#CinemaeFilosofia
Sub lege libertas, sotto la legalità, la libertà. Nelle postille a Il nome della rosa, Umberto Eco scrive: ''Occorre crearsi delle costrizioni per poter inventare liberamente''.
E io pure credo che il più delle volte occorrano delle limitazioni razionali perché il sentimento e la creatività si possano esprimere appieno, e gli esempi sono innumerevoli: le regole nello sport che, soltanto quando rispettate, liberano la possibilità del gioco e del pieno divertimento.
Non è un caso che i bambini quando decidono di fare una partita a calcio fatichino sempre a capire che sarebbe meglio evitare di mettersi subito a correre disordinatamente tutti dietro al pallone - il che capita immancabilmente - e che sia invece meglio, appunto, fermare pallone e voglia di correre per darsi, prima di tutto, le regole base come palla o campo e la designazione delle due squadre, perché il divertimento sia, allora, davvero di tutti.
E così nella poesia, dove le regole della metrica e della rima possono parere una forza costrittiva nei confronti della più pura espressione e invece diventano quei margini necessari che delimitano il campo del bel poetare, in altre parole: chi impara ad esprimersi all’interno di quei margini che la tradizione ha definito come quelli esteticamente migliori starà allora liberando qualcosa di davvero grande che non i cultori dei versi liberi.
E ancora, nel teatro, dove l’apparente costrizione delle battute dettate dal copione consente in realtà allo spettatore di apprezzare maggiormente i momenti per lui più liberatori, che sono quelli dell’improvvisazione (che pure segue un canovaccio).
In scena, inoltre, è necessario che l’attore impari delle regole: una su tutte l’alternanza delle battute con i propri colleghi-attori, l’occupazione omogenea dello spazio scenico e l’attenzione a che tutto (non solo ciò che lo riguardi strettamente) proceda ai fini di un’opera complessivamente di qualità.
In questi tre mondi non esiste anarchia, pena la mal riuscita del gesto tecnico.
E proprio quest’ultimo mondo è servito a portarmi e quell’altro campo dove il principio sub leges libertas trova, per così dire, la sua consacrazione, ed è proprio quello della musica.
Esattamente come su di un palco teatrale, quando si suona bisogna avere orecchio anche per gli altri strumenti dal principio alla fine; all’inizio di un’opera sinfonica (ma anche quando si suona una canzone fra amici con almeno due chitarre) la prima cosa da fare è accordare gli strumenti fra di loro, insomma, mettersi d’accordo, come i bambini di cui sopra.
Solo così l’esecuzione si libererà in tutta la sua bellezza regolata e perfetta.
In questo senso il ruolo del direttore d’orchestra è davvero emblematico. La musica jazz, capirete, ha delle sottigliezze in tal senso.
Naturalmente Whiplash ha moltissimo a che fare con questo tema.
È un film sul sacrificio, sul rigore, sui limiti: è giusto valicarli al fine di essere uno dei grandi?
E se sì, quando si deve farlo?.
Su questo ultimo tema invito a osservare la stupenda locandina.
Essere perfetti significa essere rigorosi, puntuali: essere esattamente dove si deve essere senza, quindi, rallentare o accelerare i tempi ("Not quite my tempo!").
Ma non solo.
Whiplash racconta anche di un adolescente schiacciato da un’incredibile pressione psico-emotiva, e se all’inizio si è portati a credere che il motivo di ciò sia tutto da ricondurre all’influenza del personaggio di J. K. Simmons (Terence Fletcher), man mano che la pellicola scorre si comprende come molto derivi semplicemente dall’eccezionale ostinazione del ragazzo posto dal suo maestro sulla giusta strada per diventare qualcuno degno di memoria.
Ora, io non condivido il metodo utilizzato da Fletcher, la musica è anche soddisfazione positiva e gioia di compiere un bel gesto, ma non lo condanno in toto.
Di per sé la storia narrata è come uno stupendo ed efficacissimo discorso motivazionale, tecnicamente, poi, è semplicemente sublime.
Da notare come di tempo in Whiplash se ne parli davvero molto; nel Cinema lo scandire degli eventi e delle azioni è compito del montaggio.
Per i film si è soliti parlare di A.S.L (durata media dell’inquadratura) per avere una misura della frenesia degli stacchi di montaggio e, normalmente, anche per un film di azione questa misura si attesta sui 3 - 4 secondi circa.
La durata media delle inquadrature di Whiplash deve essere irrisoria.
La regia stessa è davvero virtuosa, con moltissimi primi piani e dettagli, fino all'intera sequenza composta interamente da panoramiche a schiaffo fra il direttore d'orchestra e il batterista che si rimbalzano il diritto alla preminenza dell'uno sull'altro.
Passionale, dirompente, nervoso.
Un'opera che è uno schiocco eccitante nel mondo del cinema: un colpo di frusta, un whiplash.