#CinemaeBirra
La tagline de La Vita è un Sogno (Dazed and Confused), film di Richard Linklater del 1993, riporta
''It was the last day of school in 1976, a time they'd never forget... if only they could remember.''
Un riassunto tanto semplicistico quanto esaustivo di questo terzo film del regista texano: il film racconta l’ultimo giorno di scuola di alcuni studenti delle medie e delle superiori dei sobborghi di Austin in Texas.
''If I ever say these where the best years of my life, remind me to kill myself''
Randall “Pink” Floyd
Sinossi
Guardiamo l'etichetta: un breve riassunto del film (per chi soffrisse gli spoiler salti gli ultimi paragrafi).
In pieno stile linklateriano - un po' come quando si dice che una birra è in stile, ovvero che rispetta i canoni di un certo stile di birra (Stout, Pils, IPA, ecc...) - tutto La Vita è un Sogno si svolge in un lasso di tempo ristretto, per la precisione nell'arco di ventiquattr'ore: da un lato le future matricole cercano di scappare dai senior pronti a torturarli, dall'altro gli studenti più grandi aspettano la grande festa organizzata a casa di Kevin Pickford.
I genitori di Kevin però fiutano la festa organizzata a loro insaputa e mandano a monte la loro vacanza per guastare i piani del figlio.
Tocca a David Wooderson, ex studente rimasto nel giro dei ragazzi della scuola (interpretato da un giovanissimo Matthew McConaughey), riorganizzare tutto su una delle colline della città.
La Vita è un Sogno, come vuole la piena ventata postmoderna in cui nasce, è un film corale e narrativamente spezzettato in cui seguiamo a turno differenti personaggi e in cui le loro linee narrative, come delle gocce d'acqua sul vetro di un treno, prima si uniscono e poi si dividono per unirsi ad altre ancora con il solo obiettivo di arrivare tutte insieme alla stazione finale.
Cercando però di mettere un po' d'ordine in questo gruppo eterogeneo e allargato di ragazzi - per quel poco che può valere nel cinema di Linklater - le tracce principali da seguire possono essere identificate nei percorsi di Randall e Mitch.
Randall è il popolarissimo quarterback della squadra di football del liceo.
La sua inclinazione ad avere molti amici e a sapersi adattare a qualsiasi gruppo lo porta a scontrarsi con il coach che vorrebbe che abbandonasse certe cattive amicizie per concentrarsi sul football e sulla vittoria del prossimo campionato che per lui sarà l'ultimo.
L'allenatore così chiede a tutta la squadra di firmare un impegno scritto - indirizzato in particolare a Randall e al suo amico Ron Slater - a mantenersi sobri e a dare priorità all’allenamento e alla squadra prima di qualsiasi altra attività o divertimento.
Il secondo non ha problemi a mentire firmando, ma a Randy "Pink" Floyd questa imposizione non va proprio giù e medita di lasciare la squadra.
Dall'altra parte Mitch è uno studente delle medie che viene preso di punta da Fred O’Bannion (un giovanissimo Ben Affleck) che vuole a tutti i costi battere con la sua paletta di legno la futura matricola, come vuole la tradizione.
Il senior lo insegue per picchiarlo fino a casa dell’amico Carl, ma qui la madre minacciando lo studente più grande con un fucile lo obbliga ad andarsene.
Questo non farà che desistere il ragazzo. Fred, infatti, è stato bocciato e le leggende tra gli studenti vogliono che lo abbia fatto per poter continuare a torturare gli studenti più giovani: non mollerà la presa.
Dopo averla scampata una volta Mitch viene raggiunto dagli studenti più grandi ad una sua partita di baseball e qui incontra Randall, che dovrebbe essere l’ultimo a colpirlo, ma invece lo grazia e lo invita ad uscire con lui e i suoi amici.
I due girano per un po’ insieme per la città tra una bravata e l’altra fino ad arrivare all’Emporio dove incontrano Wooderson e pianificano la nuova festa.
Giunti sulla collina Mitch e Randall si dividono, il primo va via con una ragazza più grande tornando a casa all’alba, il secondo invece si ritrova con le “cattive amicizie” a fumare erba sul campo da football: vengono beccati dalla polizia e viene subito chiamato il coach.
Randall è spalle al muro: deve firmare l'impegno o rifiutarsi ufficialmente; sceglie la seconda e getta il modulo in faccia al coach furioso, la principale priorità della sua estate è il prossimo concerto degli Aerosmith.
