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The Lighthouse è un gioiello cinematografico in 35mm diretto da Robert Eggers, presentato nel 2019 al Festival del Cinema di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.
La ricetta per un horror sopraffino è composta da: un giovane regista con tutta l’intenzione di dimostrare al mondo di non essere una meteora destinata a dissolversi contro l’atmosfera della ridondanza artistica, un Robert Pattinson che continua a percorrere strenuamente un catartico percorso nel mondo del Cinema d’autore, un Willem Dafoe che colleziona gradini per raggiungere l’Olimpo del Cinema.
La spezia segreta sta nello studio approfondito del giovane regista del New Hampshire di elementi linguistici, letterari, pittorici.
[Il trailer di The Lighthouse]
Eggers giostra e manipola ogni elemento della messinscena, dalla scelta della pellicola a quella delle lenti Baltar, tipiche del cinema espressionista tedesco degli anni '30, da uno studio certosino del linguaggio dell’epoca che si adatta più a un linguista che a un autore cinematografico alla scelta dell'1.19:1 come formato.
Robert Eggers è come un marinaio controcorrente nel mare del gusto collettivo, dirige una pellicola che raccoglie a piene mani l’orrore dalle paure primordiali, in cui non ci sono chiavi di volta o puzzle da completare, ma una sequenza di avvenimenti permeati da un mistero irrisolvibile, inconsistente, inafferrabile.
È proprio in questo vuoto, soffocante e impossibile, che giace la paura.
Chi è più esperto di me riguardo l'horror sa bene che è più facile descrivere che realizzare questo bilico tra realtà e incubo.
Max Ernst nella pittura, Howard Phillips Lovecraft nella letteratura, Junji Ito nel fumetto e David Lynch nel cinema: sono quattro dei possibili nomi citabili nel mondo dell’arte, traghettatori in un limbo nebuloso di cui non si riconoscono più i confini tra gli oggetti e le sensazioni.
Se la paura più profonda risiede nell’incomprensione, Robert Eggers è già menzionabile tra i maestri dell’orrore?
Avete già capito il parere di chi scrive, ma attendiamo il parere del giudice più impietoso: il tempo.
The Lighthouse è la storia del guardiano Thomas Wake (Willem Dafoe) e del suo assistente Ephraim Winslow (Robert Pattinson) che iniziano un turno di guardia presso il faro del titolo, situato probabilmente in qualche zona remota nel nord-est degli Stati Uniti.
Originariamente il soggiorno previsto è di quattro settimane, ma a causa di una forte tempesta viene prolungato.
I due diventano sempre più irrequieti, consumano molto alcol, hanno comportamenti violenti, lunatici, sessualmente ambigui.
[I due protagonisti di The Lighthouse]
Peti, parolacce, masturbazione, sporcizia; Thomas e Ephraim regrediscono a un limbo tra umanità e bestialità.
Lo stesso Robert Pattinson si è prestato a prove fisiche degradanti per rendere il suo ruolo più credibile.
A occhio nudo il mare non ha limiti, i nostri protagonisti sono inesorabilmente soli e terribilmente liberi.
Quale luogo più adatto a rappresentare l’incubo se non il mare?
Secondo la National Ocean Service gli esseri umani conoscono soltanto il 5% degli abissi; è indubbio dunque che il mare sia stato terreno fertile per il mito, casa di divinità benevoli e non, tane di creature distruttrici, deformità, mostruosità di ogni tipo, luogo in cui si sviluppano civiltà misteriose e città leggendarie.
Il mare è anche il campo di battaglia ideale tra l’Uomo e la Natura, dove si scontrano ad armi pari.
Il mare è anche catarsi, l’acqua che lava via la malinconia, come ci dice Ismaele, il narratore di Moby Dick, celebre romanzo di Herman Melville pubblicato nel 1851- quasi in contemporanea con gli avvenimenti di The Lighthouse.
Moby Dick ha rappresentato per un Paese giovane come gli Stati Uniti un poema epico, dove un eroe combatte contro un nemico, la balena, seguendo un percorso di avventura e scoperte.
In mare aperto ci si confronta con se stessi e con i misteri della natura.
