#IlmondodiTimBurton
''A me piace l’idea di uno che è stato costretto a trasformarsi in un clown e che è pazzo.
Il film è un duello tra due freak. Una battaglia tra due persone sfigurate. Questo è quello che amo del film.''
Tim Burton.
Da diversi anni Warner Bros. cercava una storia adatta per riproporre il personaggio di Batman sul grande schermo, il che non era facile perché nel Cinema, si sa, una storia senza un regista adatto non serve a molto, soprattutto in un film dove l’immaginario visivo è fondamentale.
Tra i vari nomi che Warner aveva contattato c'era quello di Tim Burton, a cui diedero completamente in mano il progetto solo una volta visti gli incassi di Beetlejuice - Spiritello porcello.
Nella seconda metà degli anni ’80, grazie a graphic novel come Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e Batman: The Killing Joke di Alan Moore, ci fu una modernizzazione del personaggio, una versione molto più cupa, introspettiva e violenta, che ha segnato una rinascita del Cavaliere Oscuro.
Era proprio quella la direzione in cui voleva andare Burton, che era legato soprattutto a The Killing Joke: quello che, a detta sua, fu il primo vero fumetto che ha adorato.
Il film per Burton avrebbe dovuto essere un ritorno alle origini del personaggio creato da Bob Kane, ma con un’introspezione e una modernità data dai graphic novel contemporanei.
Warner Bros., nell’intento di creare un Batman definitivo per il Cinema, accettò le idee di Burton e dei vari sceneggiatori che lavorarono allo script, idee molto lontane dalla prima stesura della sceneggiatura di Warner prima che ci mettessero mano Burton e i suoi collaboratori, perché il personaggio di Batman, in quella versione della sceneggiatura, sembrava il Superman cinematografico, e perdeva quindi tutta l’anima del personaggio del Cavaliere Oscuro.
Una sceneggiatura di cui Burton parla come di "una delle cose più spaventose che avessi mai letto”.
I titoli di testa vogliono far capire immediatamente allo spettatore quale sarà il tono del film.
Dal classico inizio dei film Warner Bros., con il logo dorato della major hollywoodiana su cielo azzurro dipinto di nuvole, si passa a uno sfondo scuro blu notte, dove la macchina da presa si muove in un dedalo roccioso: il nuovo logo di Batman.
Un labirinto che può rappresentare anche la mente del personaggio, piena di segreti oscuri, distorta dal suo dualismo, dall’inconciliabile personalità divisa tra il miliardario figlio di Gotham e il mostro che si è impossessato della sua mente, determinato a proteggere gli indifesi dal male.
“Non ero un amante dei fumetti, ma Batman mi piaceva.
Mi piaceva la doppia personalità, la persona nascosta dentro un’altra persona.
Era un personaggio che sentivo vicino. Proprio per quei due lati, il lato oscuro e quello visibile, e per la sua incapacità di metterli assieme. Una sensazione, questa, non certo rara. Lo so che nel personaggio c’è molto Michael Keaton, perché è stato lui a interpretarlo, però continuo a pensare che ci sia anche qualcosa di mio.
Se così non fosse, non sarei mai riuscito a fare il film.”
È proprio per questo motivo che Tim Burton ha accettato la regia di questo film, ed è il motivo per cui è stato il regista perfetto per questa nuova versione cinematografica di Batman.
Nella poetica di Burton ci sono sempre dei protagonisti che si sentono diversi, estranei dalla società che li emargina e li guarda come fossero dei freak.
Personaggi che hanno sempre una sofferenza interiore che nessuno nel mondo sembra riuscire a comprendere.
La frase di Burton che recita: “Continuo a pensare che ci sia anche qualcosa di mio. Se così non fosse, non sarei mai riuscito a fare il film”, è la chiave dell’anima di quest’opera, con questi personaggi, con questa ambientazione, in un mondo folle, fatto di personaggi folli, i quali sembrano essere gli unici davvero normali, secondo la visione del regista.
Liberi davvero di essere loro stessi: uno quando si traveste da pipistrello, l’altro quando viene sfigurato dall’acido.
Entrambi cambiano nell’aspetto come nella mente.
“La follia è, in un senso quasi spaventoso, la massima libertà possibile perché ti libera dagli obblighi nei confronti della società.”
Come in tutti i film di Tim Burton, la scenografia è un aspetto fondamentale e assume un’impronta espressionista, come i capolavori del Cinema muto tedesco.
In sceneggiatura, la città di Gotham viene descritta come “se l’inferno fosse sbucato fuori dal terreno e continuasse a proliferare”.
Lo scenografo Anton Furst, che avrebbe vinto con Batman il Premio Oscar per la Migliore Scenografia, lavorò proprio sull'idea di costruzione in verticale, una continua stratificazione della città, realizzando di base una Gotham che sembra la città di New York degli anni ’40 - quella dei film noir - che ha però anche un aspetto moderno, un’urbanizzazione che continua senza sosta nella New York degli anni ’80, riuscendo così a creare una città senza tempo.
Utilizzando costruzioni sul set unite a modellini, dando una sensazione di cupezza e angoscia, una Gotham City costruita interamente nei Pinewood Studios di Londra, in cui la criminalità prolifera indisturbata, dove camminare per le strade sembra un vero e proprio inferno: uno stile architettonico che è la perfetta materializzazione urbana della caotica figura interiore di Batman.