Commento
Stappiamo e versiamo: un'analisi del film, indipendentemente dalla birra, ma che ci porti nel mood del film.
"The idea is to remain in a state of constant departure, while always arriving."
Richard Linklater
La Vita è un Sogno è un film inaspettato perchè se uno leggesse solo la sinossi o si limitasse a vederne qualche spezzone cadrebbe nell'"errore" di etichettarlo come un semplice teen movie americano usa e getta: un film da domenica pomeriggio dopo un pranzo in famiglia, tra un bicchierino e uno sbadiglio.
Tra le pieghe di un genere tipicamente americano così standardizzato e codificato si trova, invece, la vena di uno degli autori più importanti, influenti e interessanti del cinema indipendente americano.
[Richard Linklater, in fondo con la t-shirt blu, sul set de La Vita è un Sogno]
Linklater, infatti, firma La Vita è un Sogno poco più che trentenne, dopo aver esordito con due produzioni molto indipendenti e quasi sperimentali come Slacker e It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books in cui si piegava il concetto di tempo e di narrazione classica alle esigenze di un artista che ne farà uno dei fulcri della sua produzione.
Slacker in particolare è un film fondamentale per capire non solo il suo cinema, ma la sua idea filosofica a tutto tondo e la sua voglia di rompere gli schemi e le regole dell'arte cinematografica per rappresentarla:
"He wasn't really a filmmaker at that time, it was a philosopher who choose celluloid to do some funny and interesting stuff"
[Non era davvero un filmmaker a quei tempi, era più un filosofo che aveva scelto la pellicola per fare delle cose divertenti e interessanti]
Questo disse Jay Duplass in merito ai suoi primi lavori in un'intervista, così come Kevin Smith che, rievocando Joyce e il suo Ulisse, definisce Slacker e il primo cinema di Linklater come una sorta di stream of consciousness.
"Every thought you have create its own reality"
[Ogni pensiero che hai crea una propria realtà]
Una delle battute del personaggio interpretato da Linklater stesso in Slacker, riassume perfettamente questo mondo di dialogo e tempo che sarà sempre al centro della sua opera.
[Linklater nella prima scena di Slacker]
Qui, a differenza dei lavori precedenti, Linklater sceglie un contesto molto più narrativo ed autobiografico - oltre che falsamente leggero - per costruire un mondo in cui esporci il suo pensiero.
È impossibile non vedere come un cinema giovanile e così intrinsecamente legato al dialogo - come quello di Linklater - abbia influenzato fortemente la nascita del Mumblecore (di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo) e del cinema americano contemporaneo indipendente, come sottolineano in varie interviste dice lo stesso Jason Reitman o il già citato Jay Duplass.
Attraverso la sua messa in scena delle ansie e della difficoltà di trovare il proprio percorsodella generazione de "i figli di mezzo della storia" - di cui parlava Chuck Palahniuk nel 1996 in Fight Club - "senza un posto speciale nella storia e senza speciale attenzione", Linklater oltre che dar voce alla propria generazione ha dato il La alle due generazioni di cineasti successive.
Così come in Slacker in cui il punto di vista dello spettatore si muoveva tra un gruppo di ragazzi e l'altro ascoltando i loro pensieri, le loro insicurezze e i loro interessi attraverso continui dialoghi, qui tutti i giovani protagonisti del film vagano senza meta e senza obbiettivi alla ricerca della propria dimensione, scavando maieuticamente tra un dialogo e una birra.
Non è un caso che la prima idea de La Vita è un Sogno fosse di comprimere il film che poi è stato nei soli dialoghi in macchina.
Non sanno cosa cercano o dove vogliono andare, il timore del futuro e la ricerca di approvazione sono il loro vero motore attraverso una città semideserta, tra una bravata e l’altra, in attesa che qualcosa accada, che qualcuno decida e agisca:
"Sembra che tutto ciò che facciamo sia in previsione di un qualche futuro", viene detto in uno dei dialoghi più importanti del film.
A ricalcare il forte aspetto autobiografico basti pensare che il 7 ottobre 2004 Bobby Wooderson, Andy Slater, and Richard Floyd, ex-compagni di scuola di Linklater, hanno intentato causa alla Universal perchè non avrebbero dato il permesso di usare i loro soprannomi e le loro fattezze per la realizzazione del film.
La Vita è un Sogno però non è solo un racconto fedele degli anni di scuola di un regista trentenne, ma soprattutto la proiezione - sulle vite di allora - delle inquietudini e dei problemi che quella stessa generazione si è trovata a fronteggiare vent'anni dopo.