Un secolo dopo la piccola America è diventata grande e il giovane paese ha lasciato spazio alle guerre e ai suoi caduti: Ernest Hemingway, uno dei più grandi romanzieri americani, scrive Il vecchio e il mare.
Nonostante la similitudine tra le sinossi di Moby Dick e Il vecchio e il mare, l’approccio dell’autore è diverso, molto più stoico e pessimista.
Bastano solo due titoli di così grosso spessore per capire quanto il mare e le leggende che lo circondano siano fondamentali nel background culturale statunitense.
Caliamo però momentaneamente il sipario sulla questione letteraria con un drappeggio sinistro e maledetto: parliamo di uno dei Maestri della letteratura dell’orrore dell’Ottocento, il maestro Edgar Allan Poe, morto prematuro nel 1849 durante la stesura del suo ultimo racconto, intitolato successivamente proprio Il faro.
[The Lighthouse, tra promiscuità e dissoluzione]
Di questo racconto ci è rimasto pochissimo, se non poche pagine in forma di diario; è la storia di un uomo solo con il suo cane che vive a guardia di un faro.
Sembra che Eggers abbia voluto portare sulle sue spalle l’eredità di Poe, inserendo dei personaggi che richiamino persino la personalità sregolata dello scrittore e poeta di Boston.
Allo stesso modo Robert Eggers in The Vvitch, la sua strabiliante opera prima, voleva sottolineare quanto le suggestioni esoteriche e il puritanesimo fossero dei nuclei da cui poi la società americana si è sviluppata.
Il regista di The Vvitch e di The Lighthouse dona al folklore una dignità ad ampio respiro e, di conseguenza, al genere che deve alla rappresentazione del folklore il suo successo: l’horror.
Film come The Vvitch e The Lighthouse, ma anche come Hereditary, Midsommar, Suspiria (2019), Babadook, It Follows, Scappa - Get out e Noi vengono rinominati, non sempre con accezione positiva, “gentrified horror” o “elevated horror”.
Il target di riferimento cambia, compiacendo il cinefilo un po’ più rodato e facendo storcere il naso a chi attende l’ennesimo “film più spaventoso di sempre”.
L’horror rinuncia alla fruibilità, agli stilemi facilmente decodificabili dal pubblico maggioritario, per abbracciare le lande della critica sociale e dell’introspezione psicologica.
È giusto però pensare, al di là delle decine di migliaia di film a basso budget e di basso valore prodotti nel corso della Storia del Cinema, che questo horror elevato non se lo siano certamente inventati Robert Eggers, Ari Aster e Jordan Peele.
John Carpenter, David Cronenberg, persino la metafora degli zombie di George Romero, per voler fare un brevissimo giretto solo nel settore nord-occidentale del mondo, già avevano restituito al genere un carattere autoriale.
Sempre che si possa fare una così netta distinzione tra cinema d'autore e cinema di genere.
Si può persino dire che l’horror abbia da sempre semplificato e decodificato, più o meno esplicitamente, le paranoie della società.
Questa definizione dunque è chiaramente un meccanismo di marketing per attirare un pubblico che di fronte all’horror aveva sempre storto il naso.
[Un rassicurante Willem Dafoe]
Le ispirazioni artistiche di Eggers per The Lighthouse non si limitano soltanto alla letteratura.
All’inizio del film sulla scogliera si stagliano le figure dei due protagonisti con il faro alle spalle.
L’immagine ricorda Watching the Breakers, un quadro del 1931 del pittore Winslow Homer.
Winslow come il personaggio interpretato da Robert Pattinson.
Questo pittore americano dedicò una parte della sua vita e del suo lavoro a rappresentare il rapporto tra gli abitanti delle località marittime e l’oceano.
Amava la solitudine e pian piano nei suoi lavori scomparve la presenza umana.
In una scena di The Lighthouse è riprodotto anche pedissequamente Hypnosis di Sascha Schneider nella scena in cui Wake illumina Winslow come se fosse lui stesso il faro.
Il pittore e disegnatore tedesco ha dedicato la vita al culto del corpo maschile e in particolare dei muscoli, con l’obiettivo di fare della virilità una forma d’arte.