A tal proposito, disse Burton:
“Il fatto è che io parto sempre dal personaggio.
A Batman piace il buio e ama rimanere nell’ombra, per questo la città è quasi sempre vista di notte, con poche sequenze diurne: tutto dev’essere pensato per favorire i personaggi.
Tutte le scelte che abbiamo fatto si sono basate su questo principio, sul fatto che ogni cosa deve armonizzarsi con le loro caratteristiche.
Sono i personaggi stessi a dettarle”.
Michael Keaton, anche se fu il motivo del malcontento di molti fan del pipistrello al momento dell'annuncio del casting, si rivelò l’attore perfetto per il ruolo ancora prima che iniziassero le riprese del film.
Rendeva il senso di tristezza e follia di Bruce Wayne dietro a una maschera di galanteria e nobiltà, e allo stesso tempo vestito da pipistrello era assolutamente credibile, come un uomo che ha bisogno di travestirsi e diventare quel freak con cui si sente a suo agio, il Cavaliere Oscuro.
Per quanto riguarda invece la scelta di Jack Nicholson come Joker non ci fu nessun tipo di lamentela.
Lui era la star, il grande attore, il nome conosciuto da tutti, soprattutto per i ruoli precedenti in cui interpretava personaggi folli.
Sembrava nato per interpretare il Joker in Batman.
Il personaggio inizialmente si chiama Jack Napier e l'attore ha caratterizzato sia lui che la sua versione mostruosa in modo molto naturale: sembra quasi Jack Nicholson che interpreta se stesso in entrambi i ruoli.
È l’artista eccentrico che vuole farsi notare, fuori dallo schermo e dentro la pellicola, è “il primo artista dell’omicidio a ciclo completo” come dice lo stesso Joker a Vicky Vale, giornalista e fotografa interpretata da Kim Basinger, e continua spiegandole che loro non devono paragonarsi agli altri perché sono artisti.
È proprio questa l’essenza e l’anima di questo Joker di Jack Nicholson, e quindi di Tim Burton: l’essere un artista, non più un criminale come lo era Napier, ma facendo avanguardia nell’arte come dice lui stesso.
Un mondo dove tutto è brutto per lui: persino la sua affascinante amante, una volta lui cambiato nella mentalità e nella concezione della bellezza, per lui va migliorata, sfigurandola e rendendola così un’opera d’arte.
Un Joker quindi che ha come obiettivo quello di abbellire il mondo attraverso la sua visione della bellezza e dell’arte, e che prima di uscire di casa per andare al Flugelheim Museum a imbrattare i dipinti e le opere del museo dice alla sua amante Alicia: “Il tuo tesoro farà un po’ di arte”.
C’è un aspetto ricorrente nella poetica di Tim Burton che è presente anche in questa pellicola, mostrata nelle scene in cui i giornalisti parlano in diretta televisiva ma privi di trucco, perché nella città i prodotti per il viso sono stati sostituiti da Joker con dei cosmetici creati da lui per far nascere letteralmente un sorriso inquietante sui visi delle persone e portandole alla pazzia.
Burton li mostra con dei primi piani dove si vedono i loro visi completamente imbruttiti, sono stanchi, affaticati, come se la loro personalità derivasse dall’aspetto esteriore, dal modo in cui si mostravano agli altri, truccandosi e abbellendosi, e una volta perso l’artificio del trucco perdessero anche le forze e la voglia di lavorare.
È una critica che Burton muove sempre verso un certo tipo di società borghese, in cui lui stesso è cresciuto e che ha sempre detestato: il non essere se stessi, mostrarsi sempre in modo falso agli altri, non avendo così una vera personalità, ma costruendosela in base a quel che la società vuole da noi, mettendo in scena questi personaggi in modo molto più grottesco rispetto ai freak emarginati, tipici protagonisti delle sue pellicole.
Joker: “Tu mi hai fatto, ricordi? Tu mi gettasti in quella maledetta vasca!”
Batman: “Tu uccidesti i miei. Tu facesti me, prima!”
In questo scambio di battute vi è tutta la struttura del film e la psicologia dei due personaggi: due mostri che si sono creati a vicenda.
Un uomo che ha bisogno di diventare un pipistrello per combattere i fantasmi del passato e un uomo che è stato costretto a diventare un clown, ma che ora ama la sua natura folle ed è ossessionato dall’altra creatura mostruosa che si nasconde in città.
Alla fine del loro scontro, Joker giace inerme a terra emettendo una sinistra risata meccanica che lo fa sembrare una bambola grottesca, come se non fosse realmente morto e come se la follia, a Gotham, fosse destinata a continuare per sempre.
Non vi abbiamo mai presi in giro con clickbait e bufale, perché vi rispettiamo: crediamo che amare il Cinema significhi anche amare la giusta diffusione del Cinema.
17 commenti
Lu
6 anni fa
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Andy Dufresne
6 anni fa
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Andrea Lucietti
6 anni fa
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Lynch Walk With Me
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Wolvering
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Giacomo Camilli
6 anni fa
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stefano marino
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ZERO
6 anni fa
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Panda
6 anni fa
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Matteo Cataldi
6 anni fa
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Giacomo Covella
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Giacomo Covella
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Mattia Malaspina
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Yuri Palamini
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Alex73
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Giovanni Amedeo Lugaro
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Kevin Hysa
6 anni fa
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