In questo contesto l'immagine degli adulti, che rappresentano la generazione "dominante", in opposizione a quella dei giovani rampanti di cui si sente parte è fondamentale. Sono pochi e quasi tutte figure autoritarie: non esempi autorevoli, ma solo simboli di regole scriteriate e punizioni.
Perfetto simbolo di questo limbo senza destinazione sono Wooderson, ex-studente ormai venticinquenne che continua ad orbitare attorno al gruppo dei liceali, e O’Bannion.
I personaggi dei giovanissimi Ben Affleck e Matthew McConaughey non riescono a staccarsi dal mondo giovanile e perciò continuano a restare, come in delle sabbie mobili, in una vita che non dovrebbe essere più la loro, ma che invece è l'unico sbocco che riescono a trovare.
“Naw, man. That's what I like about these high school girls: I get older, they stay the same age.”
[Lo sai, amico... È questo che mi piace delle liceali: io invecchio, ma loro hanno sempre la stessa età]
dice David Wooderson davanti all’Emporio
Randall stesso è l’emblema di questa continua ricerca del proprio posto, passa da un gruppo all’altro, conosce chiunque, ma più di tutti si sente sperso, indeciso, in bilico tra la voglia di crescere con le sue mille possibilità e la voglia di non prendersi responsabilità e pensare solo a divertirsi.
In questo senso ho trovato perfetta la costumistica in rapporto alla scenografia ogni ragazzo si colloca perfettamente con il suo sfondo solo in un luogo e invece in ogni altro stona, come se ognuno avesse il suo habitat nel quale è a suo agio o pensa di esserlo, per poi trovarsi immerso nel buio del parco dove tutti si è inglobati e livellati.
Per ammissione stessa di Linklater, La Vita è un Sogno è il tentativo di ribaltare i classici film di John Hughes (e la mente porta subito a Breakfast Club), ma il confronto - e l'ispirazione - oltre che con i suoi film è subito lampante anche con American Graffiti di George Lucas.
Entrambi sono ambientati una quindicina di anni prima della realizzazione e tutti e due sono strettamente legati al periodo in cui sono cresciuti i due registi, ma il parallelo non si ferma qui: in entrambi la noia e l'asfissia del mondo verso i protagonisti sono centrali, così come la ripetitività delle loro vite in cui non viene messo in scena un vero momento fondamentale, un turning point delle loro esistenze, ma solo la realtà della vita di un teenager.
Se Lucas, però, sceglie di chiudere American Graffiti con un pessimismo di fondo attraverso la menzogna, l'abbandono, l'esercito e con la precisa - tristissima - definizione dei futuri di ognuno dei protagonisti, Linklater rafforzando la sua idea di tendere al nulla sceglie di restare più aperto e di lasciare la riflessione sul militarismo giovanile ad un suo film successivo - Last Flag Flying, del 2017.
Come abbiamo già detto una delle colonne del cinema di Linklater è il rapporto con il tempo o meglio la sua continua sfida nel cercare di piegarlo alle forme e ai mezzi dell'arte cinematografica.
La Vita è un Sogno, nonostante la sua chiara scansione temporale, non fa eccezione e infatti è un film che sembra quasi fluttuare in una dimensione senza un tempo preciso: tutto è attesa della festa che poi a sua volta diventa culla di nuove attese, sia al suo interno (la rissa, il ritorno a casa, la scalata alla torre), sia verso il futuro (il concerto degli Aerosmith, l’appuntamento tra Wooderson e Cynthia).
Questo legame tra un tempo definito e scandito ed un tempo percepito che come una macchina si ferma, accelera e cambia direzione è uno degli aspetti più interessanti di questo film che, per esempio, rimbalza più volte avanti e indietro nell’arco delle ventiquattr’ore per seguire l’uno o l’altro personaggio.
Non è poi un caso che le due linee principali si chiudano con Mitch che si addormenta e sogna (altro topos centrale del cinema dell'autore texano che ritroviamo, per fare l'esempio più lampante, in Waking Life) e con Randy che guida senza una meta.
Quentin Tarantino ha spiegato così perchè lo ha messo al quarto posto di una delle sue innumerevoli classifiche di film preferiti:
“At the height of my loneliness, I went to Mondo Video in Amsterdam and rented ‘Dazed and Confused’ and all the sudden I wasn’t lonely anymore.
I’d seen it so often. You know this community. You know these people.
It goes beyond being about Texas.
Those people have become my friends over the years.
