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Gillo Pontecorvo nel 1966 firmò la regia di La Battaglia di Algeri, un film che racconta con realismo quasi giornalistico la lotta per l’indipendenza dell’Algeria.
Una pellicola rimasta nella Storia, considerata una gemma preziosa - oltre che un modello - dal mondo cinematografico intero.
La battaglia di Algeri è un film scomodo, realizzato con attori non professionisti in stile quasi documentaristico e impreziosito dalla colonna sonora - come sempre straordinaria - di Ennio Morricone.
Dopo un’iniziale attività come critico cinematografico, attore (era Pietro ne Il sole sorge ancora), aiuto-regista (Totò e Carolina, Le infedeli, Amore in città) e, soprattutto, come documentarista (Porta Portese, Missione Timiriazev, Pane e zolfo, Cani dietro le sbarre), Gillo Pontecorvo esordisce come regista dirigendo il mediometraggio Giovanna.
[Gillo Pontecorvo sul set de La battaglia di Algeri]
La battaglia di Algeri è invece il suo terzo lungometraggio, con il quale, nel 1966, il regista esprime al massimo la sua concezione di “Cinema verità”.
Diversi gli espedienti che lo collocano a pieno in questo filone: l’utilizzo di attori non professionisti; la scelta di non dare vita a quelli che potrebbero risultare dei protagonisti ben definiti ma di far assurgere i suoi personaggi a icone, emblemi delle opposte fazioni impegnate nella battaglia algerina; oltre che la ferma volontà di non schierarsi in favore né dei francesi né dei nordafricani.
Anche se, a conti fatti, l’ago della bilancia penderà decisamente di più dalla parte dei colonizzati in lotta per la libertà.
La Battaglia di Algeri si apre con un rastrellamento compiuto dai Parà il 7 ottobre 1957 ad Algeri, per catturare uno dei capi della rivolta, Alì La Pointe (Brahim Hadjadj), asserragliatosi con un compagno di rivolta, una donna e un ragazzo, in un nascondiglio segreto.
E subito scatta il flashback.
Lo spettatore si ritrova catapultato nella Algeri del 1954 dove il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) lancia un primo appello alla popolazione della Casbah.
Un giovane delinquente di strada, Alì La Pointe, che vivacchia imbrogliando i passanti col gioco delle carte, viene reclutato dai patrioti che lottano per la liberazione dell’Algeria.
Preso lo spunto rievocativo, il film non si ferma sulle mosse del giovane Alì, ma inizia la cronaca delle azioni clandestine, raccontando con minuzia giornalistica tutte le atrocità della guerriglia, i reciproci attentati nei locali pubblici e nella Casbah, le sparatorie per le strade e le retate: una catena di brutalità che riempie a lungo le prime pagine dei giornali dell’epoca di tutto il mondo.
Fino al momento in cui il governo francese decide di affidare ai paracadutisti del Colonnello Mathieu, interpretato da Jean Martin, il compito di soffocare la rivolta con ogni mezzo possibile (compresa la tortura).
Dopo il largo affresco sulle violenze collettive, la figura di Alì torna in primo piano: è lui l’ultimo capo rivoluzionario rimasto latitante che i parà vogliono snidare dal nascondiglio visto all’inizio del film.
Ma il giovane rivoluzionario ha ormai le qualità morali dell’eroe; si rifiuta di uscire e muore da martire per la libertà.
Dopo una serie di proteste di piazza, con nuovi morti e feriti, il film si conclude ricordando che, qualche anno dopo la battaglia, il FLN torna a organizzarsi riuscendo finalmente a portare il paese all’indipendenza, proclamata il 5 luglio 1962.
La battaglia di Algeri può essere visto con tre chiavi di lettura differenti, ognuna costituita da due elementi contrapposti: il singolo individuo (Alì La Pointe, il Colonnello Mathieu), il gruppo (i rivoluzionari, i paracadutisti), la folla dei francesi e degli arabi.
L’opera di Pontecorvo riesce perfettamente a integrare tutti questi elementi, articolando il racconto in modo da fonderli in una grande forza corale.
Intento raggiunto solamente in parte, fino al momento in cui la sua sicurezza d’osservatore e il tono documentaristico del film si scontrano con personaggi che non possono limitarsi "all’agire", all’entrare e uscire dalla folla, ma devono aprir bocca.
Egregiamente illustrato dalla cruda fotografia di Marcello Gatti nello stile dei cinegiornali di guerra, La battaglia di Algeri è un film ruvido e aspro finché la macchina da presa si muove nei meandri della Casbah, quando segue gli attentati e le esplosioni, finché insomma inventa con l’aria di registrare e lascia parlare i fatti.
Mentre amio avviso perde invece mordente nella maggior parte dei dialoghi.
Impossibilitato a usare il dolly e il carrello dall’angustia delle strade della Casbah, Pontecorvo opta per un uso deciso della macchina a mano, per essere sempre pronto a seguire i personaggi e le loro azioni.
A questo scopo spesso le riprese vengono effettuate con un teleobiettivo.
Per evidenziare particolari o dettagli importanti, poi, il regista ricorre all’uso di panoramiche o carrelli ottici.
Le panoramiche su Algeri, con la descrizione delle due città, la Casbah in alto e la città europea sotto, hanno una grande carica descrittiva.
Ogni avvenimento, ogni zona di città mostrata, è dipinto con cura ed estrema nitidezza.
La narrazione dei fatti, alla fine dei conti, si conclude con la vittoria di Mathieu e dei parà.
Solamente come epilogo compare sullo schermo un testo, letto da una voce fuoricampo, che racconta come anni dopo con moti di piazza e proteste corali della popolazione finalmente l’Algeria conquistò la sua libertà.
Il risultato finale ottenuto da Pontecorvo è assolutamente straordinario, la carica realistica del film è eccezionale, tanto da far credere allo spettatore di assistere a un documentario sulla rivoluzione algerina e non a una pellicola che dà solo una ricostruzione dei fatti, con tanto di attori e sceneggiatura.
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1 commento
Adriano Meis
6 anni fa
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