Proprio per questo Schneider fondò una scuola di culturismo alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
I decisi chiaroscuro nella fotografia di Jarin Blaschke - nominata agli Oscar - contribuiscono a donare ai corpi degli attori sensualità e vigore, in un netto e ironico contrasto con il modo in cui la virilità e la credibilità dei due protagonisti viene continuamente martoriata e negata.
[Hypnosis di Sascha Schneider e The Lighthouse]
L’obiettivo di The Lighthouse però è tanto quello di celebrare il folklore quanto quello di parodiarlo, e di parodiare soprattutto i miti sull’eroismo e sulla vita marinaresca nella letteratura anglofona romantica.
Wake promuove proprio la vita gloriosa del marinaio, adatta leggende spesso poco credibili alla sua vita utilizzando un linguaggio forbito e letterario.
Tra Wake e Winslow si instaura subito un conflitto generazionale.
Per il giovane la figura del marinaio perde la sua valenza evocativa e diventa un mestierante come un altro.
Smaschera le menzogne di Wake, rivelandone il patetismo di fondo.
Il linguaggio di Winslow è molto più diretto fino a utilizzare “bullshit”, un termine relativamente moderno, per rispondere alle mistificazioni di Wake.
Tra i due, nonostante la parvenza di maggiore calma e sobrietà, quello che subirà di più gli schiaffi dell’ignoto sarà indubbiamente Winslow: tranquillo e controllato asseconda il ritmo iracondo della tempesta, il suo umore segue l’andamento del mare.
Mare culla della follia, dove non si riconosce il nord dal sud, il bene dal male, il vero dal falso.
[I protagonisti di The Lighthouse durante una sbronza allegra]
The Lighthouse è un film carico di una forte carica erotica che si ribalta in frustrazione sessuale.
Il marinaio eroico viene demolito nell’intimità.
Winslow ricorre a una masturbazione disperata, la statuetta di una sirena è l’oggetto feticcio attorno alla quale le fantasie erotiche del ragazzo si avviluppano.
Winslow e Wake lottano per la conquista del faro, anch’esso un esplicito simbolo fallico.
Con il passare dei giorni i due iniziano ad avere atteggiamenti omosessuali, non solo per l’astinenza sessuale fine a se stessa, ma anche per l’istinto bestiale di dominare l’altro e di imporre la propria supremazia sul faro.
La sirena dunque personifica un’assenza, l’assenza del femminile, e il desiderio che ammalia e consuma.
[L'amplesso reale, o immaginario, con la sirena]
Facciamo dunque un altro excursus nella letteratura, ripescando uno dei nomi già citati nell’incipit di questa analisi; Il tempio di H.P. Lovecraft è un racconto breve in cui dei marinai di un sottomarino impazziscono dopo aver trovato una statuetta d’avorio raffigurante la testa di una divinità.
A eccezione, in un primo momento, del comandante e del suo sottoposto i membri dell’equipaggio sentono un richiamo inesorabile proveniente da una luce accecante in un tempio di una città sommersa.
Inoltre, per ammissione dello stesso Eggers, The Lighthouse è una traslazione dei miti di Prometeo e Proteo in un contesto ottocentesco, americano e romantico, una rielaborazione del loro confronto.
Proteo è una vecchia divinità del mare ed è il custode della conoscenza.
È stato descritto da Omero come un vecchio mutaforma che sonnecchiava al sole, altezzoso e indisponente verso gli umani.
[Wake/Proteo]
Il mito di Prometeo è ben più famoso ed è alla base della nascita stessa della civiltà: il titano ruba il fuoco agli dei per donarlo agli esseri umani.
L’essere umano inizia a progredire grazie a questo furto, ma Prometeo paga caro il suo affronto; il suo destino è passare l’eternità attaccato a una montagna, ogni giorno un’aquila va a divorargli le viscere e ogni notte queste ricrescono.
Proteo dunque custodisce una conoscenza enorme come Wake protegge la luce misteriosa in cima al faro.