I watched ‘Dazed and Confused’ and I wasn’t lonely.
Thank you for making a movie I like so very much.”
[Al culmine della mia solitudine entrai da Mondo Video ad Amsterdam, noleggiai La Vita è un Sogno e improvvisamente non ero più solo.
L'ho visto un sacco di volte.
Conosco quella comunità, conosco quella gente.
Va oltre la cosa di essere texano.
Quella gente è diventata mia amica nel corso degli anni.
Ho visto La Vita è un Sogno e non mi sentivo più solo.
Grazie per aver fatto un film che mi piace così tanto]
Come dice Tarantino - altro esponente della stessa generazione, nato nel 1963 mentre il texano nel 1960 - ma anche Billy Bob Thornton e un'altra decina di attori e registi di quell'epoca nel documentario 21 Years: Richard Linklater, Rick riesce a portarci all’interno del mondo de La Vita è un Sogno, non cerca di farci immedesimare nell’uno o nell’altro personaggio come spesso capita nel cinema americano.
Non abbiamo quasi mai un'eroe del quale seguire il viaggio vogleriano nel suo cinema, ma piuttosto ci viene presentato un piccolo universo in cui vedere nei comportamenti e nelle relazioni il vero punto centrale: più che chiederci di immedesimarci in un personaggio ci viene chiesto di immedesimarci “nel gruppo” e negli avvenimenti.
Vale lo stesso discorso per tutta la sua produzione: dal rapporto tra Jesse e Celine nei tre Before ai dialoghi sul senso della vita di Waking Life, dai ribaltamenti di prospettiva continui di Tape agli avvenimenti della vita di Mason in Boyhood.
Questo senza assolutamente trascurare il grosso spazio che da sempre Linklater lascia alla costruzione del personaggio e nel quale coinvolge costantemente gli attori.
[Il provino di Matthew McConaughey per la parte di Wooderson]
Non serve citare i lunghi sodalizi con Julie Delpy o con Ethan Hawke, ma basta sentire le parole di grandi attori come McConaughey e quelle di personaggi secondari come Clint Bruno interpretato da Nicky Katt: "Rick loves his characters" ama costruire figure rotonde, che si muovono dietro la camera e che continuano a vivere mentre noi seguiamo l'una o l'altra linea narrativa.
Solo così è possibile creare momenti (come quello della frase di Wooderson citata prima) che rappresentano perfettamente un personaggio, non lo etichettano come giusto o sbagliato, come parte del pensiero di Linklater o di quello dell'attore, ma semplicemente definiscono completamente una figura che all'interno del film hai imparato a conoscere e che sai come continuerà a muoversi dopo il The End.
"I'm not talking to anyone in particular, man, i'm talking to the cosmo"
[Non sto parlando con nessuno in particolare, amico, sto parlando con l'universo]
McConaughey su Wooderson e sulla frase in questione.
Con personaggi costruiti e liberi di muoversi in un loro universo è facile poi immaginare situazioni, come quella raccontata da Marissa Ribisi (Cynthia), in cui Linklater andando da un attore gli dice
"Sai, voglio proprio trovare un qualche interesse amoroso per il tuo personaggio..."
E automaticamente nasce qualcosa con un altro dei personaggi creati nel piccolo mondo de La Vita è un Sogno.
Perchè Rick, come dice uno degli attori secondari, sa bene cosa vuole e attorno lascia spazi vuoti da poter riempire con improvvisazione e idee di chiunque faccia parte di quel lavoro, ha molta fiducia in chiunque sia sui suoi set.
Questa perfetta alchimia e fiducia tra attori e troupe è lampante e permea ognuno dei 102 minuti de La Vita è un Sogno, ma anche nelle migliori famiglie ogni tanto qualcosa si rompe.
È il caso di Kevin Pickford, interpretato da Shawn Andrews, con cui gran parte del cast ebbe da ridire e lo stesso Linklater dovette dividere una rissa tra lui e Jason London.
Questo portò il regista, attento com'è alla naturalezza della recitazione e alla creazione di un clima quanto più possibile di fiducia e rilassato a tagliare gran parte della sua presenza, che inizialmente doveva essere sensibilmente maggiore, per affidare gran parte dei compiti del suo personaggio a quello di Wooderson.
La stessa cosa accadde al personaggio di Milla Jovovich con cui Andrews si sposò - scappando durante le riprese - nonostante lei fosse appena sedicenne: la madre dell'attrice fece prontamente annullare il matrimonio.
