderland (2020), non a caso un altro prodotto Netflix.
Non si può non citare il Maestro Takashi Miike con As the Gods Will (2014), film ambientato in una scuola superiore dove i ragazzi devono, molto similmente a Squid Game, sopravvivere partecipando a dei giochi per bambini.
[Un frame dal truculento As the Gods Will di Takashi Miike]
Non basterebbero le dita delle mani di cinque persone per contare quanti anime e manga survival game sono stati prodotti in questi decenni.
Mirai Nikki, Highschool of the Dead, Deadman in Wonderland, Danganrompa, Gantz sono solo tra i più popolari esponenti del genere e probabilmente nemmeno tra i più qualitativamente interessanti.
Il survival game, in cui solitamente i protagonisti sono giovanissimi a differenza dei personaggi principali di Squid Game, sono sempre stati uno dei modi per raccontare una delle piaghe delle società dell'Estremo Oriente, soprattutto quella giapponese, in cui viene incentivata un'estrema competitività già tra i banchi di scuola e le persone vengono ineluttabilmente identificate in base al ruolo nella società, con ben poche possibilità di catarsi.
Squid Game, nonostante alcuni limiti di scrittura, ha il pregio di ampliare questo genere portandolo a una dimensione più estesa, facendo tesoro di alcune lezioni imparate sia dalla stessa cinematografia sud-coreana sia dalla serialità occidentale.
Tra bufale e clickbait per CineFacts.it sopravvivere al marasma è un'ardua impresa, quasi un Survival Game.
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2 commenti
Erik Nicoli
3 anni fa
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Lorenza Guerra
3 anni fa
In ogni caso grazie per l'apprezzamento, sempre gentile!
Non è il massimo per chi conosce quel mondo, ma magari ogni serie fosse così... Da appassionata di quel mondo sono comunque contenta del successo ottenuto
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