Winslow, come Prometeo, sfida le autorità, è simbolo di ribellione, vuole raccogliere il fuoco, che è la luce, e farsi carico di ciò che all’umanità non è concesso vedere o ciò che, semplicemente, è troppo imponente e faticoso per essere sopportato da un essere umano.
[L'illuminazione di Prometeo/Winslow]
The Lighthouse The Lighthouse The Lighthouse The Lighthouse The Lighthouse
Il fascio luminoso gli provoca un dolore e un piacere che vanno al di là dell’umana comprensione, accecandolo.
Nelle culture antiche l’accecamento è spesso sinonimo dell’assunzione di poteri soprannaturali e di una conoscenza fuori dal comune.
La vista è il prezzo che l’uomo antico paga per ottenere una sensibilità straordinaria.
Peccato che dopo la visione del concetto stesso di conoscenza, Winslow muore e le sue viscere vengono divorate da un gabbiano.
Vediamo dunque come rielaborare un’analisi di questo prezioso film tramite la figura del gabbiano.
[La minaccia del gabbiano]
Ancora una volta scomodiamo la letteratura: siamo nel 1798 e Samuel Taylor Coleridge pubblica La ballata del vecchio marinaio.
La ballata, divisa in sette parti, racconta di una nave che finisce al Polo Sud sospinta da una terribile tempesta.
A quel punto un albatros, un uccello marino simile a un gabbiano ma molto più grande, si posa sulla nave riaccendendo nei marinai un guizzo di speranza.
Il narratore è uno dei marinai, un uomo ammantato da un’aura magica sin dall’inizio, i suoi occhi luminosi hanno un potere ipnotico che ammalia gli ascoltatori, ricordando il mistero celato negli occhi di Wake.
È proprio lui che uccide, senza ragione, l’albatros: da quel momento la nave e il suo equipaggio vengono perseguitati da fantastiche e aberranti sventure al fianco della Morte.
L’uomo troverà la salvezza dopo la redenzione e l’espiazione: si pentirà di aver ucciso l’albatros e maledetto la nave, e comprenderà l’importanza di salvaguardare e rispettare la vita di tutte le creature.
Quando in The Lighthouse Winslow uccide il gabbiano, nonostante le intimidazioni di Wake, la situazione nel film inizia a precipitare, facendo dell’uccello lo snodo cardine della narrazione.
Il gabbiano, come l’albatros, ha un’importanza fondamentale nella cultura marinaresca, perché vederlo vuol dire essere prossimi alla terraferma.
Per pescatori e marinai uccidere un gabbiano è presagio di sventure, perché secondo miti e leggende questi uccelli sprezzanti che accompagnano le barche piccole e grandi duranti brevi e lunghi viaggi non sono nient’altro che la reincarnazione dei marinai morti.
Winslow uccide un gabbiano orbo, per poi ritrovare sull’isola la testa dell’ex collega di Wake, anche lui orbo.
Sempre secondo le leggi non scritte del mare vedere tre gabbiani in volo sopra una persona ne preannuncia la morte e il picchiettio dell’animale su una finestra è l'annuncio di uomo in pericolo.
Il gabbiano dunque, viaggiatore tra terra e mare, può essere tanto simbolo di libertà, di possibilità di elevazione rispetto al mondo materiale - come ne Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach - quanto espressione del limitarsi in modo bestiale ai bisogni primari; il gabbiano cerca il cibo rovistando tra gli scarti delle navi e nelle discariche.
Interessante è anche la visione del gabbiano in Una vita di Italo Svevo, dove l’animale viene descritto come espressione di azione pura, predatore contrapposto ai pesci di cui si nutre.
Nel romanzo Alfonso, l’intellettuale inetto, si confronta con Macario, giovane arrogante e sicuro di sé, il primo paralizzato dalle proprie paranoie, il secondo invece istintivo e intraprendente.
In The Lighthouse c’è Eraserhead, Gli Uccelli, Shining, L’ora del lupo, l’estetica gotica di F.W. Murnau, senza che il film rincorra un citazionismo sfegatato e raffazzonato.
E proprio come un nano sulle spalle dei giganti, Robert Eggers diventa egli stesso un gigante.
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