Tornando all'attenzione ai personaggi guai a farsi ingannare dal tentativo di alcuni di loro a omologarsi agli stereotipi - quasi mai Linklater glielo concede - perchè sotto a questa voglia il regista texano costruisce percorsi sfaccettati e tridimensionali tanto da far dire ad uno come Rogert Ebert:
“The film is art crossed up with antropology”.
[Il film è arte incrociata con l'antropologia]
Inoltre Linklater, come sempre, gioca con il machismo tipico delle periferie del sud degli Stati Uniti e con la tipica ritualità.
Da un lato è un continuo cercare di mostrare la propria virilità che viene messa in discussione dall'inettitudine e da personaggi meno machi (lo scherzo ad O'Bannion ne è un esempio), dall'altro è sempre presente la carica quasi erotica di questi riti con cui i senior sottomettono i più giovani tra sculacciate, guinzagli e camminate a quattro zampe.
Un aspetto che resta indissolubilmente legato al mondo scolastico per Linklater che lo ripropone nel sequel spirituale di La Vita è un Sogno, ovvero Tutti vogliono qualcosa, ambientato all'università ed in cui questa componente diventa preponderante.
Ultima nota per una colonna sonora da ascoltare e riascoltare all’infinito che diventa in una maniera unica parte integrante sia del worldbuilding sia delle interazioni con i personaggi.
Alice Cooper, ZZ Top, Black Sabbath, KISS, Deep Purple, tutti questi artisti con i loro testi e con la loro arte sembrano parlare con Wooderson di McConaughey, O'Bannion di Affleck, Randall "Pink" Floyd di Jason London e con La Vita è un Sogno di Linklater.
[Sweet Emotions nell'opening del film]
La Birra
Annusiamo e assaggiamo: una scena in cui la birra è protagonista.
Così come la musica anche la birra diventa quasi un personaggio che interagisce con il piccolo mondo del 28 maggio del 1976 dall'arrivo dei barili a casa di Kevin al momento in cui O'Bannion mostra il bagagliaio della sua auto pieno di lattine.
Basti pensare che così come ogni attore aveva la sua personale compilation fatta da Linklater da ascoltare e riascoltare, quasi ogni birra in scena è reale e bevuta realmente eccetto da Jason London che stava cercando di smettere di bere e fumare e che quindi chiese a Rick la possibilità di far finta.
I due momenti più significativi però sono probabilmente quando Mitch va a comprare un pacco da sei lattine per i ragazzi più grandi e il bicchiere che sancirà la fine della festa.
Il primo passa quasi inosservato, il ragazzo viene mandato da alcuni studenti delle superiori: sembra un avvenimento privo di significato, ma così non è perchè Mitch in quel momento esprime tutta la sua voglia di crescere e di trovare la propria strada, vuole accelerare il suo percorso, vuole essere trattato da adulto (“lavoro per il comune”).
Durante il suo ritorno incontra prima il suo passato, i compagni delle medie, ma subito si ributta nell futuro soddisfatto per la conquista del trofeo.
Una scena che fa parte dell'epica della gioventù americana che ormai abbiamo imparato a conoscere: dalla confezione da sei lattine al negozio al dettaglio tipico delle periferie dei piccoli sobborghi (Suburbia, altro film di Linklater), ai sacchetti di carta, fino ai mille modi per evitare il controllo sul limite dei ventun'anni.
Il secondo non è nalle mani di nessun personaggio, ma di Linklater stesso: la festa è l’apice del film, è il punto di arrivo della giornata di questi ragazzi e il simbolo di tutto ciò che ci siamo già detti sulle loro speranze e aspettative.
Sono sgorgati fiumi di birra, ma ad un certo punto la spillatrice smette di spruzzare nettare giallo e allora viene messo un bicchiere vuoto sopra: chiudono i battenti, ognuno per la sua strada. Il punto di arrivo dell’attesa di tutta una giornata, l’inizio dell’estate e delle nuove attese, delle nuove speranze.
Accompagnamento
Il momento migliore, la bevuta: cosa accompagniamo al film?
Ecco un consiglio su cosa bersi mentre si guarda o riguarda ciò di cui abbiamo parlato.
La Vita è un Sogno è un film ambivalente: è fondamentalmente una commedia leggera, un teen movie in piena regola e di conseguenza deve avere un'anima beverina, waterly, ma l'altra faccia della medaglia mostra un film con note fortemente stonate, un po' acide un po' totalmente inaspettate come la poetica e lo stile linklateriano.
Il primo sentore è perfetta espressione della goliardica freschezza delle bravate adolescenziali, mentre le altre devono mettere in birra la paura del futuro, la voglia di spaccare il mondo e l'incapacità di trovarne il proprio centro di gravità. Questo contrasto ci porta a qualcosa di inaspettato, pungente e se vogliamo anche un po' atipico.
Non siamo nel contesto di Drinking Buddies in cui l'amarezza doveva essere un fondo costante, ma piuttosto siamo in un ambito di acidità quasi citrica molto pronunciata.
A tutto ciò dobbiamo aggiungere delle note movimentate come i ritmi, le musiche e la narrazione de La Vita è un Sogno che devono quasi rendere la bevuta infinita, senza una destinazione: come il continuo tendere a qualcosa dei giovani protagonisti. Un po' come quando si beve l'acqua di mare e non si riesce a dissetarsi.
Ecco che da Lipsia su consiglio dell'imperatore Ottone III ci viene in aiuto la Gose: la birra salata!
In realtà non proprio da Lipsia perchè questo stile brassicolo così come lo conosciamo oggi è principalmente prodotto lì, ma è nato a Goslar, città mineraria (a quasi duecento chilometri di distanza) e di conseguenza grande prodruttrice di sale, dove la Gose prende il nome dall'omonimo fiume che le donava con la sua acqua sapida un gusto unico.
Nemmeno su consiglio di Ottone III che ne fu colpito nel I secolo d.C, ma che non sappiamo come avrebbe reagito alle Gose d'oggi con sale dell'Himalaya o acqua marina.
A Goslar non ebbe grande fortuna e sin da subito la produzione si spostò nella più famosa Lipsia dove dal 1738 iniziarono ad aprire i Gosenschenken ovvero i pub di Gose.
La concorrenza fu tale che nel 1826 la birra salata venne bandita dalla sua città natia perchè la sfida economica e qualitativa con Lipsia era una battaglia persa.
[Gosenschenke di Eutritsch a Lipsia, incisione del 1870 ca]
La storia della Gose, come quella di quasi tutti gli stili più particolari del continente europeo (Porter e Belghe in testa), con la guerra diventa più travagliata: venne sospesa la produzione durante la guerra e nel 1945 venne confiscato l'ultimo birrificio rimasto, ma con un colpo di coda nel 1949 Friedrich Wurzler da ex-dipendente di un produttore di Gose riprese la produzione, tramandando la ricetta al figlio.
Nel 1966, precisamente il 31 marzo, venne servita l'ultima Gose per la chiusura del birrificio, ma tutte le volte che la Gose sembra essere arrivata al fondo della bottiglia un tappo salta e ne arriva una nuova.
Lothar Goldhahn prese a cuore la causa delle Gose e tra articoli e quelli che oggi chiameremmo brew-firm (ovvero micro-produzioni appoggiandosi a birrifici più grossi) riuscì prima a far ripartire la produzione nel 1986 e poi ad aprire il suo birrificio nel 1991, riuscendo a contagiare altri produttori, e nel 1999 riaprì il primo nuovo Gosenschenken.
[Il Ohne Bedenken, ovvero il Gosenschenken riaperto da Goldhahn]
Le Gose sono birre acide di frumento ad alta fermentazione che il BJCP inserisce tra le Historical Beer.
La base che potrebbe ricordare quella di una Weiss o per la sua natura acida una Berliner Weiss.
Si differenziano, però, per l’uso di lattobacilli e lieviti poco invadenti così da far spiccare l'aggiunta nel mosto di coriandolo e sale (talvolta sostituito da acqua di mare o da altre soluzioni sapide).
Corpo leggerissimo e molto profumata al naso grazie al coriandolo, che talvolta lascia anche un piacevole pizzicorio: è una birra molto beverina in cui il sale e l'acidità, uniti ad un basso tenore alcolico, chiamano grandi boccali tipicamente tedeschi (come unità di misura perchè il bicchiere più adatto è il cilindro da Weiss).
Vi consiglio prima di tutto la Kiss Me Lipsia di Birrificio del Ducato: l’unica non su base di frumento e quindi meno simile ad una Weiss, ma anche la Lips del Birrificio della Granda (“Come un bacio rubato… Audace e leggero!” la bellissima tagline) e la Marsilia del Birrificio Amiata, la meno salata delle tre.
Buona visione e... buona bevuta!
1 commento
Fabrizio Cassandro
4 anni fa
Sì la filmografia di Linklater è sempre piena di aneddoti interessanti...
Rispondi
Segnala